Oggi parte la rubrica Corriere Suem, dedicata ai temi della sanità calabrese, commissariata dal governo per il rientro dal debito. Ogni mercoledì proporremo approfondimenti sulla situazione di reparti, servizi ed uffici. Sentiremo soprattutto i medici e gli altri sanitari in trincea, con l’obiettivo di riportarne la voce, raccontare i fatti e offrire ai lettori, semplici cittadini od esponenti politici, un quadro preciso delle risorse disponibili, delle carenze, delle attività e delle proposte utili a risolvere i problemi. Iniziamo con un’intervista al professor Pasquale Mastroroberto, primario della Cardiochirurgia universitaria di Catanzaro, che ci parla dell’unità operativa che dirige.
Quali sono i risultati della Cardiochirurgia universitaria di Catanzaro, secondo l’ultimo Programma nazionale esiti?
Il Programma (Pne), redatto ogni anno dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), prende in considerazione, per la Cardiochirurgia, due indici (volumi/anno e mortalità a 30 giorni) relativi a due procedure, il bypass aorto-coronarico isolato e il trattamento chirurgico delle patologie valvolari isolato, eseguite in oltre 100 strutture nazionali, sia pubbliche che private accreditate. Vengono quindi esclusi tutti gli altri tipi di intervento. Il Pne 2021 ha preso in esame i dati relativi agli anni 2019 e 2020, evidenziando per la Cardiochirurgia universitaria di Catanzaro una mortalità in linea con la media nazionale, che è dell’1,85% per il bypass aortocoronarico isolato e del 2,38% per il trattamento isolato delle malattie valvolari. Il dato ancora più importante è che per la nostra Cardiochirurgia viene rilevata per il 2020 una mortalità dell’1,04% (quindi al di sotto della media nazionale) per il bypass aorto-coronarico isolato. Circa i volumi dei ricoveri per intervento di bypass aortocoronarico isolato, vi è stato un incremento di oltre il 20%, sia per il 2019 che per il 2020. Per la chirurgia valvolare isolata, i volumi di ricovero sono rimasti stabili nel 2019 e nel 2020 rispetto agli anni precedenti. L’incremento dei volumi è stato confermato in percentuale anche maggiore per il 2021, ma i dati rientreranno nel Pne 2022.
Il reparto ha carenze di organico?
Il vero problema di carenza è soprattutto per il personale infermieristico, che andrebbe sicuramente potenziato soprattutto per le aree che hanno in cura pazienti critici come la Cardiochirurgia. Altra carenza è quella degli Operatori socio-sanitari. Inoltre sarebbe opportuno implementare la pianta organica del personale medico.
Quanti specialisti calabresi ci lavorano?
Nove medici del nostro reparto si sono formati nella nostra Scuola di specializzazione. Inoltre, su quattro tecnici della Circolazione extracorporea in servizio, tre hanno conseguito la laurea presso la nostra università, nel corso di studi da me presieduto.
Come lavora la Cardiochirurgia con la Cardiologia universitaria?
In tutte le strutture ospedaliere dove è presente una Cardiochirurgia, è indispensabile un lavoro di gruppo con la Cardiologia, soprattutto se vengono effettuate procedure di Cardiologia interventistica per cui è necessaria una collaborazione.
Di che cosa avrebbe bisogno, in termini di dotazioni e investimenti, l’Unità operativa che dirige?
Come già detto bisogna investire soprattutto in termini di personale. Serve poi un incremento di posti letto, sia di degenza ordinaria che di terapia intensiva. Ho sempre lamentato che il Dca n. 64 del 2016, l’ultimo provvedimento commissariale sulla rete ospedaliera, assegna alla Cardiochirurgia universitaria un numero di posti letto insufficiente rispetto alle richieste dei cittadini. Un capitolo a parte è quello dell’approvvigionamento dei presìdi specialistici, che nelle strutture pubbliche è reso ancora più complicato dai bilanci negativi delle Aziende ospedaliere e dai processi burocratici troppo lenti e non al passo con i tempi. Infine sarebbe opportuno, anzi, necessario, attrezzare una delle nostre due sale operatorie rendendola funzionalmente ibrida, visto che la cardiochirurgia moderna è caratterizzata oltre che da procedure minimamente invasive anche da interventi combinati, cioè “a cielo aperto” e per via endovascolare. In tal senso ho già inviato richiesta ai vertici della nostra Azienda ospedaliero-universitaria e sono in attesa di risposta. Spero di non dovere attendere molto, visto che propongo un ulteriore servizio a tutto vantaggio dei cittadini calabresi.
