LAMEZIA TERME «Qui non rischia di chiudere un negozietto, qui è in crisi la più grande realtà imprenditoriale della regione. E la cosa peggiore è il silenzio della classe politica calabrese che oggi cade dal pero. Nemmeno in campagna elettorale ci hanno calcolato». Da Cosenza la voce di una delle tante dipendenti dell’Abramo Customer Care è attonita mentre punta l’accento su due fattori: la grandezza di una delle aziende leader nel campo del contact center – che in Calabria occupa circa 3 mila lavoratori, la gran parte dei quali nella sede di Crotone – e l’assoluta abulia della classe politica, quasi muta mentre migliaia di famiglie sono già con l’acqua alla gola.
A Cosenza, nella sede di Montalto Uffugo, ci sono oltre mille persone che vivono del lavoro al call center. È sorto un intero indotto di attività che orbitano intorno alla Abramo, sia a Montalto che a Crotone dove, ci dicono altri dipendenti: «Non c’è famiglia a Crotone che non abbia almeno un parente impiegato nel call center». Infatti si prevede che la protesta più vibrata partirà, domani mattina, proprio dalla città pitagorica dove è prevista una serrata temporanea dei commercianti in segno di solidarietà con i dipendenti della Abramo. Le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno indetto uno sciopero con sit-in nelle tre sedi calabresi: a Crotone, davanti alla prefettura, a Cosenza a piazza Kennedy (a un centinaio di metri dalla Prefettura) e a Catanzaro, nel quartiere di Germaneto dov’è la sede della Abramo Holding spa. «Nel corso dell’incontro che chiederemo in Prefettura – spiega Mirko Ragusa, rappresentante sindacale per la Slc Cgil sul sito di Montalto – chiederemo maggiore attenzione e che venga informato il Mise (Ministero dello Sviluppo Economico, ndr)».
Ragusa spiega, senza mezzi termini, che in questi due anni e mezzo di crisi «abbiamo chiesto incontri a chiunque fosse alla Regione. Spirlì non ci ha mai ricevuto. Le istituzioni calabresi sono assenti da sempre. L’unica che si è interessata è stata la Provincia di Crotone, dove sono stati fatti tanti tavoli. Un solo tavolo di concertazione è stato fatto nel consiglio comunale di Montalto Uffugo e uno solo davanti al Mise, il 14 maggio 2021. Il tavolo doveva essere riconvocato ma non abbiamo più saputo niente». Due gli onorevoli che si sarebbero realmente interessati, secondo Ragusa: i crotonesi Elisabetta Maria Barbuto e Sergio Torromino.
La crisi della Abramo Customer Care è iniziata a cavallo tra il 2018 e il 2019, quando uno dei maggiori committenti, la Tim, ha cominciato a tagliare le commesse. A settembre 2020 è stata presentata richiesta di concordato preventivo alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma (dove la Abramo ha sede legale). Nel frattempo ai dipendenti viene congelato il 30% dello stipendio di settembre 2020, tutto ottobre e la tredicesima per i mesi di ottobre, novembre e dicembre.
Nell’attesa che il giudice decidesse, alcuni grossi committenti, applicando la clausola sociale, sono andati via. Tra questi vi sono Poste Italiane, Ho Mobile, Enel distribuzione (è rimasta Enel Energia), Wind. Il concordato si allunga per circa 15 mesi.
Nel frattempo era prevista un’asta, nell’estate 2021, alla quale dovevano presentarsi grossi investitori – Heritage Venture Ltd e System House – che però hanno dato forfait quando hanno visto che i committenti stavano abbandonando la Abramo. L’asta va deserta e un’altra buona opportunità per i dipendenti dell’impresa sfuma. Viene chiesta la gestione straordinaria e vengono nominati tre commissari. Agli inizi di febbraio il Tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato improcedibile la domanda di concordato, su richiesta della stessa società dopo che non sono andate a buon fine le trattative di vendita sia col fondo Heritage Venture Ltd sia con la System House. Il bilancio 2020 di Acc s’è chiuso con una perdita di quasi 47 milioni di euro su ricavi per 81,7 milioni e oggi la società si trova in stato d’insolvenza. Le difficoltà di Acc sono legate alla riduzione del fatturato del suo principale cliente Tim attraverso la controllata Abramo do Brasil finita in perdita così come la controllata slovena Abramo Si.
La situazione attuale è che è stato congelato il 40% circa dello stipendio di dicembre e quello di gennaio fino al 26 del mese. Per gennaio sono stati pagati solo 5 giorni.
Ma un esempio pratico rende meglio l’idea. «Io sono da dicembre con 320 euro, più i 100 euro dei 5 giorni di gennaio – ci raccontano –. Ho un mutuo di 520 euro. Abbiamo già approfittato delle casse dei genitori».
«Nonostante questo abbiamo continuato a lavorare, a garantire un servizio per Tim e Enel Energia – dice Ragusa –. Ho ricevuto i messaggi di chi non riesce a garantire la colazione ai figli». I dipendenti sono “incastrati” tra un contratto di lavoro da rispettare e nessuno stipendio garantito. Chi ha un contratto full time non ha il tempo di cercare alternative. Chi è vicino ai cinquanta anni ha paura di guardarsi intorno, soprattutto in Calabria. Il 26 febbraio la sezione fallimentare del Tribunale di Roma dovrà dichiarare se ci sono le condizioni per accedere all’amministrazione straordinaria o se si avvierà il fallimento. Ragusa, da dipendente e rappresentante sindacale cerca di mantenere la calma ma, dice, «è arrivato il tempo di attraccare in un porto sicuro». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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