Il processo a Patrik Zaki è stato aggiornato al 6 aprile: lo ha detto all’ANSA lo stesso studente egiziano dell’università di Bologna Zaki rischia una condanna di altri 5 anni di carcere in Egitto, è accusato di diffusione di notizie false. Pur ammettendo preoccupazione per le passate accuse di istigazione al terrorismo, Zaki ha detto di non ritenere che questo dossier verrà riaperto. E ha confermato di voler tornare subito a Bologna e, per prima cosa, passeggiare in piazza Maggiore.
Prima dell’udienza Patrick Zaki è stato tenuto «circa mezz’ora» nella «gabbia degli imputati». Lo ha detto a giornalisti lo stesso attivista egiziano dopo aver confermato che «la Corte ha appena deciso di rinviare l’udienza al 6 di aprile. Adesso sono libero ed è un bene».
«È un’attesa ancora enormemente lunga quella di Patrick per avere finalmente la sua libertà. È una data che ricorre quella del 6 aprile: nel 2020 e nel 2021 c’erano state altre udienze in questa data. Speriamo che sia l’ultimo giorno in cui Patrick si presenterà di fronte a un giudice e fino ad allora c’è da aspettare, da stargli vicino e accompagnarlo in questa lunga attesa di quella che speriamo sia l’ultima udienza». Così all’ANSA Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, commenta la notizia dell’ennesimo rinvio di udienza sul caso di Patrick Zaki.
«In base alla legge egiziana oggi Hoda (la sua legale, ndr) presenterà al giudice tutte le prove e le evidenze e poi aspetteremo la decisione finale che potrebbe arrivare già oggi anche se il magistrato potrebbe rinviarla di qualche giorno o anche una settimana», aveva detto lo studente egiziano dell’Università di Bologna prima del rinvio dell’udienza.
«Non penso che la sentenza sia messa a punto già oggi: potrebbero volerci alcuni giorni per redigerla», ha ribadito. Patrick Zaki, pur ammettendo di essere «preoccupato» per le passate accuse di istigazione al terrorismo che la Procura egiziana aveva mosso sulla base di post su Facebook, ha detto di non ritenere che questo dossier verrà mai riaperto.
«Certo, sono preoccupato ma non penso che possano farlo. Perché dovrebbero farmi questo? Non c’è ragione», ha detto all’ANSA lo studente egiziano rispondendo alla domanda se teme di essere posto sotto accusa su quel fronte dopo un’eventuale assoluzione nel processo per diffusione di notizie false che dovrebbe concludersi oggi a Mansura. I dieci post pubblicati su un profilo che lui ritiene falso erano stati alla base dei 19 mesi di custodia cautelare in carcere che avevano preceduto l’apertura, a settembre, del processo nella sua città natale sul delta del Nilo.
Le accuse iniziali basate sui post avevano configurato fra l’altro i reati di “diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici” facendogli rischiare 25 anni di carcere.
Il procedimento è invece incentrato esclusivamente su un suo articolo del 2019 sulle discriminazione dei cristiani egiziani. Per la mera “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” ipotizzata in merito all’articolo, la pena massima è di cinque anni di reclusione.
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