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Imponimento, le rapine gestite dai Fruci grazie ai “catanesi”. «Puntavano i taglierini alla gola dei dipendenti»

Il racconto del pentito Michienzi: «Si spruzzavano la lacca in faccia per eludere le telecamere». E sul bottino: «Vincenzino Fruci divideva ma non tutti erano contenti»

Pubblicato il: 01/02/2022 – 7:49
di Giorgio Curcio
Imponimento, le rapine gestite dai Fruci grazie ai “catanesi”. «Puntavano i taglierini alla gola dei dipendenti»

LAMEZIA TERME «Nel periodo in cui ero detenuto a Siano, Vincenzino Fruci iniziò a fare rapine in banca insieme a Francesco Notaris. Facevano venire in Calabria alcuni rapinatori da Catania, riuscivano a rintracciarli grazie ad un nipote di un certo Argento, di Gizzeria. Io personalmente ho partecipato a due rapine, sulla Nazionale, a Pizzo». È il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, classe ‘80 di Acconia di Curinga, a spiegare alla pm, Chiara Bonfadini, in collegamento dal luogo di sicurezza, alcune delle dinamiche interne della famiglia di ‘ndrangheta Anello-Fruci, interrogato nel corso dell’udienza del processo Imponimento, di scena in aula bunker a Lamezia Terme.

Il ruolo dei catanesi “suta bancu”

Quello delle rapine e dei furti è uno dei tantissimi temi che il pentito Michienzi ha affrontato, incalzato dalle domande della Bonfadini. «L’obiettivo da rapinare era scelto da noi, lo sceglievamo tutti insieme – ha spiegato Michienzi – e i catanesi erano noti come i “sauta bancu”, ovvero solitamente, una volta entrati in banca, saltavano dall’altra parte del bancone e puntavano il taglierino alla gola degli impiegati e si facevano consegnare i soldi». «Noi come Fruci servivamo da supporto logistico, li accompagnavamo in auto sul posto a fare le rapine mentre erano loro materialmente a compiere le rapine. Erano molto abili, veloci, io addirittura lasciavo la mia Classe A, a circa 50 metri dalle banche quando li accompagnavo e in dieci minuti facevano anche due rapine in modo velocissimo». «In questo scenario – spiega ancora Michienzi – Notaris portava i rapinatori, individuava i soggetti grazie a questo Argento, stava lì, li accompagnava o gli portava il cibo». «Entravano a volto scoperto e come tecnica utilizzavano la lacca: se la spruzzavano in faccia perché dicevano che facesse riflesso nelle telecamere di sicurezza».

La spartizione

Una volta compiute le rapine, toccava spartirsi il bottino. «La merce rubata – ha raccontato Michienzi – veniva poi divisa tra noi e i rapinatori. Spesso davano la colpa ai giornalisti perché rivelavano l’intero bottino rubato mentre loro spesso cercavano di mentire, l’accordo infatti era “metà e metà”. La parte del nostro bottino andava a Vincenzino Fruci che mi dava la mia parte ma ci sono state anche discussioni perché alcuni avevano il sospetto che non dividesse tutto in parti uguali. Fruci intanto apriva ditte, cambiava spesso automobili e questo suscitava più di qualche litigio anche con la cognata».  

Il “regalo” ai Bonavota

«Una volta Vincenzino Fruci ci rimase male, quando – racconta Michienzi – i rapinatori fecero un colpo a Maierato, un favore ai Bonavota ma non furono rispettati gli accordi, il bottino non fu diviso e allora Vincenzino disse che non avrebbe mai più fatto favori del genere ai Bonavota». Secondo Michienzi, poi, dal “territorio” delle rapine era escluso il comune di Filadelfia. «Vincenzino Fruci aveva detto che non gli conveniva altrimenti avrebbe dovuto lasciare la metà agli Anello». Già perché secondo il pentito gli Anello non erano inseriti negli affari legati alle rapine. «Al massimo Vincenzino Fruci gli faceva qualche regalo. Le rapine erano gestite da noi, i due fratelli Fruci, io, Notaris e Vincenzo Michienzi».

Le banconote false e lo spaccio di droga

«Francesco Notaris – ha spiegato Michienzi rispondendo alle domande del pm Antonio De Bernardo – nel 2004 ci portava le banconote false, le dava a noi e a Vincenzino Fruci perché Giuseppe era detenuto. Ci diceva che le banconote le pagava, comprava ad esempio 5.000 euro ad una cifra ma non so da chi e ce le metteva a disposizione». A proposito dello spaccio, invece, Francesco Notaris «prendeva la droga da noi e la spacciava nel territorio di Maida. C’era invece chi non rispettava i patti come Santo Accetta di Filadelfia che faceva un po’ come gli pareva e allora Tommaso Anello mi mandò a bruciare la sua Fiat Uno bordeaux». «Notaris – spiega Michienzi – agiva sul territorio e tutti sapevano che lavorava per noi, dietro di lui c’erano i Fruci. Volevamo solo rimarcare il territorio, Notaris per stazza non aveva bisogno di avere supporto. Lui girava sempre con noi, in quel periodo eravamo molto arroganti.. avevamo centinaia di fermi di polizia a nostro carico, era il 2001 e il 2002. In quel periodo andavo a casa sua insieme ai fratelli Fruci, conoscevamo sua moglie. La sua competenza era su Maida, ci poggiavamo su lui e Pasquale Marando. Notaris sotto di lui aveva Davide Notaris, il cugino, ogni tanto un altro ragazzo, Ivan Reale, che strinse amicizia con Vincenzino Fruci». (redazione@corrierecal.it)

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