ROMA Giovedì da incubo nella Casa circondariale di Paola, dove solo grazie al tempestivo e professionale intervento della Polizia Penitenziaria si è impedito ad un detenuto di togliersi la vita.
La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il SAPPe, per voce del vice segretario regionale della Calabria, Salvatore Panaro: «Nelle prime ore del calar della sera di ieri, giovedì, un detenuto di cittadinanza italiana originario della Puglia, ha tentato il suicidio mediante impiccamento, utilizzando un laccio rudimentale. Il detenuto si è appartato nel bagno legando il laccio al collo, poi alle sbarre della finestra e si è lasciato andare al suo triste destino. Ed è qui che un “angelo azzurro”, un giovane poliziotto penitenziario, è intervenuto ed ha per fortuna cambiato il corso del destino dell’uomo, sottraendo alla morte la vita. Restano ignote le motivazioni che hanno portato il detenuto a porre in essere il gesto estremo. In ogni caso, il dato certo è che la scelta di togliersi la vita è originata da uno stato psicologico di disagio. La nuova direzione del carcere di Paola è molta attenta al trattamento, al rinserimento sociale dei detenuti, ma è pur vero che le chi è finito nelle maglie della devianza spesse volte è portatore di problematiche personali sociali e familiari».
Per il segretario del Sappe, «questa è la Polizia Penitenziaria pronta ad agire con gli altri operatori e con gli stessi detenuti, come in tale evento critico al carcere di Paola, per tutelare la vita dei ristretti. Questa è comunità, ma nel rispetto dei difficili ruoli che ognuno viene chiamato a svolgere per la propria parte di competenza. L’ennesimo tentato suicidio di una persona detenuta, sventato in tempo dalla professionalità ed attenzione dei poliziotti, dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari».
«L’ennesimo suicidio sventato di un detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze. E si consideri che negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 23mila tentati suicidi ed impedito che quasi 175mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze», aggiunge il segretario generale del Sappe, Donato Capece.
Il leader nazionale del Sappe richiama un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come «il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti».
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