«La mancanza di un processo di razionalizzazione della rete ospedaliera calabrese ha comportato gravi inefficienze e inappropriatezze nell’utilizzo delle risorse». Da qui l’ingovernabilità «dei costi», «con evidenti riflessi sui livelli di assistenza garantiti alla popolazione».
Non è una dichiarazione congiunta dei dirigenti apicali Andrea Urbani e Angela Adduce: il primo del ministero della Salute, l’altra del Mef. Si tratta, invece, di una sintesi contenuta nella «Relazione sullo stato della sanità nella regione Calabria», approvata il 14 luglio 2011 dalla commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, allora presieduta dal deputato Leoluca Orlando, oggi sindaco uscente di Palermo.
Il documento sembra addirittura recente, come se i quasi dodici anni di commissariamento della Sanità calabrese non avessero cambiato d’una virgola il quadro dei servizi e dei conti. «Anche il sistema di emergenza-urgenza – vi si legge – richiede un rigoroso processo di riorganizzazione, sia in ambito territoriale che ospedaliero, al fine di garantire una risposta rapida e tempestiva, nonché una diagnosi corretta». In quell’inchiesta, la commissione parlamentare rilevò anche: «dati contabili e di bilancio inaffidabili»; «eccessiva onerosità dell’advisor scelto dal Governo, la cui spesa, con un’operazione di dubbia legittimità, è stata posta a carico della Regione Calabria, che ha corrisposto alla società KPMG l’ingente somma di un milione e mezzo di euro, quale corrispettivo del controllo eseguito»; il «pagamento di fatture riferibili ad operazioni inesistenti»; l’«illegittimo conferimento di incarichi professionali e consulenze».
A circa undici anni da quel resoconto minuzioso, l’incertezza dei dati sanitari e dei bilanci aziendali resta un problema molto grave e purtroppo irrisolto. Ma c’è di più. Nel luglio 2011, tra le criticità del sistema sanitario calabrese, quella commissione parlamentare d’inchiesta focalizzò: «la presenza di numerosi presidi ospedalieri poco attrezzati e poco organizzati (ad esempio, mancanza di sale operatorie, di specialità e competenze o servizi di rianimazione); un ricorso troppo frequente al trasferimento dei pazienti da una struttura sanitaria all’altra: talvolta, il paziente già ospedalizzato viene ulteriormente trasportato in altri presidi ospedalieri con gravi disagi e con un pericoloso ritardo nel trattamento terapeutico più appropriato; la mancanza di comunicazione o di coordinamento tra la centrale operativa del 118 e le Aziende ospedaliere, che talvolta causa un erroneo trasporto di pazienti in strutture ospedaliere non attrezzate per le patologie da cui sono affetti».
Il commissariamento governativo è stato in molti casi un alibi per la politica calabrese, che in sostanza l’ha subito. Gli eletti in Calabria hanno spesso scaricato ogni responsabilità sui vari delegati all’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, rinunciando a iniziative proprie. Salvo eccezioni, poi, in singoli territori gli stessi eletti hanno inscenato o provocato proteste di mero folclore contro chiusure o riduzioni di attività ospedaliere, ripiegando in un localismo esasperato quanto strumentale, in pratica inutile.
La conseguenza è stata sempre una: l’impossibilità di avviare un dibattito costruttivo e partecipato sulle azioni da intraprendere, sulle richieste da formulare e sugli obiettivi da raggiungere. A parte le battaglie dei sindaci per la riattivazione degli ospedali di Trebisacce e di Praia a Mare, in alcune realtà – per esempio a Cariati e a Soveria Mannelli – la società civile ha saputo creare un movimento in grado di farsi ascoltare dai decisori politici, di creare opinione e consenso anche all’esterno. In altri posti, le spaccature all’interno della comunità hanno avuto il sopravvento. Infatti c’è chi ha chiesto due ambulanze o tre medici in più per risollevare le sorti delle strutture pubbliche. Altri ha suggerito l’elisoccorso come soluzione universale e urlato che «la salute è un diritto primario», per questo conquistando spazi sul piccolo schermo nazionale, che aumenta l’audience – e alza il prezzo dei contratti pubblicitari – con le semplificazioni, il rumore e le ovvietà.
Nella Valle dell’Esaro è nato un comitato spontaneo di cittadini per la riapertura dell’ospedale di San Marco Argentano (Cosenza), che al riguardo ha sviluppato un’analisi approfondita e redatto una proposta da trasmettere ai sindaci del territorio. «Constatata l’esistenza dei presupposti di legge per richiedere l’attivazione di un Ospedale di base a San Marco Argentano, lo scrivente Comitato – recita il loro documento, intitolato “Considerazioni per il ripristino di un Ospedale di base nella Valle dell’Esaro” – chiede a tutti i Sindaci del Distretto una presa di posizione pubblica in favore della presente proposta ed il sostegno istituzionale necessario». È un atto di supplenza della politica, che al di là dello scopo prefissato fa riflettere sulla lunga latitanza dei partiti in tema di sanità. Abbiamo intervistato Enrico Tricanico, membro del comitato che, dopo il conseguimento all’Unical della laurea in Scienze politiche, si è trasferito a Bruxelles nel 2016. Lì il giovane, classe 1987, ha lavorato nel settore della ricerca e dell’innovazione; poi è stato assunto nella direzione finanziaria delle Cliniques universitaries Saint-Luc. È quindi un intellettuale in fuga, che però non ha dimenticato le proprie origini e i bisogni della sua terra.
