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Il grido d’aiuto di Emanuele Mancuso: «Mi concedono di fare il padre solo per 50 minuti a settimana»

Il collaboratore scrive alla stampa: «Devo incontrare mia figlia in una struttura sporca e umida». Quella volta che lei lo chiamò «uccello canterino»

Pubblicato il: 09/03/2022 – 21:46
Il grido d’aiuto di Emanuele Mancuso: «Mi concedono di fare il padre solo per 50 minuti a settimana»

VIBO VALENTIA Emanuele Mancuso ha cominciato a collaborare una settimana prima che nascesse sua figlia. Uno spartiacque per lui come ha più volte dichiarato in sede di interrogatorio e, di recente, anche durante il maxi processo Rinascita Scott di avere fatto questa scelta per dare a sua figlia una vita diversa. Figlio di Pantaleone Mancuso “l’ingegnere”, è il primo componente della numerosa stirpe dei Mancuso a saltare il fosso. Da gennaio 2022 è un uomo libero benché debba vivere in località protetta. Ma la sua vita di padre di una bambina di quasi quattro anni è frustrante e irta di ostacoli. La descrive lo stesso collaboratore in una lettera che, con l’assistenza del suo difensore, l’avvocato Antonia Nicolini, ha inviato a tutti i giornali. «Nell’epoca in cui si sente spesso parlare di tutela dei minori e ruolo fondamentale dei Servizi sociali che, in linea con la giurisprudenza europea e con la Convenzione sui diritti del fanciullo, dovrebbero mettere al centro l’interesse del minore, amareggia constatare, “sulla propria pelle”, che esistono, in Italia, delle realtà che solo fittiziamente ed apparentemente garantiscono e tutelano il benessere del minore», scrive Mancuso. 

Fare il padre per 50 minuti a settimana

Quando era in carcere Emanule Mancuso poteva vedere la bambina per quattro ore alla settimana. Con i domiciliari ci sono stati colloqui di 3/4 ore settimanali. Ma le cose sono precipitate a giugno 2021 col trasferimento della bambina in una nuova località protetta gestita da altri Servizi Sociali. Padre e figlia vivono in due località protette diverse e quando si vedono si incontrano in una terza località. Sono incontri di 40/50 minuti una volta alla settimana in un luogo triste, poco ludico e certamente poco attraente per una bimba piccola. E se l’incontro dovesse saltare nel giorno stabilito perché il padre è chiamato, per esempio, a testimoniare a un processo o a rendere interrogatorio, se ne parla la settimana seguente.
«Mia figlia – spiega il collaboratore –, con decreto definitivo del Tribunale per i Minorenni di Roma, è stata “affidata ai Servizi Sociali territorialmente competenti in ragione della località protetta… e facoltà di incontri con il padre secondo il calendario disposto dei Servizi sociali…”». Eppure dice Emanule Mancuso «inspiegabilmente, io e mia figlia, su disposizione del Servizio Sociale, siamo costretti ad effettuare incontri solo una volta a settimana (quando gli sta comodo) della durata di 40/50 minuti con impossibilità concreta di costruire un rapporto affettivo concreto.., una pagliacciata!». Emanuele Mancuso ha fatto la sua scelta, si è lasciato alle spalle la vita che conduceva prima ma adesso è stanco di non poter fare il padre per più di 50 minuti a settimana. Anzi, gli appare paradossale ricordare che «io da piccolo, con mio padre detenuto in carcere, per i noti procedimenti “Genesy”, “Dinasty” e “Batteria”, effettuavo colloqui settimanali di due ore». 

Gli incontri in una «struttura umida, sporca e senza attrattive ludiche»

Non solo. «Mentre da un lato le severe normative comunitarie impongono specifici requisiti edilizi ed igienici per la realizzazione di una stalla – prosegue Mancuso –, gli incontri con mia figlia (una bambina di 4 anni) avvengono in locali fatiscenti le cui carenze igienico-sanitarie sono visibili ad occhio nudo: struttura umida, sporca e carente delle più elementari condizioni ludiche idonee per garantire serenità alla minore e rendere piacevole l’incontro con il genitore». Uno stato di cose che fa sbottare anche l’avvocato Nicolini perché in un luogo simile «la bambina non più attendere con gioia il momento dell’incontro col padre».

«Papà uccello canterino»

Il 3 febbraio scorso l’avvocato Antonia Nicolini ha inviato una segnalazione su questo stato di cose al Servizio centrale di protezione, alla Procura di Catanzaro, alla Commissione centrale, alla Procura per i minori di Roma e al Tribunale per i minori di Roma. Ha segnalato la preoccupazione di un padre per le sorti della figlia come è riportato anche nella lettera di Emanuele Mancuso il quale dice che «da qui a breve, provvederò, carte alla mano, a denunciare i soprusi che io e mia figlia, anch’essa sottoposta allo speciale programma di protezione, siamo costretti a subire, da tempo, a causa del suo affidamento ai Servizi Sociali e alla convivenza con la mia ex compagna, Chimirri Nensy Vera, tutt’oggi, appartenente alla cosca Mancuso e mai dissociatasi». Ma non solo. Nella segnalazione viene fatto presente che durante un paio di incontri la bimba si sia rivolta al padre chiamandolo «uccello canterino». Poi è stata sgridata dall’assistente sociale presente all’incontro e la reazione della bimba è stata quella di piangere e di farsi la pipì addosso. Eppure il sistema dovrebbe favorire anche il rapporto con il padre. Che ora ha mollato ogni cautela e si rivolge direttamente alla stampa: «Rimaste inesitate le mie numerose segnalazioni, inoltrate anche tramite il mio difensore di fiducia, alle autorità competenti, mi resta quale ultima possibilità quella di chiedere aiuto alla stampa affinché il mio grido disperato giunga alle Associazioni nazionali che tutelano i minori, affinché mi sostengano per risolvere, definitivamente, le ingiustizie perpetrate, nei confronti di mia figlia, da un sistema che, seppur legalizzato, nella realtà dei fatti desta molto sospetto considerato il mio status di collaboratore di giustizia, che ha reciso ogni legame con la criminalità organizzata, in contrapposizione alla madre ancora intranea alla ‘ndrangheta».

La relazione sulla gravidanza

E non sarebbe l’unica lamentela che il collaboratore fa nei confronti dei Servizi sociali: «Come se ciò non bastasse – scrive –, non posso tralasciare le numerose falsità che sono state riportate nelle relazioni del Servizi sociali. Quella più grave in assoluto mette in discussione, addirittura, la mia stessa paternità: in essa si legge, infatti, che “la stessa gravidanza è iniziata quando il padre era detenuto”! Mi amareggia tutto questo! E mi affido al buon cuore di chi voglia sostenermi per liberare la mia bambina dalle oppressioni di un Servizio sociale che anziché garantire serena crescita alla minore le sta negando la figura paterna favorendo la ‘ndrangheta». (ale.tru.)

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