COSENZA È un mercato del lavoro sempre più alla ricerca di personale iper qualificato. In cui a marcare la differenza sarà la capacità dei lavoratori – per lo più di chi si accinge ad entrare nel mondo del lavoro – ad adeguarsi ai cambiamenti epocali in atto ormai da tempo. E che la pandemia ha in qualche modo accelerato. Già da ora le competenze maggiormente richieste dalle aziende sono orientate nelle capacità matematico-informatiche possedute dai potenziali candidati. Secondo l’ultimo studio del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, realizzato in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne, tre assunzioni su cinque programmate nel corso del 2021 dalle aziende italiane sono state richieste almeno competenze digitali di base.
Questo per supportare il processo di trasformazione in atto e che sta interessando tutto il sistema produttivo italiano. Calabria compresa. Competenze che le aziende faticano a rintracciare tra chi si affaccia al mondo del lavoro o per chi è alla ricerca di una nuova occupazione.
Una difficoltà nell’intercettare questi profili che le aziende registrano in maniera direttamente proporzionale alle skill richieste per lo svolgimento delle attività programmate all’interno del proprio ciclo produttivo. Così si passa, secondo lo studio elaborato Unioncamere-Anpal, da una difficoltà di trovare lavoratori con un grado di competenze digitali di base pari al 34,9%, ad una percentuale del 37,8 nel caso di richiesta della competenza per il grado di importanza elevato. E le difficoltà aumentano quando ai candidati vengono richieste capacità matematico-informatiche: si va dal 36% al 40,3%, mentre per le competenze 4.0 la difficoltà varia dal 37% al 40,9%.
Numeri che interessano anche la Calabria – anche se in misura ridotta rispetto al resto del Paese – per le caratteristiche proprie del sistema produttivo locale.
Nel Reggino ad esempio il mismatch – cioè il disequilibrio tra domanda e offerta – nel reperire figure con capacità ad utilizzare linguaggi e metodi matematici e informatici nel corso del 2021 è stato pari al 31,9%. Un’area territoriale, sempre secondo lo studio Unioncamere-Anpal, che è la prima in Calabria per difficoltà delle imprese ad intercettare professionalità con queste competenze. Seguono il Cosentino (29,5%), il Catanzarese (28,4%), il Vibonese (27,4%) ed infine il Crotonese (26,2%). Più o meno le stesse percentuali hanno riguardato la ricerca non andata a buon fine di personale con competenze digitali, come l’uso di tecnologie internet, e la capacità di gestire e produrre strumenti di comunicazione visiva e multimediale.
Ma anche per la difficoltà delle imprese di reperire figure con capacità di applicare tecnologie 4.0 per innovare processi produttivi. Profili che pongono comunque le cinque province calabresi agli ultimi gradini della classifica nazionale per le caratteristiche altamente qualificate e che nella regione sono meno proposte dalle aziende. Almeno in attesa che il processo di trasformazione digitale in corso in tutto il resto del Paese interessi anche la Calabria.
A pesare nelle difficoltà di incrociare domanda ed offerta di lavoro nei nuovi profili più elevati è il basso livello di competenze digitali che si registrano. Secondo l’ultimo rapporto Desi, l’Italia è al terz’ultimo posto per diffusione di competenze digitali: solo il 42 % delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede perlomeno competenze digitali di base (contro il 56 % dell’Ue) e solo il 22 % dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (in Europa la media è al 31 %).
E se l’Italia è in ritardo, il Sud e la Calabria in particolare anche su questo terreno viaggiano a una velocità ancor più ridotta rispetto alla media nazionale. Secondo quel rapporto, a creare un divario netto tra aree del Paese è proprio il capitale umano.
E non potrebbe essere diversamente se la Calabria continua a registrare i tassi più alti in Italia per insufficienza di competenze alfabetiche, matematiche e linguistiche tra i suoi studenti delle superiori come hanno dimostrato i dati emersi dal rapporto sulle ultime prove Invalsi del 2021.
Così la Calabria si trova a vivere la paradossale situazione di posizionarsi ai primissimi gradini della classifica nazionale ed europea per tasso di disoccupazione giovanile (circa il 60% è senza lavoro) e al contempo di non poter garantire un livello adeguato di competenze ai suoi ragazzi per agganciare le nuove offerte di lavoro che provengono dal sistema imprenditoriale e che sono a caccia di alte competenze. Un quadro che rischia di ipotecare anche il futuro prossimo delle nuove generazioni.
