ROMA L’accoglienza per i richiedenti asilo in Italia sta lentamente cambiando. Il numero di migranti che ciclicamente sbarca sulle coste meridionali attraversando il Mediterraneo è in costante diminuzione (-42% dal 2018 al 2020), così come in media si sono ridotti i costi – scesi fino a 25,6 euro pro capite giornalieri – che ogni struttura del Paese spende per l’accoglienza di ogni ospite. A restare invariata, invece, è la situazione di emergenza in cui l’arrivo di queste persone, di nazionalità e culture diverse, viene gestito. Dopo la prima accoglienza dove i richiedenti vengono identificati (e assistiti o curati se necessario) c’è la fase del trasferimento nei diversi centri, che dovrebbero corrispondere ai presidi previsti dal sistema di accoglienza ordinario. Ma la maggior parte dei migranti che arriva in Italia trova alloggio nei Cas, ovvero nei Centri di accoglienza straordinaria, che rispetto alle altre strutture hanno una maggiore disponibilità di posti. Di norma, tuttavia, i Cas dovrebbero essere attivati solo in mancanza di posti negli altri presidi come i Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, in precendenza “Sprar”), che sono appunto le strutture adibite al sistema ordinario di accoglienza, e che però risultano avere meno posti disponibili. Secondo i dati diffusi dall’ultimo report di Openpolis sulla capacità di ospitalità e sul lavoro dei centri d’accoglienza dal 2018 al 2020 su 76.236 di rifugiati accolti ben 52.451 trovano alloggio nei Cas e meno della metà, 22.152, nei Sai.
«Con il dimezzamento di sbarchi e ospiti (66.770 sono le persone sbarcate sulle coste italiane nel 2021 mentre nel 2016 in piena emergenza furono più di 181mila) – è scritto nel report di Openpolis – si sarebbe potuto andare verso un sistema ordinario e pubblico, ma ciò non è avvenuto. Ancora oggi quasi 7 persone su 10 sono accolte nei centri di accoglienza straordinari, nonostante non ci sia alcuna emergenza. Questo fattore determina conseguenze negative anche per i diritti delle persone accolte e per i servizi nelle strutture». Concentrare l’accoglienza nei Cas ha avuto come conseguenza quella di coinvolgere sempre meno i piccoli comuni, attivando in particolar modo (spesso portandoli al massimo della capienza) i grandi centri: «le sedi di piccole dimensioni sono quelle che sono state più penalizzate, avendo perso quasi 22mila posti in due anni, i centri grandi, al contrario, sono diventati ancora più grandi. In media hanno 110 posti a disposizione, nel 2018 erano 98». Dall’analisi emerge che il modello di accoglienza utilizzato, ancora di tipo emergenziale, risponde alle necessità primarie di trovare alloggio ai rifugiati e di avviare il procedimento per la richiesta d’asilo, ma non tiene ancora conto dell’integrazione e della qualità dei servizi. «Un’accoglienza diffusa – si legge nel report – sarebbe stata più virtuosa ed efficace», il motivo si può spiegare così: distribuire i richiedenti in presidi più piccoli e in comuni diversi evita di sovraccaricare i centri più grandi, garantendo agli ospiti delle strutture una maggiore possibilità di ricevere servizi adeguati e di interagire col territorio. In questo modo si favorisce il processo di integrazione e il modello di accoglienza risulta più inclusivo. Per monitorare la gestione delle presenze dei migranti nei centri Openpolis ha elaborato un nuovo strumento che si chiama “Centri d’Italia, mappe dell’accoglienza”. Si tratta di «una nuova piattaforma web realizzata in collaborazione con ActionAid: una mappatura dettagliata – attraverso un sito web facilmente utilizzabile e liberamente accessibile – di tutti i centri di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo del paese».
Il calo di presenze viene confermato anche dai dati che riguardano la Calabria, una regione che gioca un ruolo fondamentale nel fenomeno dell’accoglienza sia per la sua posizione nel Mediterraneo che per la presenza di uno degli hub più grandi d’Europa, il Cara di Isola Capo Rizzuto. I numeri che attestano la presenza dei richiedenti asilo nei centri calabresi sono diminuiti su tutto il territorio regionale (salvo qualche piccola eccezione) ma in alcuni comuni questa riduzione risulta particolarmente più evidente. Ad esempio a Brognaturo l’accoglienza è stata depotenziata di molto: la presenza dei migranti in rapporto agli abitanti è passata dal 13% del 2018 al 3% nel 2019 (dato Openpolis). Un cambiamento significativo si documenta anche al Cara di Isola Capo Rizzuto – che non è un Cas ma un centro di prima accoglienza – dove si sono persi in un anno 140 posti. Se la maggior parte dei comuni e dei centri confermano questo trend c’è un piccolo paese del Vibonese, Vallelonga, che fa eccezione, la presenza dei migranti in rapporto agli abitanti è passata dal 3,86% del 2018 al 6% nel 2019. (a.col)
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