COSENZA Il nome di Lucio Ferrami viene pronunciato quando spetta ai ragazzi di Libera Cosenza Area Urbana leggere il lungo elenco delle vittime innocenti di mafia. In sala, al Chiostro di San Domenico a Cosenza, seduto in prima fila il figlio dell’imprenditore lombardo ucciso dalla ‘ndrangheta il 27 ottobre del 1981 (ne abbiamo parlato qui).
Pierluigi Ferrami aveva solo nove anni quando i killer decisero di porre fine alla sua vita sparando una raffica di colpi mentre era in auto con sua moglie (miracolosamente illesa) in contrada Zaccani, ad Acquappesa.
A distanza di anni qualcosa è cambiato. Oggi sono molti di più gli imprenditori coraggiosi decisi a non cedere al ricatto mafioso e pronti a raccontare tutto alle forze dell’ordine. Tuttavia, «ci sono un sacco di imprenditori piegati dal potere mafioso», dice Pierluigi Ferrami al Corriere della Calabria. «Alcuni riescono a denunciare anche grazie al sostegno delle associazioni che aiutano gli imprenditori e non li lasciano soli». Nonostante questo però, «la giustizia è ancora molto lenta, il caso di mio padre è emblematico. Non mi sento di dar consigli a chi oggi è vittima del pizzo, posso solo consigliare loro di affidarsi alle associazioni».
Imprenditore, padre, marito. Lucio Ferrami conduceva una vita semplice, impegnato nel suo lavoro e nella cura della sua famiglia. Un uomo perbene, una persona umile capace di opporsi alle minacciose e prepotenti richieste estorsive. Il figlio Pierluigi lo ricorda con un filo di commozione: «Ho un bellissimo ricordo di mio padre, avevo nove anni quando è stato ucciso. Il mio è un ricordo adolescenziale, ma comunque limpido. Mi è mancato molto, oggi ho 50 anni e sono rimasto 41 anni senza averlo accanto ma per fortuna mia mamma è riuscita a colmare questo enorme vuoto». (f. b.)
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