«È necessario partire dall’innalzamento delle competenze di base, già dalle elementari. Successivamente occorre orientare gli studenti verso professioni che possono garantire sbocchi lavorativi concreti e utili allo sviluppo sociale, come le lauree Stem e i diplomi tecnici e professionali». È l’indicazione che fornisce Mario Caligiuri, docente di Pedagogia della comunicazione all’Università della Calabria dove è coordinatore del corso di laurea in scienze dell’Educazione, per colmare il divario tra offerta e domanda di nuove professioni in Calabria e non solo. Per il docente universitario – che è anche direttore dell’Osservatorio sulle Politiche Educative dell’Eurispes presentato il 24 febbraio scorso – l’impresa di invertire la marcia in Calabria non è assolutamente facile a causa di «un contesto educativo e sociale storicamente debole». A questo proposito Caligiuri – che ha ottenuto il Premio Siped 2021 per il saggio “Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione”, con la prefazione di Luciano Floridi ed edito da Rubbettino – ricorda che ne aveva parlato già quasi un secolo fa Zanotti Bianco. «Il sistema universitario della regione, che esiste da circa mezzo secolo, ha prodotto straordinari risultati, ma non è purtroppo riuscito a incidere sui meccanismi di fondo».
Professore nonostante il livello alto di disoccupazione in Calabria, le aziende calabresi lamentano difficoltà nel recepire profili con alte skill. Soprattutto nelle professioni iper-qualificate. Non siamo in grado come sistema di formare queste figure?
«Se non è in grado il sistema nazionale, è impensabile che lo possa essere quello calabrese. Anzi nella debolezza del sistema educativo italiano, la Calabria rappresenta un’ulteriore emergenza. Basti considerare i dati dell’istruzione dei nostri studenti che sono tra i peggiori d’Europa, con alti tassi di abbandono scolastico e un numero record di giovani che non studiano e non lavorano. Questo avviene per una serie di fattori, sia di carattere nazionale che locale. Le innumerevoli riforme scolastiche hanno contribuito progressivamente ad abbassare il livello di formazione degli studenti, allargando le distanze sociali. Un aspetto che incide maggiormente nelle regioni meridionali. In Calabria questo meccanismo si inserisce in un contesto educativo e sociale storicamente debole. Quasi un secolo fa Umberto Zanotti Bianco scrisse “Il martirio della scuola in Calabria”. Il sistema universitario della regione, che esiste da circa mezzo secolo, ha prodotto straordinari risultati, ma non è purtroppo riuscito a incidere sui meccanismi di fondo. Le classifiche nazionali ed internazionali dimostrano chiaramente che non stiamo andando nella direzione giusta».
L’ultima ricerca Unioncamere e Anpal, realizzata in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di commercio “G. Tagliacarne”, fa emergere in particolare la mancanza di competenze digitali di base anche in Calabria. Dunque è il terreno di sfida per le nuove professioni?
«Le scarse competenze digitali sono direttamente collegate alle carenze alfabetiche di base. A cui occorre sommare la carenza delle infrastrutture digitali nella regione. Sono dati noti da anni e che, senza inversioni di tendenza, hanno già condizionato in gran parte il prossimo futuro. Entro il 2030 tutta la popolazione mondiale sarà potenzialmente collegata a internet. Dunque le competenze digitali, insieme a quelle alfabetiche, saranno le condizioni minime per poter lavorare ed esercitare i diritti democratici. Nel nostro Paese i tre quarti delle persone non sanno interpretare una semplice frase nella nostra lingua. Sono le stesse persone che viaggiano su internet, rispondono ai sondaggi e che votano. Questa circostanza deve farci seriamente interrogare sulla vera natura della democrazia in Italia».
Come riuscire ad alzare il livello di attrazione dei giovani verso professioni che effettivamente danno sbocchi professionali in Calabria?
«Innanzitutto si deve partire dall’innalzamento delle abilità di base: leggere, scrivere e far di conto. Tutto il resto viene dopo. Per questo occorre intervenire sulla povertà educativa, operando prima sulle condizioni familiari, sociali e urbanistiche dove risiedono gli studenti, poiché a scuola si potrà fare poco. Anzi la scuola e le università diventano un moltiplicatore delle disuguaglianze. L’età prescolare è decisiva perché è la fase dove si formano le capacità cognitive, così come è fondamentale incidere sulla qualità delle scuole elementari. Successivamente occorre orientare gli studenti verso professioni che possono garantire sbocchi lavorativi concreti e utili allo sviluppo sociale, come le lauree STEM e i diplomi tecnici e professionali. Tenendo conto però che l’intelligenza artificiale sta già rivoluzionando il mondo del lavoro. Molte professioni spariranno mentre altre dovranno aggiornarsi profondamente. Nasceranno tantissime nuove professioni, ma che coinvolgeranno un numero sempre più limitato di persone. Dunque ci sarà molto meno lavoro manuale e intellettuale, visto che le attività saranno svolte principalmente dalle macchine. Sarà pertanto messa in crisi la ragion d’essere della nostra Costituzione, fondata sul lavoro».
Che ruolo dovrà svolgere la scuola del futuro viste queste trasformazioni?