Chiedete il ripristino di un ospedale di base nella Valle dell’Esaro. Come e da chi è nata questa iniziativa? Perché, sulla base di quali elementi e con quali argomenti?
L’iniziativa nasce dal Comitato spontaneo per il Diritto alla Salute nella Valle dell’Esaro. Il Comitato intende restituire all’attenzione delle istituzioni comunali, regionali e nazionali una visione completa ed articolata dello status del diritto alla salute nel nostro territorio. Alcuni di noi si trovano fuori regione per ragioni di lavoro, ma ciò non pregiudica l’impegno attivo per il bene comune, anzi. Nel 2010, la chiusura dell’ospedale di San Marco Argentano ha privato la Valle dell’Esaro dell’unico Pronto soccorso presente nel raggio di 50 chilometri. Oggi, da diversi Comuni è impossibile raggiungere il Pronto soccorso di Castrovillari o di Cosenza in meno di 60 minuti. Ogni giorno la vita è appesa a un filo.
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Come vi state muovendo nel merito?
Abbiamo elaborato una proposta per ripristinare l’ospedale. Il nostro lavoro si è articolato in diverse fasi: una fase assembleare, nella quale si è analizzato, in maniera preliminare e partecipata, il contesto del Distretto socio-assistenziale della Valle dell’Esaro. In seguito si è costituito un gruppo di lavoro che si è occupato di approfondire gli aspetti sociali, demografici, sanitari e legali per la riattivazione dell’ospedale Pasteur. Le informazioni ed i dati raccolti, hanno costituito la base per l’elaborazione di un documento che ha sia uno scopo divulgativo che propositivo. Viste le sentenze “Trebisacce” e “Praia a mare”, ci sono i presupposti per richiedere l’attivazione di un Ospedale di base a San Marco Argentano.
Avete l’appoggio di medici e altri sanitari del vostro territorio?
Il Comitato promotore è composto da circa venti persone: esperti in materia sanitaria, tra i quali ci tengo a citare il dottor Tullio Laino, accademici, avvocati, caregiver, casalinghe e studenti, tutti cittadini residenti o originari dei Comuni della Valle dell’Esaro.
Qual è, al di là dei numeri, la situazione che vive l’area della valle dell’Esaro per quanto riguarda l’assistenza territoriale e ospedaliera?
Dal 2011, la Casa della Salute di San Marco Argentano si è immediatamente collocata in una sorta di “area grigia” che ha disorientato i comportamenti dei cittadini e non è riuscita a fornire risposte assistenziali adeguate. Molti pazienti, per ragioni di prossimità ed urgenza, continuano a recarsi presso l’ex Pronto soccorso del Pasteur, il quale, trasformato in Punto di Primo Intervento, non è più in grado di prendere in carico molte tipologie di emergenze. Ne consegue che i pazienti sono reindirizzati verso gli ospedali Spoke o Hub della provincia, strutture già sature, con carenza di dotazione organica, distanti almeno 50 chilometri e con tempi di percorrenza effettivi che possono superare i 60 minuti. In caso di ricovero, vista la distanza tra gli ospedali ed i nostri Comuni, i pazienti vivono disagi organizzativi importanti, tra i quali anche la privazione delle figure affettive di riferimento durante la malattia.
Qual è la vostra opinione sulle strutture di assistenza territoriale previste in Calabria nell’ambito del Pnrr?
Crediamo si debba fare molto di più, intervenendo in maniera più pronunciata. In controtendenza con il messaggio che ha fatto passare la politica, la Calabria ha estremo bisogno di tanti piccoli ospedali, di una sanità di prossimità. Viste le condizioni orografiche e viarie, non ci si può ispirare a modelli di altre Regioni, come ad esempio il Veneto o l’Emilia Romagna, che seppur virtuose, hanno un territorio pianeggiante che permette di organizzare la rete ospedaliera in maniera molto meno dispendiosa. Il recente “Piano Calabria per il Pnrr”, presentato lo scorso dicembre dal presidente della Regione Calabria, prevede per la Valle dell’Esaro l’integrazione di un Ospedale di Comunità alla già esistente Casa della Salute di San Marco. Tuttavia, questa nuova soluzione non apporterà al territorio i servizi essenziali mancanti, come ad esempio un Pronto soccorso. L’Ospedale di Comunità manterrà invariato l’assetto dell’esistente Punto di Primo Intervento, che, come noto, può prendere in carica esclusivamente pazienti con patologie a bassa gravità. Ne consegue che molte aree resteranno ancora fuori dalla rete regionale dell’emergenza/urgenza.
