La Regione Calabria ha quasi completato l’invio delle 401 schede che le cinque Asp hanno predisposto per le 91 strutture di assistenza territoriale previste (qui il nostro servizio della scorsa settimana sugli obiettivi e le difficoltà del progetto), la digitalizzazione dei reparti, le «grandi tecnologie» e gli adeguamenti antisismici riferiti alla voce «Ospedale sicuro». Si tratta degli interventi della Componente 1 e della Componente 2 della Misura 6 del Pnrr.
Lo scorso 28 febbraio il Consiglio regionale della Calabria ha approvato alcune modifiche (qui il dettaglio), indicate dall’esecutivo Draghi, alla legge istitutiva dell’ente di governo della Sanità Calabrese, Azienda Zero, che di conseguenza avrà anche il compito di dirigere, coordinare e controllare «il sistema regionale dell’emergenza-urgenza 118 ed elisoccorso», come di sovrintendere al «numero unico di emergenza (Nue) 112 assicurando la transizione delle attuali competenze».
Seppure abbia 31 dipendenti fissi sui 130 stabiliti dalla pianta organica, il dipartimento regionale Tutela della salute ha redatto le linee guida di «preparazione e risposta a una pandemia influenzale». Con un ulteriore atto di impegno, lo stesso dipartimento ha inoltre assegnato alle aziende del Ssr le somme disponibili per la ripresa degli interventi chirurgici programmati e degli screening oncologici non eseguiti a causa dell’emergenza provocata dal nuovo coronavirus. Quindi il presidente della Regione e commissario alla Sanità, Roberto Occhiuto, ha firmato i due relativi Piani: uno per la gestione di future pandemie influenzali; l’altro per il recupero, con gli appositi stanziamenti dello Stato, di parte delle prestazioni non erogate negli ultimi due anni.
La Regione sta inoltre cercando risorse per la proroga dei contratti a termine del personale sanitario finora impiegato nelle unità anti-Covid.
Il problema più sentito resta il potenziamento dell’assistenza territoriale con i soldi del Pnrr. Il motivo principale, spiega un importante tecnico del settore, è che «i finanziamenti europei vengono dati per stati di avanzamento, per cui si rischierà, se saranno spesi male, di doverli restituire, di creare cattedrali nel deserto come quelle che già esistono in Calabria e di sciupare un’opportunità irripetibile». Peraltro, Francesco Esposito, segretario nazionale della Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti-Fismu, ammonisce che nel merito «manca una visione complessiva», «si prosegue con la logica dell’improvvisazione» e «siamo alle solite», in quanto «si paventa la riapertura dei piccoli ospedali, ancora una volta con un’impostazione populista, invece di dire, con onestà, che queste strutture vanno riconvertite, altrimenti rappresentano un pericolo per i pazienti stessi». Poi Esposito lamenta: «La rete dell’emergenza-urgenza in Calabria è allo sfascio e ancora non ci sono proposte sul tavolo. Siamo sinceramente preoccupati per i cittadini e i medici calabresi che rischiano di vedere l’ennesima occasione sprecata» (qui le dichiarazioni integrali). Gli fa eco il deputato dem Antonio Viscomi, capogruppo del Pd in commissione Lavoro, che sulla riorganizzazione in ponte auspica «un patto sociale forte tra tutti i portatori di interesse, professionali e istituzionali, capace di trovare nella casa comune dei calabresi, cioè nel Consiglio regionale, la sede pertinente per l’elaborazione di una visione condivisa che guardi al futuro ma che sia anche in grado di dare risposte immediate ai bisogni di sanità dei cittadini» (qui la posizione espressa dal parlamentare).
L’assistenza territoriale è piuttosto sofferente in tutta l’Italia, ma in Calabria presenta criticità più accentuate, sia per la carenza di personale e di strumenti operativi, sia perché scollegata dalla rete ospedaliera. Con il Pnrr, il ministro della Salute, Roberto Speranza, tenta di dare – insieme a Occhiuto – una risposta al bisogno di salute e all’esigenza di alleggerire i carichi degli ospedali. Ma va considerata la questione degli standard assistenziali, che non possono essere uniformi per tutto il territorio nazionale, sul presupposto logico che andrebbero favorite le regioni più svantaggiate in termini di viabilità, rigidità climatiche, deprivazione sanitaria, maggiore incidenza di patologie croniche, povertà e vulnerabilità sociale. Basti pensare, al riguardo, alle diagnosi e cure dei pazienti oncologici calabresi, spesso obbligati a continui spostamenti per combattere la loro malattia.
