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Dal pizzo alla denuncia. «Processi e condanne senza ritorsioni per le vittime»

A Cosenza, l’associazione Antiracket è presieduta da Alessio Cassano. «Oggi nessuno viene lasciato da solo»

Pubblicato il: 22/03/2022 – 7:54
Dal pizzo alla denuncia. «Processi e condanne senza ritorsioni per le vittime»

COSENZA Il 15 ottobre 1991 è una data storica per l’antiracket. Dinanzi al Tribunale di Patti, in provincia di Messina, si tiene il primo processo contro il racket del pizzo a seguito della denuncia presentata dal gruppo “Collettiva dei commercianti e imprenditori di Capo d’Orlando”, parte civile nel procedimento. A Cosenza, l’associazione Antiracket – fortemente voluta dalla Federazione Antiracket italiana, associazione a tutela dei commercianti – è presieduta da Alessio Cassano. L’imprenditore cosentino, ha partecipato all’iniziativa tenutasi al Chiostro di San Domenico a Cosenza e ricordato la figura di Lucio Ferrami, imprenditore ucciso ad Acquappesa dagli uomini del clan di Cetraro. La sua “colpa”? Non aver ceduto alle insistenti richieste estorsive. «Lucio Ferrami è il simbolo dell’antiracket – sostiene Cassano – la sua vicenda risale addirittura a undici anni prima dell’assassinio di Libero Grassi». «Ferrami è stato ucciso in Calabria, a pochi pasi da Cosenza, perché non si è piegato alla pressione estorsiva». «Per noi – aggiunge – è stato naturale prenderlo ad esempio».

Le denunce

Come sostiene Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia, «la caratteristica fondamentale della criminalità mafiosa è quella di essere il territorio». Nonostante la ‘ndrangheta si sia evoluta, «continua ad operare una struttura che esercita sul territorio la sovranità mafiosa, che condiziona la libertà ed i diritti della gente e costringe a soggiacere all’intimidazione diffusa». E’ il caso del pizzo, della “tassa estorsiva” richiesta a commercianti e imprenditori. Come sottolinea ancora da De Raho: «L’estorsione non sempre si esaurisce nel pagamento del pizzo; a volte si realizza in un meccanismo più complesso di vessazione per la vittima, che deve assicurare un ricavo economico alla famiglia mafiosa, ma anche la possibilità di occupare manodopera locale, inserire le ditte gradite o segnalate dalle ’ndrine, servirsi delle forniture imposte, utilizzare il sistema suggerito dalla ’ndrangheta; la richiesta estorsiva può contenere la proposta di entrare in società. Il racket è attività criminosa presente sul territorio oltre ogni soglia di tollerabilità». Oggi, rispetto alla drammatica vicenda della morte di Lucio Ferrami, qualcosa è cambiato. «Le associazioni offrono sostegno ai poveri commercianti vessati e denunciando – dice Cassano – nessuno viene lasciato solo ma viene coinvolto in un contesto di rete associativa». Per quanto riguarda la giustizia, invece, «si arriva a processo e le condanne vengono inflitte senza che per le vittime vi siano ritorsioni». (f.b.)

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