RIACE «Se esiste Dio, ritornerò a fare il sindaco di questo paese. Il processo d’appello dovrebbe concludersi nel giro di un anno e mezzo, fra due anni voglio ricandidarmi». Mimmo Lucano continua la sua “solita” vita a Riace. «Non dormo tanto bene», racconta all’inviato de La Stampa. Ma non si dice schiacciato dalla condanna a 13 anni e 2 mesi di carcere pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Locri. Tutt’altro: progetta di tornare a guidare il “paese dell’accoglienza”, girerà una serie su Netflix, pensa di comprare due capre. Ricorda la prima denuncia: «Un piccolo commerciante mi ha accusato di concussione il 19 dicembre 2016. Un piccolo commerciante vicino ad ambienti mafiosi, una persona violenta, che poi ha sconfessato se stesso e ritirato le accuse. Ma quella denuncia completamente falsa ha scatenato l’inchiesta, assieme all’ispezione della prefettura». Il resto è cronaca e rabbia. Lucano rifiuta l’idea di aver utilizzato l’accoglienza a beneficio della propria immagina politica. «Potevo farmi eleggere al Parlamento Europeo, in molti mi hanno offerto la candidatura. Sono nullatenente, a parte una vecchia Giulietta. Vivevo con l’indennità da sindaco da 1050 euro al mese, la mia era una missione. Quattordici anni si danno per omicidio». In ogni caso non vuole male al giudice che lo ha condannato, «ci siamo guardati negli occhi». Ma ricorda che «Riace era l’incubo di Salvini». E dice che «il processo nel merito non c’è stato. Ho fatto delle carte di identità false, questo sì. Pagandole a mie spese per non buttare in mezzo alla strada delle persone. L’unica cosa per cui mi sento in colpa è la mia famiglia. Sono andati via: ho sbagliato nei confronti dei miei figli e di mia moglie».
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