Nel contesto generale di ricostruzione dell’assistenza sanitaria calabrese, ci sono fatti rilevanti. Nata nel 2016, la Cardiochirurgia pubblica di Reggio Calabria, diretta da Pasquale Fratto, già in servizio all’ospedale Niguarda di Milano e con esperienze formative e professionali all’estero, si distingue per qualità. «Il nostro Centro – racconta Fratto – ha già realizzato un audit interno (analisi di processi e risultati) tra i più completi del panorama nazionale, con dati di mortalità e di morbidità a 30 giorni. Agenas, con il suo Piano nazionale esiti (Pne) 2021, ha confermato e riconosciuto gli eccellenti risultati che abbiamo ottenuto sia nel bypass coronarico elettivo, con una mortalità di 0,51%, che della chirurgia valvolare elettiva, con una mortalità del 1,71%. Questi risultati pongono il Centro Cuore del Grande ospedale metropolitano (Gom) reggino tra i migliori Centri italiani per mortalità a 30 giorni».
«Ciononostante, per poter aumentare l’offerta il Centro – ammette Fratto – ha bisogno di anestesisti, chirurghi e soprattutto infermieri. Viviamo anche noi le note difficoltà del sistema sanitario regionale, ma è forte l’impegno del nostro personale, ad ogni livello, per dare risposte all’utenza mantenendo elevati standard assistenziali. La nostra Cardiochirurgia – precisa – ha 7 medici, di cui 3 calabresi. Per il resto del Centro Cuore, la maggior parte dei colleghi e del personale in generale è quasi interamente calabrese».
Il Centro Cuore pubblico di Reggio Calabria è molto attrezzato e moderno, per quanto ancora poco conosciuto. «Lavoriamo in completa sinergia quasi fossimo un unico reparto. Cardiologia, Unità coronarica, Emodinamica, Cardiochirurgia e Cardioanestesia-Terapia intensiva cardiochirurgia – spiega Fratto – sono collocate sullo stesso piano una accanto all’altra, ottimizzando evidentemente la collaborazione. Abbiamo realizzato inoltre un vero Heart-team, cioè un gruppo di lavoro multidisciplinare con riunioni settimanali per casi complessi. Inoltre siamo uno dei pochi ospedali in Italia con tanto di delibera ospedaliera che riconosce ufficialmente l’Heart-team per il trattamento delle cardiopatie strutturali e coronariche complesse. Segnalo, ancora, la strettissima collaborazione con tutte le altre specialità dell’ospedale, specie con la Chirurgia vascolare per il trattamento della patologia complessa in elezione ed emergenza/urgenza dell’aorta toracica con tecniche endovascolari».
«Insomma, dal punto di vista strutturale – assicura il primario della Cardiochirurgia reggina – non ci manca nulla, abbiamo tutto, state of art di strumentazioni e devices, soprattutto per la chirurgia mininvasiva e trans catetere delle malattie valvolari, che utilizziamo regolarmente e per il trattamento dell’insufficienza cardiaca terminale. Servirebbe qualche posto letto in più, ne abbiamo solo 12, al fine di aumentare l’offerta e diminuire la migrazione sanitaria». È la stessa necessità espressa dal direttore della Cardiochirurgia universitaria di Catanzaro, Pasquale Mastroroberto (leggi qui), che ha registrato risultati altrettanto importanti.
Tanti residenti, però, continuano ad andare fuori regione per il trattamento chirurgico delle patologie cardiache. «In proposito – osserva Fratto – gioca un ruolo fondamentale la sfiducia dei calabresi nella sanità regionale, legata evidentemente a problematiche di natura organizzativa. È un fatto abbastanza culturale, collegato alla convinzione che bisogna salire sempre più a Nord. Pochi si documentano per vedere risultati e volumi dei Centri calabresi. Poi c’è il problema delle liste d’attesa, che sono molto lunghe. Questo determina spesso una movimentazione verso i Centri di altre regioni che hanno in Calabria propri “referenti”, i quali intercettano i pazienti cardiopatici, come succede per ogni specialità, immagino. Ciò avviene soprattutto per quelle patologie remunerative con Drg lievitati (rimborsi) per i malati fuori regione. Sono risorse appetibili a discapito degli stessi calabresi, che così facendo procurano un doppio danno: pagando di tasca propria in prima istanza e poi rimborsando a prezzo maggiorato le altre regioni. Di conseguenza, la Calabria ha a disposizione minori risorse. L’emigrazione sanitaria è corretta per le patologie non trattate in Calabria, ma per lo più è “dopata” per tutta una serie di interventi che potrebbero essere eseguiti qui, nel nostro territorio».
