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L’intervista

Libertà di stampa. Spampinato: «Giusto lanciare l’allarme in Calabria»

Il fondatore e direttore di “Ossigeno” rilancia la denuncia sollevata dal Corriere e da altre testate sulle querele temerarie: «Non è più tempo di subire gli attacchi in silenzio»

Pubblicato il: 02/03/2022 – 6:03
di Roberto De Santo
Libertà di stampa. Spampinato: «Giusto lanciare l’allarme in Calabria»

LAMEZIA TERME «È pienamente giustificato l’allarme che avete lanciato. La Calabria risulta essere in testa alla classifica italiana per azioni intimidatorie esercitate con querele temerarie». Alberto Spampinato, giornalista, fondatore e direttore di “Ossigeno per l’informazione” – l’osservatorio sui cronisti italiani minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza – condivide totalmente l’iniziativa promossa dal Corriere della Calabria assieme ad altre testate, all’ordine e al sindacato dei giornalisti. E si dice pronto a sottoscrivere la campagna, mettere a disposizione l’esperienza pluriennale di “Ossigeno” e a diffondere «l’appello a livello internazionale».
Dal 2012 Spampinato è consulente del rappresentante per la Libertà dei Media dell’Osce, dell’Agcom e della Commissione Parlamentare Antimafia per le violazione della libertà di stampa compiute con violenze e abusi.
Per difendersi dalle querele temerarie, il presidente di “Ossigeno” invita i giornalisti a denunciare pubblicamente gli «attacchi pretestuosi». «Non è più tempo – dice – di subire gli attacchi in silenzio». Poi Spampinato, lancia un appello rivolto a Governo e Parlamento per promuovere iniziative legislative tese a modificare le norme sulla diffamazione a mezzo stampa definite «norme canaglia»: «Non possono continuare a rinviare modifiche legislative urgenti, come fanno da oltre un decennio. Non c’è tempo da perdere».

Direttore, “Ossigeno per l’Informazione” si sta battendo da tempo anche contro le denunce temerarie. Perché in regioni come la Calabria questa è una battaglia ancor più giusta da portare avanti?
«Io e i miei collaboratori dell’Osservatorio studiamo e documentiamo questo triste fenomeno dal 2008. Abbiamo cominciato quando nessuno voleva parlarne. Per rompere il silenzio abbiamo raccontato, uno dopo l’altro, migliaia di episodi di minacce e intimidazioni contro i giornalisti, superando ogni volta la comprensibile reticenza delle vittime e l’ostilità di chi teorizzava che il silenzio fosse la migliore risposta. La Calabria ci è apparsa fin dall’inizio la regione italiana con la più alta pressione intimidatoria, esercitata con la violenza e l’abuso delle querele e delle cause per diffamazione pretestuose, usate per imbavagliare giornali e giornalisti che pubblicano notizie sgradite. Lo abbiamo documentato alla Commissione Parlamentare antimafia nel 2012 e poi nel 2015. Nel 2021 la Calabria risulta ancora in testa alla classifica, insieme alla Sicilia. Dunque l’allarme lanciato venerdì scorso in modo corale dal vostro e dagli altri giornali ci sembra pienamente giustificato ed è molto importante che sia firmato anche dall’Ordine, dal sindacato e dall’Unci regionale, perché questo problema è comune ai giornalisti e agli editori. Era tempo che i bersagli di questi attacchi assolutamente ingiustificabili dimostrassero la volontà collettiva di respingere questi veri e propri bavagli. Reagire collettivamente è il modo più efficace di dire al Governo e al Parlamento che non hanno alibi, che non possono continuare a rinviare modifiche legislative urgenti, come fanno da oltre un decennio. Neppure il fatto che questa legislatura finirà fra meno di un anno è una giustificazione valida. Anzi, ciò rende la questione ancora più urgente perché il mancato intervento stavolta sarà giudicato dagli elettori. Non c’è tempo da perdere».

Che strumenti possiedono al momento i giornalisti e le testate – spesso con ridotte risorse economiche a queste latitudini – per difendersi contro tale genere di attacco?
«La prima arma è il coraggio della denuncia: non è più tempo di subire gli attacchi in silenzio. Bisogna renderli pubblici, con prudenza, senza alzare i toni, ma sistematicamente, superando quel senso di vergogna che finora ha prevalso e che non ha ragione di esistere di fronte ad attacchi pretestuosi. Un’altra arma è la solidarietà collettiva: dobbiamo imparare a reagire pubblicamente anche quando viene attaccato un giornale concorrente, se non vogliamo fare il gioco di chi isola i suoi bersagli uno ad uno per colpirli meglio. Un altro fronte è quello della magistratura, che non è una controparte. È vero che le norme sulla diffamazione a mezzo stampa sono “norme canaglia” e devono essere cambiate subito, ma è anche vero che nell’attuale ordinamento ci sono strumenti di deterrenza che possono essere impiegati e invece restano quasi sempre inapplicati: la punizione per lite temeraria, il procedimento d’ufficio per calunnia per chi ha querelato o fatto causa per diffamazione muovendo accuse documentalmente false, l’applicazione dell’aggravante della modalità mafiosa per numerosi attacchi fisici, e così via. Ci sono molti strumenti di difesa attiva che possono essere promossi, anche sollecitando la collaborazione della parte più sensibile della magistratura. Alla conferenza “Ossigeno”-Unesco del 3 novembre 2021 a Siracusa sono state presentate varie proposte oltre a quella di Federico Cafiero De Rho citata nel vostro documento del 25 febbraio scorso».

