COSENZA Lo scorso mese di gennaio si è chiuso il processo sugli appalti “spezzatino” attraverso i quali il comune di Cosenza, durante l’amministrazione Occhiuto, avrebbe affidato alcuni servizi. I giudici hanno assolto l’imprenditore Antonio Amato, Antonio Scarpelli (proprietario di Med Labor), Carlo Pecoraro, Arturo Mario Bartucci, Francesco Amendola (costruttore), Francesco Rubino, Francesca Filice, Michele Fernandez, Pasquale Perri e Giuseppe Sasso.
Nelle motivazioni della sentenza, il Collegio si sofferma sulla norma che consente l’individuazione del frazionamento di un progetto relativo ad un’opera o all’acquisto di forniture e servizi, e che presuppone la pianificazione dei bisogni e delle attività dell’Ente e la progettazione. Sulla scorta delle testimonianze rese in dibattimento, «non può affermarsi l’indispensabilità di un appalto unitario concernente tre diverse forniture». Il riferimento del collegio giudicante è agli appalti concessi a Med Labor «con tre determine ad oggetto servizi e attività diverse, sebbene tutte adottate nell’ambito della medesima manifestazione “Lungo Fiume”».
Sulla base di altre testimonianze è emerso come negli anni precedenti «l’amministrazione avesse organizzato lo stesso tipo di manifestazione, e nel 2013, Carlo Pecoraro (direttore settore infrastrutture del Comune di Cosenza) avesse richiesto un preventivo ad un’altra ditta». La stessa tuttavia, «aveva declinato l’offerta perché arrivata “all’ultimo momento” e perché era ancora creditrice nei confronti del Comune per altri servizi forniti in precedenza». La Med Labor inoltre era «l’unica impresa della zona a realizzare le luminarie con i soggetti richiesti dal committente (riportando i disegni che le venivano forniti) mentre le altre ditte del settore avevano cataloghi con decorazioni predeterminate tra cui scegliere». Secondo i giudici, «non risulta alcun artificioso frazionamento di un unico progetto/appalto». In ogni caso – sottolinea ancora il Collegio – « tali reati sono ormai estinti per intervenuta prescrizione, poiché le condotte risalgono al 13 giugno 2013 ed è decorso il termine massimo di sette anni e sette mesi». Tuttavia, «l’eventuale contrasto con i principi di economicità, efficacia, tempestività, trasparenza, proporzionalità e pubblicità ai quale l’attività della stazione appaltante deve attenersi, non ha rilevanza penale».
Medesima situazione, il Collegio giudicante la riscontra in merito ai presunti frazionamenti degli importi relativi ai lavori effettuati al canile di Donnici e che vedevano coinvolti gli imprenditori Francesco Amendola e Francesco Rubino. «Manca la prova del dolo intenzionale – si legge nelle motivazioni della sentenza – non essendo emersi rapporti di natura particolare, ossia di amicizia, parentela, cointeressenza tra i dirigenti e tecnici dell’amministrazione comunale e le ditte beneficiarie». In ogni caso, «i reati di abuso di ufficio ipotizzati, la cui condotta si è consumata nel marzo 2012, sono ormai estinti».
Il collaboratore di giustizia, Adolfo Foggetti, ha dichiarato «di aver conosciuto Antonio Scarpelli e di aver direttamente appreso dallo stesso che “faceva l’illuminazione a Cosenza” e che per l’affidamento godeva dell’appoggio del dipendente comunale, Carmine Potestio, con il quale Scarpelli si sarebbe sdebitato». I racconti di Foggetti però si fermano al 2014, anno in cui è stato arrestato. Le due dichiarazioni, per il Collegio, risultano «caratterizzate da assoluta genericità, non fornendo elementi di riscontro rispetto ai dirigenti di settore e alle condotte descritte nei singoli capi di imputazione».
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