ROMA Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, questa mattina i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Reggio Calabria, Latina, Rieti, Viterbo e dello Squadrone “Cacciatori Calabria”, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale nei confronti di 65 persone (39 in carcere e 26 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
Si tratta in particolare di un’indagine avviata dal 2018 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma con il coordinamento della Dda della Procura capitolina, nel corso della quale sono stati raccolti elementi gravemente indiziari in ordine alla esistenza di una locale di ‘ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria e delle altre province calabresi, sul territorio di diverse altre regioni italiane (Lazio, Lombardia, Emilia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta) e sul territorio estero (Svizzera, Germania, Canada, Australia), costituita da molte decine di locali e con organo collegiale di vertice – “la Provincia”- di una articolazione operante sul territorio dei comuni di Anzio e Nettuno, “distaccamento” dal locale di Santa Cristina d’Aspromonte, ma composto in gran parte anche da soggetti appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle, avvalendosi della forza di intimidazione che scaturisce dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà.
Le attività della locale di ‘ndrangheta ha consentito negli anni, secondo le indagini, di acquisire la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra); di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale, contro la pubblica amministrazione e in materia di armi e stupefacenti; di affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe e mediante infiltrazioni nelle amministrazioni comunali e, comunque, infine, di procurarsi ingiuste utilità.
Il capo della struttura criminale, secondo le indagini, sarebbe Giacomo Madaffari. Ne farebbero inoltre parte anche diversi soggetti appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle come i Gallace, i Perronace e i Tedesco. Dalle indagini emerge, l’esistenza di due associazioni finalizzate al narcotraffico, una capeggiata proprio da Madaffari, l’altra da Bruno Gallace dotate di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, nonché delle capacità di approvvigionare e importare dal Sud America ingenti quantitativi di cocaina.
Gli sviluppi investigativi, in particolare, hanno consentito di ricostruire l’importazione dalla Colombia e l’immissione sul mercato italiano di 258 kg di cocaina, avvenuta nella primavera del 2018, tramite un narcotrafficante colombiano, disciolta nel carbone e successivamente estratta all’interno di un laboratorio allestito per la circostanza nel territorio a sud di Roma. Parte della sostanza stupefacente, pari a circa 15 kg, veniva rinvenuta, a seguito di una perquisizione domiciliare, all’interno di una valigia che era stata occultata presso l’abitazione della sorella di uno degli appartenenti al sodalizio, la quale veniva arrestata. E poi il progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina occultata a bordo di un veliero: a tal fine avviavano i lavori di ristrutturazione all’estero del natante (che in origine veniva utilizzato per regate transoceaniche), concordavano le operazioni di carico portuale in acque sudamericane e pianificavano le attività di scarico e custodia della sostanza stupefacente in Italia. Tuttavia, non portavano a termine tale operazione perché venivano a conoscenza di attività investigative in corso nei riguardi di appartenenti al sodalizio.
Al centro della maxi inchiesta della Dda di Roma anche il presunto traffico organizzato di rifiuti, in relazione alla abusiva gestione di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc all’interno della sede di attività imprenditoriali facenti capo agli imputati sul territorio di Anzio. Le quote, l’intero patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali sono state sottoposte a sequestro preventivo. Dalle attività di indagine sono emersi elementi circa il reperimento di informazioni riservate da parte di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine. Le indagini svolte dai Carabinieri su due militari, appartenenti ad una delle caserme del litorale, hanno evidenziato gravi indizi in ordine alla rivelazione di informazioni riservate a favore del sodalizio di tipo mafioso. Entrambi destinatari della misura cautelare (uno agli arresti domiciliari e l’altro in carcere), sono gravemente indiziati di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, nonché, uno dei due, di concorso esterno in associazione mafiosa.
Sono attualmente in corso anche attività di perquisizione presso gli uffici comunali di Anzio e Nettuno tese a ricercare documentazione utile alle indagini. Il procedimento versa tuttora nella fase delle indagini preliminari, con la conseguenza che per tutti gli indagati vige il principio di presunzione di innocenza.
In carcere sono finiti:
Ai domiciliari sono finiti:
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