COSENZA Lombardo di nascita, ma cosentino di adozione. Lucio Ferrami, nasce a Casalbuttano in provincia di Cremona, ma il suo destino si lega alla Calabria. Giovanissimo durante un viaggio di lavoro, conosce a Guardia Piemontese la donna della sua vita: Maria Avolio. Diventerà sua moglie. Il loro sarà un amore felice e appassionato. Insieme fonderanno la “Ferrami Ceramiche”, un’azienda di vendita al dettaglio di materiale da costruzione. Il mercato risponde bene, l’azienda riesce in poco tempo ad occupare una fetta importante nelle vendite. L’intuizione imprenditoriale stuzzica l’appetito e l’interesse della criminalità locale che inizia a minacciare la coppia con insistenti richieste di estorsione. La mala cosentina voleva approfittare del successo di Lucio e Maria, avere una percentuale di guadagno sui loro sacrifici. Lucio però è un uomo onesto, non cede alle richieste di pizzo, trova il coraggio di rispondere alla prepotenza dei suoi aguzzini denunciando tutto alle forze dell’ordine. E’ un atto di straordinaria potenza in una terra spesso segnata dall’omertà, dai rumorosi silenzi e dalla rassegnazione di chi cede alla paura di possibili e crudeli ritorsioni.
L’imprenditore raggiunge la caserma dei carabinieri: racconta delle estorsioni e indica i nomi dei responsabili. Sono tutti fedeli picciotti del “Re del Pesce”, il boss Franco Muto di Cetraro. Quelle narrazioni però restano solo inchiostro su carta e non serviranno ad evitare il tragico epilogo. Il 27 ottobre del 1981, infatti, Lucio – in macchina insieme alla moglie – viene crivellato di colpi in contrada Zaccani, ad Acquappesa. Il 32enne muore sul colpo, ma riesce a compiere l’ultimo gesto d’amore. Dinanzi ai proiettili sparati a morte dai killer fa da scudo a sua moglie e le salva la vita. Maria si ritrova vedova e costretta suo malgrado a badare da sola ai suoi due bambini: Pierluigi e Paolo, all’epoca dei fatti di 9 e 3 anni.
Maria Avolio ha chiesto giustizia per la morte di Lucio: «Ero in macchina con mio marito – affermò nel corso di una delle interviste rilasciate dopo il delitto – e nessuno mi ha mai chiamato per fare un riconoscimento». La sua è una battaglia contro quella che ha sempre definito una verità taciuta o sottaciuta. «Non posso vedere gli assassini di mio marito a passeggio», «è allucinante il silenzio degli organi dello Stato, dinanzi alla lotta solitaria di un uomo contro la cosca locale». «La ‘ndrangheta – racconta Maria Avolio – è alimentata dall’indifferenza e da una preoccupante assuefazione all’illegalità che rafforza il potere mafioso».
La tragica e sanguinosa uccisione di Lucio Ferrami viene affrontata in un processo che si celebra dinanzi al Tribunale di Cosenza. Franco Muto, suo figlio Luigi e quattro uomini ritenuti vicini al clan vengono condannati all’ergastolo. In secondo grado, però, arriva l’assoluzione con formula dubitativa. Ancora una volta, Maria Avolio è costretta a farsi coraggio e l’amore per la verità e per suo marito la spingono a continuare la sua solitaria battaglia. Il gesto che compie è eclatante e porta alla denuncia della Procura della Repubblica di Paola, competente sull’indagine per l’omicidio di Lucio Ferrami e accusata di omissione di atti d’ufficio. La vedova Ferrami accusò i magistrati di non aver fatto tutto il possibile per evitare il delitto, di aver trattato con estrema superficialità le denunce presentate. Sul banco degli imputati finiscono i silenzi delle istituzioni, della magistratura e delle forze dell’ordine.
Il Presidio Libera Cosenza Area Urbana intitolato a Sergio Cosmai, in condivisione con
l’amministrazione comunale di Cosenza, che ha sostenuto l’iniziativa attraverso il supporto della Presidente della Commissione Istruzione e Legalità Chiara Penna, dell’Assessore al ramo Veronica Buffone e del Delegato all’Istruzione Aldo Trecroci, ha organizzato nel chiostro di San Domenico un incontro con Pierluigi Ferrami, figlio di Lucio. L’iniziativa si terrà lunedì 21 marzo 2022 a partire dalle 9.30.
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