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La sanità «indifesa» (e connivente) davanti all’assalto della ‘ndrangheta

Il caos dell’Asp di Catanzaro dopo “Quinta bolgia”: zero controlli antimafia, «complicità» nel pagamento di doppie fatture e un alto funzionario segnalato per i post sulla massoneria

Pubblicato il: 17/02/2022 – 6:56
di Pablo Petrasso
La sanità «indifesa» (e connivente) davanti all’assalto della ‘ndrangheta

CATANZARO «Una totale, grave e ingiustificabile assenza di strumenti di autodifesa». Nella chiosa della Commissione parlamentare antimafia c’è tutta la precarietà di un’Asp, quella di Catanzaro, esposta all’assalto della criminalità organizzata. Esposta e priva di anticorpi, come testimonierebbe «l’evidente incapacità e inefficienza dell’Azienda sanitaria di Catanzaro nel provvedere autonomamente al ristabilimento della legalità seppur in presenza di situazioni critiche ben note». Le situazioni sono quelle emerse nell’inchiesta “Quinta bolgia” della Dda di Catanzaro: due filoni investigativi distinti ma strettamente connessi tra loro hanno evidenziato «il predominante ruolo di due gruppi di imprenditori, entrambi riconducibili alla medesima matrice criminale», quella della cosca Iannazzo‐Cannizzaro di Lamezia Terme. Erano i padroni dell’Azienda, specie per la gestione del servizio delle autoambulanze. Un monopolio centrato sull’ospedale della Piana: «L’ultima gara regolarmente indetta ed aggiudicata per l’affidamento del servizio sostitutivo delle autoambulanze 118 – segnala la relazione dell’Antimafia –, risaliva al 2009 quando vincitore dell’appalto era stata un’impresa riconducibile a uno dei gruppi menzionati, che aveva continuato a gestire le specifiche attività grazie a reiterate proroghe anche tacite, sino al 2017, anno in cui nei confronti dell’impresa aggiudicataria è stata emessa una informazione interdittiva antimafia».

Il Pronto soccorso dell’ospedale in mano alle imprese legate ai clan

La Commissione d’accesso antimafia ha verificato come uno dei gruppi imprenditoriali a cui era stato affidato il servizio di ambulanza avesse svolto l’incarico «con mezzi sprovvisti di opportune dotazioni elettromedicali e avesse paradossalmente ottenuto le previste certificazioni di qualità, indispensabili per l’affidamento del servizio, a seguito di accertamenti meramente documentali senza, quindi, l’effettuazione delle doverose attività di verifica pratica dei mezzi, delle dotazioni tecniche e delle strutture aziendali». All’interno dell’ospedale, poi, la situazione era «grave», specie nel reparto di Pronto soccorso, «il cui personale medico e paramedico versava in uno stato di forte soggezione rispetto ai medesimi due gruppi imprenditoriali, che mantenevano così il pressoché totale controllo della struttura. Ed infatti, alcuni dipendenti di tali imprese, erano in possesso delle chiavi di diversi reparti del nosocomio e dei locali adibiti a deposito di farmaci, potendo altresì accedere ai computer dell’intera azienda sanitaria provinciale e, conseguentemente, potendo disporre di tutti i dati, anche sensibili, dei pazienti».

Zero controlli antimafia. Una sola certificazione chiesta nel 2015

Altra anomalia riscontrata dai commissari – e molto frequente negli enti oggetto di infiltrazione mafiosa – è «il ricorso pressoché generalizzato agli affidamenti diretti dei lavori e dei servizi pubblici, in totale assenza di procedure di gara e senza l’indicazione di qualsivoglia motivazione a giustificazione della scelta, rivolta sempre a favore di un ristretto numero di ditte». Alcune di queste ditte, sottolinea la Commissione parlamentare antimafia, sono «risultate destinatarie di informative interdittive antimafia o del diniego di iscrizione nella “white list”, mentre, in alcuni casi, sono emersi precedenti penali e/o di polizia a carico di titolari e impiegati». La presenza tra i fornitori di «diversi soggetti economici destinatari di interdittive antimafia» sarebbe stata possibile per via della «carenza di controlli». Altra sottolineatura contenuta nelle note della relazione: solo in un caso, il 15 ottobre 2015, «l’ufficio tecnico dell’azienda ha richiesto tre informazioni antimafia, prima dell’aggiudicazione di un appalto del valore di circa 4 milioni di euro inerente alla realizzazione di strutture residenziali». I controlli, a dire il vero, non sarebbe iniziati neanche dopo la tempesta scatenata da “Quinta bolgia”: l’unico funzionario abilitato all’accesso alla banca dati antimafia, trasferito dopo il blitz, non è mai stato sostituito dall’ente
Anche «il controllo dei precedenti o delle pendenze giudiziarie a carico dei dipendenti ha reso plasticamente la grave situazione in cui l’azienda sanitaria versava». Alcuni dei lavoratori sarebbero stati implicati «in reati associativi o contro la pubblica amministrazione; basti pensare, al riguardo, che alcuni dirigenti risultavano coinvolti a vario titolo, in ulteriori procedimenti penali aventi per oggetto gravi delitti, quali la turbata libertà degli incanti, peculato, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e altro ancora».

Doppie fatturazioni: «complicità interne» e un sistema che non registrava i pagamenti

Step successivo: l’arrivo della commissione di gestione straordinaria. Che ha raccontato all’Antimafia le iniziative avviate per ristabilire la legalità e ha aperto il capitolo dei decreti ingiuntivi, dei pignoramenti e delle doppie fatturazioni. È infatti emerso che più volte diverse imprese, pur dopo essere state regolarmente pagate, avevano nuovamente presentato le medesime fatture per l’incasso e, allorché il pagamento veniva sospeso, avevano agito in giudizio ottenendo il decreto ingiuntivo e procedendo, in caso di mancato pagamento, con il pignoramento. 
Una situazione «resa possibile certamente da complicità interne e dall’utilizzo di un sistema informatico che non registrava l’avvenuto pagamento delle fatture», che «ha ovviamente creato degli importanti disavanzi nel bilancio dellʹAzienda. Anche per far fronte a tali problematiche è stato reso operativo un ulteriore nuovo ufficio con il compito di procedere, quanto più celermente possibile, alle liquidazioni dei dovuti, dopo le verifiche opportune e approfondite di ogni singolo caso; dette attività vengono svolte in stretta intesa con la Guardia di Finanza». Sul punto, la relazione apre un passaggio inquietante: «I competenti uffici regionali sono stati informati di tale “disfunzione”, atteso che il sistema informatico che consentiva la doppia fatturazione era impiegato in tutte le Aziende Sanitarie regionali».

L’alto funzionario segnalato per i simboli massonici “esposti” su Facebook

L’intervento della Commissione straordinaria si è allargato anche «ad una verifica approfondita dei certificati dei carichi pendenti e del casellario giudiziale dei dipendenti». Oltre a un licenziamento e a due posizioni da verificare, «la commissione ha riferito di avere ricevuto la segnalazione anonima della condotta di un alto funzionario dell’azienda sanitaria, che esponeva sul suo profilo facebook simboli e frasi di significato massonico». Un episodio «ritenuto rilevante in ragione delle sovrapposizioni accertate in passato ed in tempi più recenti tra le associazioni di tipo mafioso e la massoneria e per questo è stato segnalato tanto all’Autorità giudiziaria che alla commissione di disciplina dell’azienda». (p.petrasso@corrierecal.it)

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