In quanto al rapporto tra la Cardiochirurgia reggina e quella universitaria di Catanzaro, Fratto parla di «ottime relazioni, personali e professionali, legate ad una convenzione in virtù della quale siamo nella rete formativa degli specializzandi». «Si potrebbe lavorare in rete – suggerisce – strutturando e migliorando la collaborazione sulla gestione dei pazienti in emergenza/urgenza, come succede in altre regioni italiane, all’interno del dipartimento regionale della Salute».
Il primario Fratto ritiene, poi, che sia giusto fare chiarezza sull’Ecmo, di cui si è tornato a discutere a seguito della morte della piccola Ginevra per Covid, vicenda su cui il commissario Occhiuto ha peraltro disposto un’indagine specifica (leggi qui). «È una macchina – puntualizza – che può avere due applicazioni: sostituire le funzioni del solo polmone (veno-venoso), oppure del cuore e polmone insieme (veno-arterioso). Pertanto può essere utilizzato per lo più dagli anestesisti-intensivisti quando i polmoni non funzionano, per un recupero dell’organo o quale “ponte” per il trapianto di polmoni. Nel caso in cui invece il cuore non funzioni per svariati motivi (scompensi acuti, infarto miocardico, miocarditi, ponte al trapianto cardiaco etc), il collegamento alla macchina viene fatto dai cardiochirurghi che hanno regolarmente un Ecmo veno-arterioso nel proprio armamentario. Nel Centro cardiochirurgico di Reggio abbiamo 2 macchine del genere, che abbiamo utilizzato nella modalità veno-arteriosa (12 i casi trattati con successo negli ultimi 4 anni) e utilizziamo regolarmente in caso di necessità, anche se tale assistenza è temporanea. L’Ecmo ha inoltre applicazione nei neonati/bambini. Nella fattispecie è gestito dai cardiochirurghi e anestesisti pediatrici, per lo più nella forma veno-arteriosa. Va spiegato e sottolineato che i risultati dei pazienti che ricevono un Ecmo sono ancora deludenti, con una mortalità che varia, a seconda delle problematiche, tra il 60% e l’80%». Tra l’altro, «una Cardiochirurgia pediatrica ha senso – osserva Fratto – per un bacino d’utenza di 5-7 milioni di abitanti». «Inoltre – aggiunge – la diagnosi precoce prima del parto ha sensibilmente ridotto il numero di bambini che necessitano di interventi chirurgici. Pertanto, a mio parere in Calabria non è giustificato un Centro di Cardiochirurgia pediatrica».
«Il Gom di Reggio – sottolinea il primario cardiochirurgo – è stato investito da un’ondata pandemica cui ha dato risposte importanti, convertendo le proprie forze a favore dei pazienti Covid. E, al pari di tutte le altre unità ospedaliere, noi non ci siamo sottratti, per cui abbiamo fornito personale medico ed infermieristico al Centro Covid. Nel complesso, però, abbiamo mantenuto gli stessi volumi di attività, recuperando durante l’estate».
Tanto sforzo non può passare inosservato, secondo Fratto, che ritiene «uno slogan diffuso la narrazione che la sanità in Calabria non funzioni; uno slogan da combattere con seri modelli organizzativi ed investimenti».
Il primario pensa che sia «legittimo oltre che economicamente vantaggioso, che i calabresi si curino nella propria regione», riconoscendo che «c’è ancora tanto lavoro da fare a tutti i livelli, per invertire la tendenza e migliorare il servizio sanitario». Ma, sostiene, «il messaggio da dare ai pazienti calabresi è di documentarsi prima di andare fuori regione, di non dare per scontato che in Calabria sia tutto negativo». Per esempio, «le Cardiochirurgie calabresi – rimarca – sono in grado di dare risposte con risultati non inferiori ai Centri del Nord», sicché «l’invito ai decisori politici è di valorizzare i tanti professionisti validi presenti sul territorio e, dove non ci sono, incentivare i professionisti a lavorare in Calabria».
«La riduzione delle liste d’attesa, e soprattutto della migrazione sanitaria per qualsiasi malattia, si realizza solo – conclude Fratto – con massicci investimenti, selettivi e razionali. Non si può pensare di risolvere il problema sanitario in Calabria soltanto con tagli permanenti, indiscriminati e spesso incomprensibili. Bisogna dare un’immagine diversa, partendo per esempio dagli ospedali: strutture nuove, belle ed efficienti come segnale del reale cambiamento». (redazione@corrierecal.it)
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