Hai notato una maggiore sensibilità da parte del mondo politico o almeno di una parte, sul tema delle querele temerarie?
«Sì, alcuni settori politici si mostrano più sensibili, più comprensivi, ma non abbastanza. Tuttora manca la volontà politica. Lo abbiamo detto più volte. Lo ha detto anche la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic, che ha seguito con noi l’incredibile vicenda di questi progetti di legge che all’inizio di ogni legislatura nascono bene e poi, alla fine della legislatura, muoiono senza essere approvati. Il problema è che i media non seguono queste vicende e non ne danno notizia. Così nessuno perde o guadagna voti, se si approvano o non si approvano questi provvedimenti a difesa della libertà di stampa. Mobilitare l’opinione pubblica può fare la differenza».

Quali potrebbero essere le misure per limitare gli effetti delle querele temerarie sulla libertà di stampa?
«Ci sono già in Parlamento molte buone proposte. Una è quella citata da Cafiero De Raho. Un’altra chiede di non procedere contro chi pubblica la rettifica. Un’altra limita la responsabilità del direttore per ogni singola parola pubblicata. “Ossigeno” e l’Associazione Stampa Romana hanno proposto di introdurre il reato di ostacolo all’informazione per chi deliberatamente impedisce di esercitare il diritto di cronaca e la libertà di espressione. Le idee e le proposte non mancano. Il problema è che in Parlamento e nei partiti prevale la volontà politica di preservare lo status quo o addirittura di peggiorarlo, per tenere giornali e giornalisti “sotto botta”».

Come far passare questo messaggio al grande pubblico e non farlo apparire una questione di “casta”?
«Il modo è semplicissimo: raccontare i fatti di cui si è vittima per quel che sono, difendendo pubblicamente le proprie ragioni quando sono giuste e riconoscendo gli errori quando si è in torto, ospitando le repliche quando non sono offensive. Ovvero usando il giornalismo per salvare il giornalismo. Così si conquista la fiducia dei lettori. Con questo metodo “Ossigeno” è riuscito ad accendere la luce su questa materia. Se tutti i media facessero lo stesso si accenderebbero i riflettori e i lettori si renderebbero conto da soli che, quando viene colpito un giornale o un giornalista, si impedisce proprio a loro di sapere ciò che accade».

L’iniziativa contro le querele attivata dal Corriere della Calabria assieme ad altre testate, all’Ordine e al sindacato di giornalisti calabresi può rappresentare una strada per raccogliere adesioni anche fuori regione e farla diventare una battaglia da portare in Parlamento?
«Penso di sì, se si imposta una campagna di lungo respiro, se si tiene fermo l’obiettivo e unito il gruppo dei promotori, ovviamente aprendolo a chi veramente condivide lo spirito dell’iniziativa. Non basta dare una spallata. Diversamente il rischio è quello di aver acceso solo un “fuoco di paglia”. Ricordo che il 27 agosto 2010, il giornalista Matteo Cosenza, allora direttore del Quotidiano della Calabria, lanciò un forte allarme contro il condizionamento mafioso. Ottenne un enorme plauso e il 25 settembre ci fu una grande manifestazione a Reggio Calabria. Ma finì lì».

Quale impegno come “Ossigeno per l’informazione” ti senti di prendere per sposare questa iniziativa. È ipotizzabile una grande mobilitazione, magari che prenda le mosse dalla Calabria?
«Si può aggiungere la firma di “Ossigeno” alla denuncia che avete lanciato. Ma credo che adesso, innanzitutto, occorra radicare l’iniziativa in Calabria. “Ossigeno” mette a disposizione i suoi dati, la sua esperienza e la sua competenza specifica. Inoltre diffonderà l’appello a livello internazionale, continuerà a seguire le iniziative dei promotori e a documentare pubblicamente episodi che provano con la forza dei fatti la fondatezza dell’allarme e la presenza dello stesso fenomeno anche nelle altre regioni». (r.desanto@corrierecal.it)

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