REGGIO CALABRIA «Esiste una variante che, come quelle del virus, provoca malattia e morte sociale indebolendo la democrazia e ostacolando il cambiamento». È la “variante criminale”, «non una malattia recente», ma che ha saputo adattarsi ai tempi e ai fenomeni al fine di cogliere le opportunità offerte dalla globalizzazione. Questo un estratto dalla prefazione di don Luigi Ciotti alla seconda edizione del rapporto La tempesta perfetta dell’associazione Libera e lavialibera, che racconta numeri e dinamiche criminali al tempo della pandemia. Dati che si concentrano su fattispecie criminali, come ad esempio il riciclaggio di capitali, che restituiscono l’immagine delle «mafie diventate “imprenditrici”» per cui «nella testa arcaica dei boss si è impiantata la visione moderna dei manager». Aspetti, come già anticipato nel rapporto del 2021 e pronosticato a più riprese fin dal dispiegamento dei primi effetti socio-economici del virus, divenuti preponderanti in questi ultimi due anni senza risparmiare alcun territorio. Non certo la Calabria. «La mutazione criminale – si legge nella premessa del rapporto – non scomparirà con la pandemia, anzi: potrebbe diventare il nuovo modello delle mafie in affari». In un’intervista a lavialibera inserita nel precedente rapporto, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, aveva sottolineato questa deriva invitando a una permeante azione di carattere preventivo. «Gli analisti mafiosi – spiega il magistrato – su incarico delle grandi organizzazioni criminali, saranno chiamati a individuare i settori produttivi più appetibili, in cui immettere gli enormi capitali sporchi di cui il complessivo sistema mafioso dispone. I vertici programmeranno, senza ombra di dubbio, la più imponente operazione di doping finanziario generata da capitali mafiosi che la storia recente ricordi, in grado di destabilizzare ampie fasce di economia legale. […] Quando l’emergenza sarà finita, il sistema criminale mafioso cercherà di stabilizzare il suo ruolo nel mutato scenario economico mondiale». La fine di marzo è, almeno per ora, individuata come il termine dello “stato di emergenza” legato alla pandemia, mentre un’altra crisi mondiale soffia da Est con ulteriori effetti devastanti sull’economia. Nel frattempo i dati di questi ultimi due anni scanditi tra l’incremento delle segnalazioni sospette (+24% rispetto al 2018/19), delle interdittive antimafia (+33%), dei delitti informatici (+38%) e delle frodi informatiche (+32%) fotografano una realtà nuova, prevista e inevitabile.
Nell’attingere al «supermarket Covid» nella «fase iniziale dell’epidemia – nelle parole del direttore dell’Uif (Unità di Informazioni Finanziaria presso la Banca d’Italia) audito in Commissione antimafia a gennaio 2021 – è emerso l’interesse anche di soggetti presumibilmente legati ad ambienti della criminalità organizzata a entrare nel comparto della produzione o della commercializzazione di prodotti sanitari, medicali e di dispositivi di protezione individuali». Col calo dei prezzi delle mascherine e la maggiore reperibilità dei dpi, le mire criminali sono cambiate tanto che nella seconda fase sono emerse con «maggior frequenza ipotesi di vere e proprie infiltrazioni nelle imprese e tentativi di appropriazione di fondi pubblici destinati al sostegno all’economia».
«La “variante criminalità” – recita il rapporto – ha trovato la sua diffusione nel numero delle segnalazioni di operazioni sospette» ritenute attendibili per il 54% negli ultimi 5 anni dalla guardia di finanza. «La pandemia legata al Covid ha introdotto nuovi rischi di riciclaggio e ne ha accentuato altri già diffusi nell’economia». Nel biennio 2020/2021 si è raggiunta la cifra complessiva di 252.711 segnalazioni rispetto alle quali ben sette regioni tra cui la Calabria si trovano «in zona rossa». La regione si piazza al quinto posto nella classifica nazionale con 7.195 segnalazioni nel biennio di riferimento e una variazione del 31% rispetto al precedente.
