La Parola di oggi è di assoluta attualità.
Per verità lo è sempre stata, perché la Parola di Dio, se le consentiamo di fare sosta nel nostro cuore, spalanca gli occhi e, come accadde ai viandanti di Emmaus, ci avvediamo che non di astrattezze ma di carne e sangue è fatto il Verbo.
Ecco, molti di noi intendono questo precetto d’Amore verso i nostri nemici alla stregua di un comportamento mellifluo, diretto ipocritamente a gestire i conflitti (personali e non) sotto l’usbergo di un dialogo che, in effetti, non si cerca ed in fondo nemmeno si vuole.
Una forma viziata da un errore di fondo:si dice di volersi coinvolgere nel conflitto, mettendosi in gioco pur di portare alla pace, ma, in realtà, si vuole affermare il proprio potere, nel tentativo di prevalere.
E la dimostrazione di un simile comportamento, che riguarda le persone nella vita comune ed anche nei rapporti fra istituzioni (che sempre di persone sono fatte), è costituita proprio dalla circostanza che ci si concentra non su di sé e sulla propria rigidità di affrontare il confronto con Amore, ma sulla non cedevolezza dell’avversario.
Orbene, nei conflitti la sfida da affrontare è quella con noi stessi, non quella della censura dell’altro, la quale da un lato ci deresponsabilizza e, d’altro lato, ci allontana da un confronto davvero efficace.
Senza Carità, che è prima di ogni cosa riflessione sul sé onde potersi davvero aprire all’altro, non potrà mai esserci un futuro condiviso.
E la condivisione deve quindi andare alla radici del conflitto senza spingerlo fino allo scontro muscolare con la scusa che ogni evento avverso sia ascrivibile alla “colpa dell’altro”.
Non è solo un problema di mediazione ma, prima ancora, di riconoscimento delle cause di uno scontro certamente esecrabile (per le modalità di illegittima aggressione nei confronti di uno Stato sovrano) scaturito, però, da molti errori del passato che pure dovrebbero costituire la base per una cooperazione a beneficio reciproco ed uguale.
Insomma, occorrerebbe una discussione franca, pensando ad un futuro condiviso.
Piuttosto che armarsi per fronteggiare la minaccia nucleare, si dovrebbe pensare a come vorremmo che fosse il nostro domani, non a come mettere in pericolo in nostro oggi.
Discutere con umiltà dei reciproci errori del passato, guardando a ciò che ha garantito la pace dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, non biasimando l’altro per ciò che ha diviso e, pertanto, nella cooperazione, non ha, alla fine, funzionato.
Nella mia esperienza di cooperazione internazionale per la giustizia penale internazionale, con il Comitato Interministeriale per i Diritti Umani, ho avuto modo di confrontarmi con realtà anche molto conflittuali rispetto a principi propri di molti sistemi assai differenti da quelli dell’Europa continentale. Ma ogni “trattativa” partiva sempre dal riconoscimento dei nostri limiti anche se, all’evidenza, rimaneva una notevole sproporzione fra il livello complessivo del nostro diritto penale democratico (ovviamente mi riferisco alla regione europea) nella comparazione con altri sistemi, specialmente quelli islamici.
A tal proposito vorrei fare un’ultima riflessione.
La Repubblica Italiana è da sempre molto attiva nel campo della cooperazione internazionale, non soltanto nel settore commerciale (come erroneamente si pensa) ma sopratutto sul piano così complesso del “diritto di avere diritti” (la felice espressione è del nostro grande giurista calabrese, Stefano Rodota’).
Il lavoro silenzioso -ma molto efficace- del nostro Ministero degli Affari Esteri in questo campo, consente di ben sperare nell’azione diplomatica -tutt’altro che marginale- in essere anche nella crisi Russo-Ucraina.
Senza dimenticare però che l’azione di contrasto ai conflitti (sopratutto a quelli bellici ma non solo…) non deve inquietare e preoccupare soltanto quando avviene alle porte di casa nostra, ma, sempre, anche quando gli scontri o le prepotenze che preparano alle guerre, avvengono lontano da noi (nel mondo sono in corso più di trenta conflitti bellici e molti ancora se ne preparano…).
Una speciale prospettiva la fornisce l’azione costante e silenziosa della Santa Sede, quale non agisce soltanto curando il soccorso ai rifugiati ed a quei poveri derelitti che subiscono le guerre,ma opera anche con una rete diplomatica molto incisiva nello smantellare sul nascere le sotterranee ragioni dei conflitti.
Anche questa è Carità.
“Amare i nostri nemici”, dunque, non migliora noi stessi soltanto perché “essi tirano fuori il meglio di te”(Friedrich Nietzsche), ma perché questo esercizio ti obbliga ad aprirti all’altro partendo da un esame del tuo “foro interno”,senza autoesaltarti, bensì per scorgervi i tuoi limiti.
“Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”(II Cor 12,9).
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