CATANZARO Questa mattina, il procuratore generale Maffei dinanzi alla Corte d’assise d’Appello di Catanzaro (presieduta da Caterina Capitò; a latere Domenico Commodaro), ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado con la quale tutti gli imputati dell’omicidio di Francesco Mariconolo sono stati condannati alla pena dell’ergastolo. La Procura generale ha chiesto, inoltre, alla Corte di attivare i suoi poteri di ufficio al fine di risentire o acquisire le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Francesco Galdi, Francesco Impieri e Celestino Abbruzzese.
Il processo mira a far luce sulla morte di Francesco Marincolo, ucciso a colpi di pistola la mattina del 28 luglio del 2004, a Cosenza. Il delitto venne firmato da Michele Bruni (poi deceduto) che vendicò – con il sangue – la morte del padre ucciso anni prima davanti al carcere. Al termine del processo celebrato con rito abbreviato, sono stati condannati all’ergastolo i presunti complici dell’ex boss cosentino: Umile Miceli, Giovanni Abbruzzese, Carlo Lamanna e Mario Attanasio. Dieci gli anni di carcere inflitti ai collaboratori di giustizia Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna.
Le ricostruzioni investigative, corroborate dalle dichiarazioni dei pentiti Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna, avrebbero consentito di accertare che ad esplodere i colpi mortali nei confronti di Marincolo, al momento dell’agguato a bordo della propria auto in via Lazio a Cosenza, fu Michele Bruni in sella ad una moto (poi risultata rubata) e guidata da Carlo Lamanna.
Sull’auto della vittima, al momento dell’omicidio, si trovava, anche Adriano Moretti (cognato del boss Gianfranco Ruà) raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco, ma non obiettivo dei killer. L’omicidio di “Franco u biondo”, storico sicario della cosca Lanzino-Ruà, venne ricostruito grazie alle rivelazioni dei pentiti di ‘ndrangheta attivi sul territorio in quegli anni. L’agguato mortale, fu l’ultimo atto della sanguinosa guerra di mafia combattuta a Cosenza tra il 1999 ed il 2000, fra i contrapposti clan Lanzino-Cicero e il gruppo dei Bruni “Bella bella”. Al delitto, seguì la pax mafiosa stipulata tra i gruppi criminali cosentini, un patto di non belligeranza che portò alla spartizione equa, tra le consorterie, dei proventi delle varie attività illecite. (f. b.)
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