L’Uif ha inoltre provato a mappare le imprese operanti in Italia «potenzialmente connesse a contesti di criminalità organizzata arrivando a identificarne 150mila attive a novembre 2020. Il 41,9% sarebbero situate a Sud e nelle Isole con picchi in Calabria, Campania e Sicilia. Su altro piano, in regione si registra un incremento del 27% delle interdittive antimafia che proviene dalla comparazione dei dati tra il biennio 2018/19 (720) e quello successivo (914).
L’economia italiana deve inoltre guardarsi dall’offensiva dei cybercriminali. Nel biennio pandemico «secondo i dati della polizia postale si sono registrati 174 attacchi informatici ai sistemi finanziari di grandi e medie imprese» che hanno provocato l’illecita sottrazione di decine di milioni di euro. La criminalità cambia e così anche le competenze degli addetti ai lavori. «Sempre di più, il prezzo delle estorsioni è il bitcoin», spiega Nunzia Ciardi, numero due dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Un aspetto emblematico di un fenomeno esploso con la pandemia dove «è aumentato inizialmente il commercio online» e via via si è avuto un progressivo adattamento ai nuovi sistemi di circolazione della ricchezza. Di conseguenza, come dimostrato dalla recente inchiesta “Crypto” della Dda di Reggio Calabria, anche i meccanismi di resistenza criminale sono andati sofisticandosi, aprendo a piattaforme come ad esempio Eurochat «fortemente utilizzata soprattutto nel traffico di droga». Anche in questo caso la Calabria guadagna la «zona rossa». Secondo il report, i delitti informatici sono cresciuti del 38% in Italia nell’ultimo biennio. Il primato va alla Basilicata con un incremento dell’83% mentre in Calabria è di poco inferiore alla media nazionale con il 36%. Di fatti rispetto ai 601 delitti informatici censiti nel 2018/19, alla punta della penisola si contano 819 casi simili nell’ultimo biennio. «Zona arancione» per quanto riguarda invece le truffe e frodi informatiche. La Calabria in questa classifica è terz’ultima con 14.436 casi censiti nel 2020/21 rispetto ai 12.379 del biennio precedente (con un incremento pari al 17%).
Cuore pulsante del rapporto che mappa le dinamiche criminali al tempo della pandemia è certamente il settore sanitario o dell’«InSanità».
«La pandemia – evidenzia il rapporto – ha imposto una brusca accelerazione forzosa dei processi decisionali in ambito sanitario» tale che «il sistema di acquisizione di beni e servizi» sia stato «sovvertito» ed «è noto che laddove saltino i meccanismi di controllo e si ampli la discrezionalità della scelta, attraverso deroghe, contrattazioni dirette, affidamenti sotto-soglia, il rischio di condotte corruttive è maggiore». Dall’inizio della pandemia al 6 dicembre 2021 è stata messa a base d’asta per l’emergenza una cifra intorno ai 28 miliardi di euro creandosi il problema della conoscibilità della spesa Covid effettiva. «È ancora estremamente difficile avere dati completi», recita il rapporto, che richiama in tal senso l’importanza dell’attivazione del monitoraggio civico.
Sulla base dei dati conoscibili viene elaborata una classifica su scala regionale nella quale la Calabria conquista il terzo posto in termini negativi seguendo ad Abruzzo e Basilicata, “maglia nera”.
In regione si contano 44,89 milioni di euro a base d’asta di cui solo 8,36 risultano oggetto di aggiudicazioni. L’indice di «non piena conoscibilità» della destinazione dei fondi Covid in Calabria varia dall’85% del 2020 all’81% dell’anno successivo.
Nel primo rapporto sui possibili effetti indotti dalla pandemia, la Direzione investigativa antimafia parlava di «welfare alternativo» nell’individuare le possibili mire criminali nel breve periodo. Manifestazione concreta di questo aspetto è il mercato dell’usura «sempre più in mano a gruppi organizzati», alimentato dal bisogno di liquidità immediata di molti esercizi commerciali stretti nella morsa della pandemia. A dispetto delle previsioni, in questo caso la Calabria si classifica in «zona bianca» con 17 casi censiti nel biennio 2018/19 e tre in meno in quello successivo.
