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Cesareo: «Tamponi anche ai gatti? Vi spiego cosa significa (e perché avevo ragione)»

L’ex manager imputato a Paola: «Sosta all’Ikea con l’auto di servizio solo spezzare un viaggio. E, da dirigente, giravo su una Panda…»

Pubblicato il: 24/02/2022 – 7:03
Cesareo: «Tamponi anche ai gatti? Vi spiego cosa significa (e perché avevo ragione)»

LAMEZIA TERME «Ha dimenticato il reato più grave: concussione». Vincenzo Cesareo apre così la sua intervista con Danilo Monteleone e Ugo Floro. Già dirigente sanitario (ora in pensione) dello Spoke Ospedaliero di Cetraro-Paola, finito al centro di una inchiesta della Procura di Paola, l’ex manager ci tiene a riepilogare tutti i capi di imputazione a suo carico.

«Tamponi a cani e gatti? Frase interpretata male. E avevo ragione io»

Cesareo ha fornito la proprioa versione dei fatti. Almeno in parte, si è trattato di lavoro di esegesi sulle sue stesse parole. A iniziare dalla frase cult con la quale diceva ad un amico, nel momento più delicato della diffusione del virus e con pochi tamponi a disposizione, di portare «tutti, tutti… anche i gatti», per loro i tamponi sarebbero stati disponibili. Affermazione che ha fatto pensare all’esistenza di corsie preferenziali, perfino per gli amici a quattro zampe. Sono contestazioni, cristallizzate in atti giudiziari, davanti alle quali decideranno i Tribunali. Il prossimo step è previsto per l’8 marzo: nell’udienza preliminare che deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio formalizzata dalla Procura di Paola. Tornando a quella frase, per il medico «stava a significare che non si doveva rincorrere il virus ma circoscriverlo facendo quanti più tamponi possibile. Altro che favori agli amici…». Primo aneddoto: «Mi contestano anche i tamponi fatti alla squadra del Fuscaldo. Mi dissero che c’erano due giocatori positivi, che io non conosco neppure, e mi sono mosso per fare i test agli altri calciatori, ai membri della società sportiva e ai familiari, solo perché necessario. Ora, dopo più di un anno si fanno milioni di tamponi. Non vedo quale sia il fatto penale in questa vicenda». Come è cambiata la vita di Cesareo dopo la tempesta giudiziaria? «Io sono una persona che non si arrende – spiega –. L’inchiesta ha cambiato la vita a tanta povera gente che aveva in me un punto di riferimento serio che cercava di far rispettare i loro diritti. Io, in fondo, sono soltanto andato in pensione dopo un mese mentre avevo chiesto di restare al lavoro fino a 70 per aiutare in una fase molto delicata».

La riunione «filosofale» in Prefettura all’inizio dell’emergenza Covid 

Cesareo parla anche di quella fase delicata, con un secondo aneddoto: «Sono stato il direttore sanitario che ha trattato il primo caso di Covid in Calabria. Ero a Cosenza per un incontro istituzionale e mi dicono: “È arrivato un compaesano che vive nella cintura milanese, dove è iniziato tutto, che deve dializzare ma è positivo al Covid”. Quando è accaduto ero a una riunione in prefettura: c’erano tutti. Dopo aver ascoltato un paio di interventi ho detto: “A questo tavolo filosofale io porto un problema grave”. Nessuno, da quel momento in poi, ha più avuto il coraggio di guardarmi in faccia perché nessuno sapeva cosa fare. A quel punto ho capito che lì si faceva soltanto passerella. Così sono tornato a Cetraro e abbiamo trovato i presupposti per dializzare il paziente e garantire tutti gli altri». 

«Ero stato a Napoli per lavoro. Al ritorno passai all’Ikea per rilassarmi un attimo: dov’è il reato?»

Sui 129 casi di presunto utilizzo illecito dell’auto di servizio, l’ex manager dice: «Pensate: uno dei più alti dirigenti dell’Asp di Cosenza utilizzava una Panda. Ed ero anche il direttore sanitario di San Giovanni in Fiore, oltre che di Cetraro: ricordo che tra le due strutture ci sono più di 100 chilometri di distanza. E poi eravamo nel pieno della pandemia e io non riuscivo a garantire le turnazioni perché non avevamo personale e non avevamo i dispositivi di sicurezza». Tirando le somme: «Giravo come un forsennato per trovare i dpi. Sono riuscito a portare nello spoke migliaia di mascherine, di tutte, di calzari, cappelli e guanti per i sanitari. Questo non lo ha detto nessuno». Altro addebito: «Mi si contesta che sarei andato a Salerno all’Ikea. Diciamola tutta e per bene: quel giorno sono andato prima a Napoli, ma non per mangiare la pizza. Avevo appuntamento con il rettore dell’Università di Napoli che è il fratello di un medico dell’ospedale di San Giovanni in Fiore: sono andato a chiedergli di utilizzare specializzandi del quarto e quinto anno perché non riuscivamo a fare i turni. Eravamo in una situazione disperata. Al ritorno mi sono fermato all’Ikea per rilassarmi un attimo: ma dov’è il reato? E quella volta – continua Cesareo – in cui sono andato all’aeroporto di Lamezia, subito dopo mi sono trasferito alla Cittadella perché avevo appuntamento con il commissario alla Sanità». Dallo studio si ricorda al medico che con l’auto di servizio si va solo dove si deve, e per lavoro. Cesareo risponde: «Io avrei avuto necessità di avere un autista, ho 70 anni e varie patologie. Spezzavo i viaggi perché non ce la facevo più fisicamente». 

«Ho fatto solo del bene»

Cesareo non ha dubbi sulle proprie azioni: «Mai ho commesso leggerezze sulla salute delle persone. Ho fatto solo del bene». Altro esempio: «Mi si contesta che avrei imposto di fare un Tac a un dipendente dell’ospedale di Cetraro che ha subito un trauma gravissimo, tant’è che è stato ricoverato per mesi in Terapia intensiva. Questo dipendente aveva avuto un “miracolo”: in quel momento era stato chiamato al Rizzoli di Bologna, lo avevano messo in lista per un intervento e gli avevano chiesto una Tac. La Tac l’ha chiesta un centro di eccellenza, non Vincenzo Cesareo: il paziente si è imbattuto in un medico del Pronto soccorso che gli avrebbe consigliato di effettuale solo una radiografia. Allora è venuto da me e mi ha chiesto di aiutarlo a non perdere quella opportunità. Sono andato io giù dal medico del Pronto soccorso per convincerlo in nome della richiesta del Rizzoli: mettiamolo in condizione di poter fare questo intervento. Tutto qui».  

«Ingombrante perché ho avuto un ruolo grazie ai concorsi. Le mie denunce sempre ignorate»

Le contestazioni di Cesareo rispetto all’inchiesta saranno risolte da un giudice terzo. Lui si dice certo di essere stato «un personaggio ingombrante: forse pago il fatto di essere l’unico ad aver raggiunto posizioni direttive facendo dei concorsi e questo mi ha dato la forza per garantire agli ospedali che dirigevo un minimo di attenzione. Ma l’ho fatto solo con le mie proposte. Durante la gestione del Covid, con Zuccatelli abbiamo fatto proposte che hanno dato conforto: guardi com’è messo ora lo spoke di Cetraro e in generale la sanità calabrese. Ero ingombrante perché stavo facendo una serie di denunce per il bene dei cittadini. Davanti a queste denunce non è mai stata attivata alcuna iniziativa». (redazione@corrierecal.it

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