«Come aveva previsto l’economista John Maynard Keynes nel 1930, il problema del futuro sarà quello di come utilizzare adeguatamente il tempo libero, poiché l’uomo si sarà in larga misura affrancato dal lavoro. Di conseguenza, le scuole piuttosto che formare i giovani a lavorare, dovrebbero insegnare a come utilizzare in modo produttivo il tempo libero. Pedro Domingos ha ipotizzato un “algoritmo definitivo”, che in un futuro non proprio remoto sarà in grado di programmarsi da solo, senza alcun apporto umano. Il lavoro, quindi, sarà articolato di conseguenza. E l’attuale sistema scolastico e universitario, già ora arretrato, dovrà adeguarsi o sparire».
Sempre in base a quella ricerca le imprese digitali cercheranno tra i 210mila e 267mila lavoratori con competenze matematiche e informatiche per i lavori digitali. Ma se gli studenti calabresi delle superiori si collocano agli ultimi posti in Italia per capacità di acquisire competenze matematiche, come si potrà colmare questo divario?
«Esiste in Italia uno storico scollegamento tra lavoro e istruzione. Non esistono ricette semplici e immediate, tanto più che i tempi educativi durano decenni. Un concetto ben spiegato da Koeno Gravemeijer, della Eindhoven University of Technology: “nell’educazione tutto accade cinquant’anni più tardi”. Oggi stiamo sperimentando, in positivo e in negativo, la conseguenza delle politiche educative del Sessantotto. Allo stesso modo, il “boom economico” degli anni Sessanta è stato sostenuto indubbiamente dalla riforma scolastica promossa da Giovanni Gentile nel 1923. Non esiste dunque la “bacchetta magica”. Circostanza che evidentemente non riguarda solo la Calabria o l’Italia poiché è un problema mondiale. Detto questo qualcosa si può e si deve fare. Occorre puntare sulla qualità della formazione dei docenti, scolastici e universitari, e su quella dei presidi. E tenendo conto che le inversioni non sono mai immediate. C’è anche una questione economica per attrarre personale qualificato nel sistema: un docente scolastico e universitario, in Italia in genere guadagna poco. Un insegnante delle scuole elementari in Germania percepisce il doppio dello stipendio di quello italiano ma perché sono in numero molto minore. Infatti, scuola e università nel nostro Paese sono utilizzati anche come ammortizzatori sociali per docenti e studenti. E, nel complesso, temo che le università telematiche in genere non abbiano migliorato la qualità».
La ricerca demarca però un gap di richiesta tra il Sud e il Nord di quei profili altamente qualificati. Quindi anche il mondo delle imprese calabresi non è ancora pronto alle sfide dei cambiamenti in corso?
«Il sistema delle imprese calabresi è inserito nel contesto nazionale e presenta punte di indubbia eccellenza, insieme ad aree di imbarazzante debolezza. Ovviamente si risente del contesto in cui si trovano ad operare, fortemente infiltrato dalla criminalità. Un aspetto da cui non si può prescindere. Anni fa, il Censis ha stimato che senza la presenza delle mafie lo sviluppo delle regioni del Sud sarebbe uguale a quello delle regioni del Nord. Non possono poi non incidere fattori nazionali quali la pressione fiscale, il costo del lavoro e del denaro, il peso della burocrazia, la legislazione caotica, la lentezza della giustizia che amplificano le debolezze delle istituzioni e le inadeguatezze delle èlite locali. La circostanza che per tre turni elettorali di seguito alle elezioni Regionali sia andato a votare solo il 40% degli elettori, non è certo indice di qualità della democrazia. Nel 1992 “Dove va questa Calabria?” Gennaro Cosentino domandò a Giacomo Mancini, il quale rispose: “La Calabria va dove la portano i suoi gruppi dirigenti che sono arretrati, arcaici, premoderni”. Per tanti aspetti, dopo trent’anni, forse siamo anche peggio.
Ed in mancanza di un tessuto produttivo capace di assorbire chi riesce a raggiungere alti livelli formativi porta i giovani a rivolgersi altrove. Come limitare sotto questo aspetto la fuga di cervelli verso altri territori?
«Occorre creare il contesto affinché un giovane che ha talento trovi conveniente rimanere in Calabria. Non è solo una questione di occasioni lavorative. Prima occorre intervenire nelle condizioni familiari, poi nella qualità dei docenti, quindi sulle condizioni di vivibilità delle città e sulla qualità dei servizi pubblici. Chi vorrebbe vivere dove per un’appendicite in ospedale si rischia la vita? Se per attraversare un’autostrada si deve assistere impotenti a lavori infiniti eseguiti non raramente da ditte in odore di mafia? Se per fare il proprio dovere di amministratore, di giornalista o di rappresentane dello Stato si rischia di vedere bruciata la propria macchina o devastata la tomba di famiglia? Infatti, non è possibile che il peso resti tutto sulle spalle del sistema formativo: da solo non può certo fare miracoli. Tanto più che gli operatori dell’educazione hanno anche specifiche responsabilità. È davvero grottesco registrare primati nazionali tra i diplomati con cento e lode, a cui seguono anche tante lauree, conseguite a volte da chi per mettere insieme soggetto predicato e complemento si confronta attonito con un mistero doloroso». (r.desanto@corrierecal.it)
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