Sempre con riguardo agli effetti della pandemia su imprenditori e commercianti, più emblematica è la fotografia che riguarda il settore della ristorazione, tra i più colpiti. A livello nazionale si registra un crollo dei ricavi del 56% da associarsi al forte deficit di liquidità per le imprese. «Per effetto del Covid è possibile individuare quasi 9.547 società con forti tensioni finanziarie, che potrebbero essere oggetto di infiltrazioni criminali e/o riciclaggio di fondi illeciti», evidenzia Cerved. Col 40%, in termini di incidenza percentuale sul sistema produttivo, la Calabria guadagna la “maglia nera” seguita da Sicilia, Abruzzo e Lazio. Il rapporto si sofferma quindi sulla «catena della Ristomafia Spa» da considerarsi «la lavanderia Italia» per ripulire soldi sporchi. Un settore dove «più che di infiltrazione parliamo ormai di vera infezione», secondo il rapporto. «I boss della ristorazione usano prestanome per società che comprano e vendono rapidamente le attività». Insospettabili professionisti, imprenditori, commercialisti, che curano finanche i minimi dettagli tanto da far avere ai locali dei boss le migliori recensioni sulle piattaforme online. «Un locale – spiega Alessandra Dolci della Dda di Milano – è attrattivo per la criminalità perché consente il riciclaggio grazie alla movimentazione del denaro e il controllo del territorio soprattutto nelle realtà periferiche, come accadeva nello storico bar Lyons […] dove si incontravano i principali esponenti della ‘ndrangheta della periferia milanese. Senza dimenticare che offre posti di lavoro legali, utilizzati anche per ripulire la reputazione di persone sottoposte a misure di prevenzione, perché allarga la cerchia delle relazioni sociali e comode basi logistiche». Secondo il report, a fronte della maturata situazione di vulnerabilità delle imprese della ristorazione in Calabria sarebbero 257 quelle a rischio infiltrazione. La quota rischiosa della regione (39,50%) è la più alta in Italia sebbene nella classifica si piazzi al terzo posto contro le oltre mille attività a rischio in Campania e le 767 in Sicilia.
Il mercato della droga, che «si conferma il principale motore di tutte le attività illecite svolte dai grandi sodalizi», dal canto suo, non si è mai fermato pur scontando un contraccolpo iniziale causato dal primo lockdown. «II numero dei sequestri nei porti nel 2020 per gli stupefacenti è schizzato rispetto al 2019 del +204% e rappresenta un indicatore indiretto della salute degli affari delle cosche». «Gli analisti dell’antimafia – aggiunge il rapporto – ipotizzano, in linea generale, che per ogni chilo sequestrato riesce a superare le ispezioni un quantitativo superiore di almeno tre volte». La scansione temporale dei rinvenimenti mostra una concentrazione nei mesi di gennaio-febbraio (3.330 chili nel porto di Livorno, 338 chili nel porto di La Spezia e 1.128 chili nel porto di Gioia Tauro), ossia nella fase antecedente al lockdown, e, poi, nel periodo ottobre-dicembre, alla ripresa delle attività commerciali su larga scala (2.862 chili in quattro distinte operazioni, tre nel porto di Gioia Tauro e una in quello di Ancona).
Il porto di Gioia Tauro si conferma «scalo strategico per posizione geografica e per volumi di merci in transito, che, anche nel 2020, ha consolidato la sua centralità nelle importazioni di cocaina». Solo nella Piana sono state effettuate 24 operazioni che hanno portato al sequestro di 6 tonnellate di cocaina, corrispondenti al 45% del volume complessivo dei sequestri effettuati in ambito nazionale. «La ’ndrangheta dispone dei migliori canali di approvvigionamento e il traffico di stupefacenti non ha conosciuto lockdown». Il traffico di cocaina, in effetti, resta l’affare principale dal quale le cosche calabresi traggono forza economica. I numeri lievitano ulteriormente nel primo trimestre del 2021 con sequestri per oltre sei tonnellate, pari all’88 per cento del totale dei sequestri eseguiti sul territorio nazionale. (redazione@corrierecal.it)
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