“Papà, sei triste?”, chiede mia figlia, che ha quindici anni, mentre ascolto le ultime notizie alla Tv. Non usa il termine “preoccupato”, che sarebbe, all’apparenza, più consono. Nella sua percezione ingenua (dal latino ingenuus, che significa “nato libero”), comprende, meglio di noi adulti, le emozioni sul volto delle persone. Ho l’animo invaso dalla tristezza. Un misto di impotenza e di mestizia. Impotenza perché penso che come cittadini non contiamo nulla: è solo “il potere” che decide, in base alle sue convenienze, chi è il nemico e come abbatterlo. Al potere non importano le persone: uomini, donne, bimbi, anziani. Non gli interessano le vite dei singoli e delle famiglie. Mestizia di fronte alla cattiveria, al cinismo, all’opportunismo che caratterizza questa drammatica fase della storia dell’umanità. Nell’eterna tensione fra l’istinto di vita e quello di morte, fra eros e thanatos, sembra ormai aver prevalso il secondo, in tutte le sue forme: dal nichilismo individuale alla guerra totale, appunto. Ed è proprio thanatos che imperversa sui media, in forma di fiction o di reality. Con gran dispiego di crudeltà e violenze e con qualche pennellata falsamente “erotica”. Mi riferisco, sul piano di thanatos, alle immagini crude delle violenze offerte ossessivamente in Tv e sui social-media, con tragico sadismo. E mi riferisco anche, sul piano di eros, ai gesti caritatevoli, a quelli altruistici, ai segni di una rediviva aspirazione al martirio per puro amor di patria.
“Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?” chiese Albert Einstein a Sigmund Freud in una lettera del 1932, aggiungendo, a mo’ di commento: “Non penso qui affatto alle cosiddette masse incolte. L’esperienza prova che piuttosto la cosiddetta intellighenzia [oggi, potremmo dire, le élite al potere – n.d.r. -] cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, perché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata [oggi i media – n.d.r.-]”. È come se il grande fisico teorico chiedesse aiuto al grande psichiatra e psicoanalista sul come trovare un rimedio al prevalere dell’istinto distruttivo. E nello stesso tempo fosse convinto che l’imbarcarsi in una guerra non sia mai una scelta dei popoli – che sempre la subiscono – ma solo delle élite più colte e potenti. Einstein non poteva sapere quel che oggi ben sanno perfino i più umili impiegati di banca, coloro che, nonostante il disastro delle borse, devono convincere i risparmiatori a non disinvestire: “dopo ogni catastrofe c’è sempre una ripresa, dopo la recessione c’è la crescita; ed è lì che si fanno affari d’oro.” Anche se – aggiungiamo noi – a fare affari sono sempre e solo quelle élite, sulla pelle dei morti, dei feriti, delle città e delle campagne devastate.
Per imporre alla gente comune questa strategia cinicamente “distruttiva”, il potere ha un grandioso strumento: la propaganda mediatica. Una (dis)informazione martellante ed appiattita alla volontà del potere è essenziale, in un’impresa bellica, almeno quanto un esercito forte e moderno. Non basta una pioggia di bombe; occorre anche una tempesta di notizie.
Ed è proprio all’inverarsi della profezia di Einstein che stiamo assistendo, inermi, in questi giorni. Che sia Putin ad aver irresponsabilmente scatenato l’attacco o che siano i capi della Nato ad averlo provocato, fatto sta che anche la guerra è divenuta uno spettacolo mediatico, un oggetto di propaganda. Cancellando, senza colpo ferire, perfino l’altro “spettacolo” che aveva imperversato sino al giorno prima, quello pandemico. Con un eclatante cambio di narrazione rispetto a tutte le guerre precedenti (quelle fatte dall’Occidente), come ha coraggiosamente fatto notare lo storico Franco Cardini di recente: prima, tutte guerre “giuste”, eroiche, democratiche, con le vittime e le sofferenze ben nascoste; ora, la guerra “ingiusta”, vile, dittatoriale, con la morte e la distruzione sbattute in prima pagina. Il fatto è che non vi sono guerre giuste, non esistono guerre senza sofferenze inflitte alle persone. E noi non possiamo cambiare serie Tv come fossimo su Netflix.
Profetiche suonano le parole di Freud. Non tanto quelle della risposta che egli diede alla lettera di Einstein, quanto quelle dell’incipit del suo breve saggio sulla guerra del 1915: “Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con un certo distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi non ci possiamo rendere esatto conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare.” Ed è proprio per questa impotenza a comprendere, per questa attitudine a creder vero quel che ci propina la propaganda mediatica, che anche le masse possono perdere la testa, prestandosi al subdolo gioco dei potenti. Solo se fossimo più lucidi e sanamente informati, meno imboniti e (s)governati, potremmo fondare le nostre opinioni, formare i nostri giudizi, orientare le nostre azioni in modo cauto e responsabile. Sarebbe, forse, il vero inizio della fine di ogni guerra. E non ci sarebbero più élite pronte a fregarsi le mani ogni qual volta si muovono cacciabombardieri e carrarmati.
*avvocato e scrittore
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