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le indagini

Reggio, arrestati un imprenditore e tre caporali: sfruttavano i braccianti

Sei manovali reclutati in Sicilia e poi portati nella Piana di Gioia dove guadagnavano 1 euro a cassetta. Ai domiciliari i 4 presunti responsabili

Pubblicato il: 25/02/2022 – 12:42
Reggio, arrestati un imprenditore e tre caporali: sfruttavano i braccianti

REGGIO CALABRIA Il Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Reggio Calabria ha dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare (arresti domiciliari), nei confronti di un imprenditore della provincia di Siracusa e di tre “caporali”, due italiani e un tunisino, ritenuti responsabili dello sfruttamento di braccianti agricoli extracomunitari addetti alla raccolta di agrumi nella piana di Gioia Tauro. Contestualmente è stata posta sotto sequestro l’azienda di cui è titolare l’imprenditore. Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Palmi, su richiesta della locale Procura, diretta dal Procuratore Emanuele Crescenti, trae origine da un’attività investigativa avviata e condotta, nel mese di novembre 2020, dai militari del Nil di Reggio Calabria a seguito della denuncia dei sei braccianti giunti in Calabria dalla Sicilia per raccogliere mandarini.

La denuncia di un bracciante ha dato inizio alle indagini

Le indagini, coordinate dal Davide Lucisano, sostituto procuratore presso la Procura di Palmi, sono partite dalla puntuale denuncia di un bracciante vittima di questa forma nuova di schiavitù. La circostanza ha consentito ai militari dell’Arma di rassicurare gli altri lavoratori coinvolti e attivarne la fiducia nella giustizia italiana, permettendo dunque di riscontrare il narrato del lavoratore denunciante e di accertare che il “caporale” tunisino reclutava, in Sicilia, braccianti agricoli in profondo stato di bisogno per destinarli nella raccolta dei mandarini nella piana di Gioia Tauro promettendo loro ottimi guadagni. Una volta giunti nella provincia reggina, i braccianti, venivano svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati nelle aziende agricole, dove prestavano la propria opera fino a tarda sera sotto la stretta sorveglianza dei due “caporali” siciliani e la minaccia di licenziamento immediato qualora si fossero ribellati a quelle condizioni di lavoro. Il loro compenso era di appena un euro per ogni cassetta raccolta. Ai lavoratori non venivano forniti nemmeno i previsti dispositivi di protezione, in spregio alle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, non garantendo loro nemmeno alcuna forma di prevenzione alla diffusione della pandemia da Covid-19. E’ stato denunciato all’Autorità giudiziaria anche il gestore della struttura ricettiva di Palmi che aveva omesso di comunicare all’autorità di Pubblica Sicurezza i dati dei braccianti extracomunitari in essa alloggiati.

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