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Il «capo di tutti i capi» è libero. Come cambia il potere dei clan in Calabria e al Nord

Rocco Barbaro lascia il carcere. L’intercettazione che lo “marchia” come superboss e una vita tra arresti e latitanze

Pubblicato il: 06/02/2022 – 7:23
Il «capo di tutti i capi» è libero. Come cambia il potere dei clan in Calabria e al Nord

REGGIO CALABRIA Per i pm della Dda di Milano è «il capo dei capi» del clan Barbaro in Lombardia. Cioè l’esponente più importante di una delle cosche che guidano la ‘ndrangheta nella regione motore economico del Paese. Eppure ‘u Sparitu, questo il soprannome del 56enne Rocco Barbaro, ha lasciato il carcere qualche giorno fa. Resta un sorvegliato speciale, ma il cambio di status ha fatto rumore nei giorni scorsi, per il livello del casato mafioso e soprattutto perché la Direzione distrettuale antimafia di Milano indicava Barbaro al tempo della sua cattura, l’8 maggio 2017, «il vertice» della ‘ndrangheta lombarda.
Oggi «il capo dei capi» è libero, benché battezzato con la dote del «vangelo» e nonostante sia considerato il più importante esponente del ramo “Castanu” della cosca di Platì. Quella che – ricorda il Corriere della Sera – è diventata la famiglia più importante negli assetti criminali di Lombardia e Piemonte. 

I nuovi scenari aperti dal “ritorno” del boss

Il ritorno del boss apre nuovi scenari su tre fronti: in Aspromonte (perché la gestione delle cose del Nord non è mai indipendente dagli equilibri calabresi), nell’area in cui il clan di Platì “governa” tra Corsico e Buccinasco e in provincia di Torino, a Volpiano, dove i Barbaro hanno un’altra succursale mafiosa.  Per gli investigatori, ‘u Sparitu sarebbe il referente della ‘ndrangheta al Nord, un ruolo appartenuto in precedenza a Pasquale Zappia, nominato inseguito all’omicidio di Carmelo Novella, già capo del mandamento lombardo dopo la morte di Pasquale Barbaro detto u Zangreiu

L’intercettazione del 2012. «È il capo di tutti i capi»

È un’intercettazione, finita in un’inchiesta del 2014 sul clan Papalia (l’operazione “Platino”), a conferire a Rocco Barbaro il rango di capo. Curiosamente, in quell’inchiesta l’uomo non è neppure indagato. Eppure uno dei “pezzi grossi” dei clan calabresi al Nord spiega: «Lui (Rocco Barbaro, ndr) è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti». La conversazione si svolge nel novembre 2012 ed è, per gli inquirenti, decisiva per comprendere «il ruolo di capo assunto da Rocco Barbaro all’interno del sodalizio». Lo scettro del comando – ricostruisce il Fatto Quotidiano in un servizio del 2014 – gli deriva direttamente dall’essere figlio di Ciccio u Castanu. Non tutti sono d’accordo, neppure nell’auto in cui viene captata l’intercettazione: «Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto», risponde uno degli interlocutori. «Ma chi cazzo lo conosce – continua –, sembra che è il capo della Repubblica». Risposta: «Abbiamo tutti il vangelo, però dobbiamo tutti rispettare a lui». Al di là dei meriti acquisiti sul campo, Rocco Barbaro sarebbe il capo. 

Il curriculum criminale tra arresti e latitanze

Il curriculum criminale di Barbaro parla di un arresto nel 2003 per traffico di droga, dopo una latitanza decennale. Fino al 2012 resta nel carcere di Piacenza, poi l’affidamento ai servizi sociali presso un gommista. Conduce una vita normale proprio mentre parlano di lui come il “capo di tutti i capi”. Lo sarebbe in virtù dei suoi natali: è il figlio di Francesco Barbaro detto Ciccio u Castanu, classe 1927.  È quando l’intercettazione ne “svela” i gradi mafiosi che Barbaro vende il bar che aveva comprato a Milano con figlio e nipote. Nel 2016, quando vanno ad arrestarlo, non c’è. Finirà in carcere un anno e mezzo dopo, beccato a Platì (foto sopra). L’evoluzione del procedimento che lo riguarda, però, porta dritta alla sua recente liberazione. In primo grado viene condannato a 16 anni, che in Appello scendono a 13. In Cassazione l’accusa di mafia cade e resta l’intestazione fittizia: Barbaro sconta pochi anni ed è libero. E per i giudici non è un boss. Anche perché nel processo “Infinito” del 2010 il suo nome non compare mai. Sembra di risentire quel «capo mio non lo è» ascoltato dagli investigatori nel 2012. Intanto il figlio di uno dei patriarchi della ‘ndrangheta è libero. E questo cambia la geografia criminale al Nord. E anche in Calabria. (redazione@corrierecal.it)

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