CATANZARO «Il mio timore è anche un altro: sembra quasi che non parlandone, la ‘ndrangheta e Cosa Nostra non esistano. Ma non è così, e io ho molta paura che di questo “silenzio stampa” le mafie ne approfitteranno, perché le mafie da sempre proliferano nel silenzio. Se la ‘ndrangheta oggi è la mafia più potente è perché per anni non se ne è parlato». Nicola Gratteri racconta al Fatto Quotidiano le proprie riserve sulla “legge bavaglio” che, in nome della presunzione di innocenza, vieta a pm e polizia giudiziaria di «indicare come colpevole» l’indagato o l’imputa to fino a sentenza definitiva, e impone ai procuratori di parlare con la stampa solo tramite comunicati ufficiali. E spiega che «le mafie potrebbero approfittarne».
Il procuratore di Catanzaro ricorda nell’intervista che «l’articolo 27 della Costituzione prevede già la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, come valore primario da preservare». La direttiva europea alla quale si è spirata la politica «era era rivolta principalmente agli Stati di più recente ingresso nell’Unione europea, nei quali non erano presenti adeguati strumenti di tutela dell’imputato». Per l’Italia il risultato raggiunto con la modifica normativa è soltanto quello di limitare «fortemente la comunicazione istituzionale, che viene sostanzialmente vulnerata, a scapito del diritto di informazione dei cittadini e, se possibile, addirittura degli stessi imputati».
Questo perché non vi è controllo della comunicazione delle parti private, né delle informazioni diffuse sui social o in tv. «In assenza di una fonte istituzionale – dice ancora Gratteri –, la conseguenza sarà una circolazione di notizie incontrollate e incontrollabili, con danni collaterali inimmaginabili». E apre a paradossi: per immaginarli basta ripensare al passato. «Riesce a immaginare una comunicazione istituzionale dell’arresto degli esecutori delle stragi, omissandone le generalità?».
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