Qual è stato, finora, il riscontro, rispetto alla vostra iniziativa, da parte dei cittadini e dei sindaci della Valle dell’Esaro?
L’annuncio del nascente Ospedale di Comunità ha creato molte aspettative nei cittadini, che però non sono stati adeguatamente informati sulla reale funzionalità di questa struttura. Le persone si aspettano un vero ospedale; ci dicono spesso “speriamo che fanno un ospedale come prima”, ma non sanno che si tratta di una struttura intermedia, che non apporterà alcun miglioramento strutturale all’offerta sanitaria esistente. Riguardo ai sindaci, ci apprestiamo a trasmettere formalmente la nostra proposta. Peraltro, crediamo che il sostegno da parte loro sia scontato, visto che il nostro lavoro si basa sulla proposta organizzativa approvata con Delibera n.1/2021 dalla Conferenza dei Sindaci e trasmessa dal sindaco di San Marco Argentano (Comune capofila) ai diversi livelli istituzionali competenti in materia di sanità pubblica.
Rispetto alla carenza di risorse che colpisce la sanità calabrese, che idea vi siete fatti?
In Calabria parlare di carenza di risorse sembra assurdo. La vera carenza è nella gestione delle risorse; criticità già rilevata, peraltro, dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul disavanzo sanitario (nel 2011, nda). Purtroppo in Calabria si spende poco e male. Poco perché, come stiamo constatando quotidianamente, la classe dirigente regionale non è capace di presentare progetti per ottenere i fondi disponibili. Male perché le spese sono spesso effimere e non tengono conto del fabbisogno sociosanitario, della morbilità, dell’incidenza delle patologie. Dal 2012, nonostante lo stanziamento dei fondi, i diversi livelli istituzionali coinvolti non sono riusciti ad appaltare gli 8 milioni che avrebbero dovuto finanziare il rifacimento dell’immobile dell’ex ospedale di San Marco. Dieci anni che ci hanno restituito una struttura che cade letteralmente a pezzi. L’impegno di spesa attinge alle risorse stanziate dalla Finanziaria del 1988 che fino ad oggi il Sud Italia non è riuscito a spendere. Sono passati 34 anni e queste risorse ci verranno nuovamente riproposte sotto forma di Pnrr.
Quali saranno i prossimi passi che vorrete muovere per raggiungere il vostro obiettivo?
Constatata l’esistenza dei presupposti di legge per richiedere l’attivazione di un Ospedale di base a San Marco Argentano, chiederemo a tutti i sindaci del Distretto una presa di posizione pubblica in favore della nostra proposta ed il sostegno istituzionale necessario per interagire con il presidente della Regione Calabria e commissario per il Piano di rientro. Quando i cittadini si impegnano e sono determinati, i risultati arrivano. Basta vedere l’ottimo lavoro dell’associazione Le Lampare a Cariati.
Ritieni che ci sia uno scollamento tra società civile e rappresentanza politica, a proposito della riorganizzazione dei servizi sanitari?
Negli ultimi anni, si sono palesate le fragilità del riassetto regionale della sanità, in particolare del progetto della Rete delle Case della Salute. Risulta evidente come non ci sia stata un’attenzione adeguata verso i fabbisogni sanitari della popolazione. Gli anni del disastroso commissariamento hanno impedito ancora di più la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche in tema sanitario. In generale, la società civile della Valle dell’Esaro ha dato carta bianca ai politici, avallando indirettamente la situazione disastrosa in cui oggi ci si ritrova. Durante una campagna elettorale, un politico locale, accusato di non essersi impegnato abbastanza contro la chiusura dell’ospedale, disse: «Ma cosa ne volete fare di un Ospedale? Noi ci auguriamo di stare sempre bene». Ecco, questo rende bene il quadro.
C’è una storia, che potresti riassumere, indicativa della possibilità che un ospedale nella Valle dell’Esaro riesca a ridurre l’emigrazione sanitaria?
Ci sono tante storie di persone che anche per fare una semplice Tac devono spostarsi di 100 chilometri, di malati oncologici che devono fare un’ora di macchina per la chemioterapia, di malati cronici che sono costretti a farsi seguire da strutture private in convenzione. La concentrazione delle cure in pochi ospedali farà esplodere il sistema sanitario regionale. Quando gli ospedali sono saturi, non possono più fornire una sanità di qualità e con tempi ragionevoli. Perciò i malati sono costretti ad emigrare.
Quale messaggio vorreste dare al presidente della Regione e commissario governativo alla Sanità? Che cosa chiedete al Consiglio regionale?
Il messaggio è di cambiare la rotta rispetto alla direzione intrapresa a partire dal 2007. La sanità ed il debito non si affrontano con i tagli lineari. A tredici anni di distanza ne abbiamo la certezza. Per migliorare la sanità in Calabria bisogna sviluppare un piano sanitario basato sui dati, ma dati diversi dai soli bacini di utenza: dati demografici, sanitari, orografici, geologici, viari. I conti torneranno a quadrare solo quando i cittadini potranno curarsi in Calabria e quando ogni euro speso per la sanità sarà tracciabile. (redazione@corrierecal.it)
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