VIBO VALENTIA «Sono Emanuele Mancuso, nato a Vibo Valentia il 14 febbraio 1988, figlio di Pantaleone Mancuso, alias “L’ingegnere”, esponente di spicco, già condannato per gravi reati di mafia, dell’ omonima cosca “Mancuso”, operante in tutto il mondo, nonché nipote di Mancuso Luigi, alias “Il Supremo”, principale imputato nella nota operazione “Rinascita Scott”, curata dalla Distrettuale Antimafia di Catanzaro, il cui maxi processo è in corso di celebrazione presso l’aula bunker di Lamezia Terme (CZ). Il 18 giugno 2018, mentre ero detenuto, sette giorni prima che nascesse la mia primogenita, ho deciso di collaborare con la giustizia, rendendo dichiarazioni auto ed etera accusatorie, nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata, alla Procura della Repubblica di Catanzaro -Direzione Distrettuale Antimafia-, recidendo i contatti con la mia famiglia di origine e sottoponendomi, nel corso di questi quattro anni, a numerosi esami, ex art. 210 c.p.p., anche per gravi reati omicidiari». Si qualifica, per prima cosa, il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso nella lettera che, tramite il suo avvocato Antonia Nicolini, invia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Garante per l’infanzia e l’adolescenza Cala Garlatti. Mette avanti il proprio passato di appartenente a una potente famiglia di ‘ndrangheta e, subito dopo, lo stacco netto, quello che doveva essere il futuro: recidere i contatti con la propria famiglia per garantire un futuro migliore a sua figlia che stava per nascere. Una bambina che ha quasi quattro anni e che oggi, con la madre, è affidata ai servizi sociali.
«In virtù di tale affidamento – scrive Mancuso – subisce continui maltrattamenti dagli operatori dei Servizi Sociali affidatari, fatti comunicati e denunciati, tempestivamente e puntualmente, alle autorità competenti. Purtroppo, nel corso dei mesi, nonostante le numerose segnalazioni, nessuno ha preso a cuore la delicata questione della mia bambina con totale disinteresse da parte di tutti».
Mancuso spiega, inoltre, che nonostante la sua collaborazione, la sua compagna non lo ha mai seguito, non si è mai dissociata dal contesto criminale e vive con la piccola in una casa famiglia sotto il controllo dei servizi sociali.
«A causa della mancata adesione della mia ex compagna allo speciale programma di protezione, ai fini della tutela dell’incolumità fisica della mia bambina, di allora pochi mesi, il Tribunale per i minorenni di Catanzaro prima, e quello di Roma successivamente, hanno limitato la responsabilità genitoriale di entrambi, affidando la stessa al Servizio sociale territorialmente competente in relazione alla località protetta, individuata dal Servizio centrale di protezione, con facoltà della madre di seguirla, se consenziente. La mia ex compagna, pur non dissociandosi dal contesto criminale, tutt’oggi imputata per reati, aggravati dal metodo mafioso, e già condannata, in primo grado, alla pena di anni 4 per aver ideato, unitamente ai miei congiunti più stretti ed utilizzando quale strumento anche la bambina, un piano per farmi abbandonare l’intrapreso percorso di collaborazione con la giustizia, convive, in esecuzione dei decreti dei Tribunali per i minorenni già citati, in una casa famiglia, con la minore».
Se non sono riusciti i ricatti dei suoi familiari a farlo recedere dalla collaborazione, a sfinire Mancuso sono ora i servizi sociali e il Servizio centrale di protezione, che gli consentono di vedere sua figlia «per poco più di 60 minuti a settimana, in locali fatiscenti, con evidenti carenze igenico-sanitarie; con la perpetrazione, da parte degli assistenti sociali, di atteggiamenti traumatici che possono in futuro sviluppare, nella minore, serie problemi psicologici. Da mesi manifesto con note scritte, anche provenienti dal mio difensore, questa condizione. Ho chiesto di essere sentito in Commissione Centrale e dalla Procura Distrettuale di Catanzaro. Richieste rimaste inesitate. Oggi chiedo il Suo prezioso intervento – scrive Mancuso rivolgendosi a Mattarella e Garlatti – in quanto sono convinto che alla base di tutto vi sia un’inquietante “complotto” avente come unico obiettivo quello di “stancarmi” ed indurmi ed abbandonare la collaborazione con la giustizia e, conseguentemente, fuoriuscire dal programma di protezione».
Il collaboratore chiede di poter incontrare il presidente Mattarella e il Garante per l’infanzia per poter esporre loro, documenti alla mano, la drammatica situazione che sta vivendo e i suoi timori di padre, preoccupato per lo sviluppo psicologico e per la serenità di sua figlia.
«Ribadisco alcune distorsioni del sistema che stanno permettendo a mia figlia di crescere a contatto con la madre la quale non si è mai dissociata dalla mia famiglia di origine, la cosiddetta cosca “Mancuso”, custodendone i segreti criminali più stretti nonché resasi, persino, responsabile del reato di furto in flagranza, presso la località protetta, nel mentre le viene vietato di avere relazioni costanti e significative con me che ho deciso di recidere ogni legame con la criminalità organizzata proprio per offrirle un futuro di dignità e soprattutto di libertà». (redazione@corrierecal.it)
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