Come mai continua l’emigrazione di molti pazienti cardiopatici dalla Calabria?
Il fenomeno della migrazione sanitaria colpisce molte regioni, soprattutto del Sud Italia e, probabilmente, in modo particolare la Calabria. Gli ultimi dati del Pne 2021 hanno evidenziato, per residenti nella nostra regione, una emigrazione extraregionale pari al 20,1% di pazienti che necessitavano di intervento di bypass aortocoronarico (il 79.9% è stato operato in Calabria), mentre per le patologie valvolari isolate si è verificata una emigrazione del 50.7%, quindi il 49.3% dei pazienti ha preferito farsi operare in regione. Penso che sia necessaria una maggiore informazione sulla qualità offerta dai Centri cardiochirurgici calabresi, che non ha nulla da invidiare ai Centri del Nord, e quindi vincere la naturale diffidenza che si ha sulle potenzialità e sui servizi offerti in Calabria. Inoltre è indispensabile anche una sensibilizzazione verso i cardiologi del territorio, soprattutto quelli che lavorano in ambito ambulatoriale. Altro elemento potrebbe essere ridurre le cifre dei rimborsi ai pazienti che scelgono di operarsi fuori regione, nonostante abbiano la possibilità di farlo nel loro territorio. Ma quest’ultima è un’azione che potrebbe essere messa in atto solo a livello regionale, sempre che sia fattibile.
Qual è il rapporto che la Cardiochirurgia universitaria di Catanzaro ha con quella dell’ospedale pubblico reggino? Come, eventualmente, potrebbe svilupparsi?
Un rapporto di collaborazione sancito anche da una convenzione che permette alla Cardiochirurgia del Gom di Reggio Calabria di far parte della rete formativa della Scuola di specializzazione in Cardiochirurgia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, da me diretta.
Di recente si è tornato a parlare di Ecmo. Nella Cardiochirurgia che dirige c’è. Perché e come viene impiegato? Quale ne è la funzione? Si potrebbe utilizzare per i bambini?
Nella Cardiochirurgia universitaria le macchine Emo sono 2 su un totale di 5 presenti nel policlinico Mater Domini. Le altre 3 sono utilizzate dall’Unità complessa di Anestesia e Rianimazione per il trattamento delle gravi infezioni respiratorie, con un incremento negli ultimi due anni per pazienti Covid-19 positivi. L’Ecmo viene da noi utilizzato da oltre vent’anni quale assistenza meccanica al circolo, quindi soprattutto in pazienti con shock cardiogeno ovvero pazienti con patologie cardiache refrattarie alla terapia medica. Inoltre il nostro centro ha creato una rete con le maggiori cardiologie calabresi per una terapia avanzata rispetto all’Ecmo e cioè l’impianto dei cosiddetti LVAD, che possono rappresentare un “bridge” per il trapianto cardiaco oppure addirittura una sorta di terapia finale per pazienti con grave scompenso cardiaco non sensibile alla terapia medica. Questo progetto era già stato avviato prima della mia nomina a primario. Negli ultimi anni ho deciso di riprenderlo, di renderlo più efficiente ancora una volta per ridurre l’emigrazione di pazienti che altrimenti non avrebbero possibilità di sopravvivenza, se non rivolgendosi a centri extraregionali. È un progetto che necessita di finanziamenti specifici e che porterebbe notevoli vantaggi in termini economici, sia per le casse regionali che per le spese che intere famiglie devono sostenere per curare un proprio congiunto fuori dal territorio. L’Ecmo per i bambini può essere utile in casi ben selezionati e deve essere utilizzato solo in centri con Cardiologia e Cardiochirurgia pediatricam con ben attrezzate Terapie intensive e quindi con una specifica competenza in termini di indicazioni e di funzionamento.
Per avere una Cardiochirurgia pediatrica occorre più del doppio della popolazione della Calabria. Ritiene che questo limite debba e possa essere superato, anche considerato il recente caso della piccola Ginevra?
Costituire una Cardiochirurgia pediatrica ex-novo non è sicuramente cosa facile. Servono specifiche competenze in termini di personale medico ed infermieristico, serve avere una Cardiologia pediatrica con Emodinamica; serve personale di anestesia e Terapia intensiva adeguatamente formato; serve una Pediatria ed una ben organizzata Neonatologia con specifiche competenze cardiologiche. Inoltre l’attivazione di un Centro Cardiologico/Cardiochirurgico pediatrico è correlato al numero dei residenti in Regione e al numero degli interventi previsti per cui, considerando sia questi elementi che i notevoli costi legati ai finanziamenti, è abbastanza logico che in alcune regioni italiane non siano presenti centri di Cardiochirurgia pediatrica. Inoltre a questo va aggiunto che l’incidenza delle cardiopatie congenite si è ridotta, per cui anche centri che in passato avevano volumi elevati hanno ridotto la propria attività. Il recente caso della piccola Ginevra, almeno da quello che ho potuto leggere dagli organi di informazione, era correlato a complicanze polmonari da Covid, quindi probabilmente non in relazione ad una patologia cardiaca congenita. Ma ho pochi elementi sulla storia clinica per potere fornire una opinione esaustiva.
Quanto la pandemia ha inciso nelle attività cardiochirurgiche del “suo” reparto?
Durante la pandemia, a differenza di altri centri cardiochirurgici italiani, abbiamo potuto svolgere normalmente la nostra attività per cui non vi è stata alcuna variazione rispetto agli anni precedenti.
Perché della sanità calabrese c’è un’immagine quasi esclusivamente negativa? Come si potrebbe invertire questa tendenza?
Per quanto riguarda il settore cardiovascolare non sarei così negativo, visto che in Calabria vi sono competenze e professionalità di livello, sia in ambito cardiologico che cardiochirurgico. I problemi sono legati agli investimenti o, meglio, ad una razionalizzazione degli investimenti e ai sistemi organizzativi che spesso sono affidati alla buona volontà dei singoli. In termini pratici: manca la progettualità, si va avanti navigando a vista senza un reale programma e più dieci anni di commissariamento hanno portato più danni che benefici. Mi auguro che con questa nuova organizzazione regionale vi sia una inversione di tendenza.
Ritiene che la rete cardiochirurgica calabrese funzioni? Si potrebbe migliorare?
Non esiste una rete cardiochirurgica ben codificata ma, come spesso accade, tutto è affidato a iniziative personali. Ad esempio, in questi ultimi anni la Cardiochirurgia universitaria, o meglio, l’Azienda ospedaliero-universitaria Mater Domini ha sottoscritto 3 protocolli d’intesa per prestazioni cardiochirurgiche con l’Azienda ospedaliera di Cosenza, l’Azienda ospedaliera di Catanzaro e il Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo, in modo che l’unico Centro pubblico dell’area centro-nord riesca a coprire questo territorio, mentre l’area sud regionale è coperta dall’altro centro pubblico, cioè quello di Reggio Calabria.
Come giudica la prevenzione, in Calabria, rispetto alle malattie del cuore? Come ritiene che si possa migliorare?
Il tema della prevenzione delle malattie cardiovascolari è ovviamente importantissimo, visto che tali patologie rappresentano la prima causa di mortalità nel mondo occidentale. È indispensabile creare una rete territoriale con attività ambulatoriali di screening. Quindi bisogna investire sulla medicina di base e sulla specialistica cardiovascolare. Alcuni centri cardiologici calabresi organizzano attività in tal senso, ma ritengo che non siano sufficienti. Anche in questo caso servono progettualità e investimenti. Soprattutto bisogna affidarsi a manager con competenze specifiche, in modo da individuare un metodo efficace per strutturare una sanità efficiente e ben organizzata. Resto ottimista e non vedo tutti questi elementi negativi. Come ho già detto, bisogna sfruttare le professionalità che certamente non mancano in Calabria. E si deve investire molto sui giovani, visto che abbiamo una realtà culturale sanitaria con corsi di laurea ben avviati presso l’Università di Catanzaro.
Vuole aggiungere considerazioni, ulteriori notizie o auspici?
Penso che i centri pubblici cardiochirurgici calabresi siano di ottimo livello. Quindi, ribadendo quanto ho già affermato, è indispensabile un maggiore investimento su di essi. Altre regioni italiane, per esempio l’Emilia-Romagna o il Veneto, hanno investito molto sulla sanità pubblica. E ne hanno avuto un ritorno in termini di miglioramento, di risultati e di possibilità di cura per tutti i cittadini assistiti. Infine penso che in Calabria vada dato risalto a tutto quello che la sanità riesce ad erogare positivamente, quindi non soltanto ad elementi che, a volte, sono ben lontani dal meritare il giudizio di «malasanità», termine volgare che troppo spesso è utilizzato impropriamente. (redazione@corrierecal.it)
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