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Petrolmafie, genesi dell’inchiesta. «I D’Amico nel circuito petrolifero, alle loro spalle il clan Mancuso»

Le indagini del Ros di Catanzaro partite dall’ex consigliere regionale Giamborino. La scoperta delle aziende «gradite alle cosche». Gli affari in Sicilia e Campania e l’accordo (sfumato) con Rompetrol

Pubblicato il: 23/03/2022 – 20:52
di Alessia Truzzolillo
Petrolmafie, genesi dell’inchiesta. «I D’Amico nel circuito petrolifero, alle loro spalle il clan Mancuso»

VIBO VALENTIA A gennaio 2019 carabinieri del Ros di Catanzaro hanno monitorato un pranzo a Vibo Valentia al quale parteciparono il boss Luigi Mancuso e i suoi gregari Pasquale Gallone e Gaetano Molino. Era un pranzo d’affari e la finalità era duplice: «Importare grossi quantitativi all’ingrosso di prodotti petroliferi in Italia, bypassando gli accordi di monopolio – che gli esportatori di quei Paesi avevano con i grandi produttori italiani, soprattutto Eni – tramite una società che sarebbe stata creata appositamente e sarebbe stata compartecipata da rappresentanti del socio rumeno Rompetrol e dai D’Amico e Porretta». 

Da Pietro Giamborino ai D’Amico

L’input e il cuore dell’inchiesta Petrolmafie sono stati raccontati oggi nell’aula bunker di Vibo Valentia da un capitano dei carabinieri che ha seguito l’attività investigativa con il Ros di Catanzaro. Il capitano parte dall’inizio perché, spiega, Petrolmafie è un’inchiesta “figlia” della maxi indagine Rinascita-Scott e nasce in particolare dall’attività di monitoraggio di uno degli attuali imputati di Rinascita: l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino. Da gennaio 2018, fino all’autunno successivo, il Ros «ha intrapreso il monitoraggio tecnico e dinamico di Pietro Giamborino che ora è imputato in Rinascita», spiega l’investigatore. L’attività investigativa si univa alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come «Raffaele Moscato e Andrea Mantella, che avevano inquadrato Pietro Giamborino quale soggetto di lungo corso della politica calabrese che aveva sostanzialmente nutrito, fertilizzato, il proprio percorso politico grazie al rapporto che aveva intrattenuto con appartenenti alle cosche di ‘ndrangheta del territorio di riferimento e in particolare con le cosche di ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia». Viene fuori, spiega il teste rispondendo alle domande del pm Andrea Mancuso, che vi erano delle aziende «gradite alle cosche». «Tra queste aziende uno dei nomi degli imprenditori menzionati dai collaboratori era il nome D’Amico, facendo riferimento ai fratelli Giuseppe e Antonio D’Amico», dice il capitano. Secondo il teste, «le aziende dei fratelli D’Amico erano in qualche modo destinatarie delle attenzioni del Giamborino e di alcuni soggetti appartenenti alle cosche di ‘ndrangheta del Vibonese».

Le lagnanze di Galati su D’Amico

In particolare il 27 maggio 2018 viene captata una conversazione tra Pietro Giamborino, il nipote Filippo Valia e Salvatore Giuseppe Galati, alias “Il ragioniere” tratto in arresto qualche mese dopo nell’ambito dell’operazione “Rimpiazzo” che ha aggredito la cosca di ‘ndrangheta di Piscopio. Parlavano della gestione di un lavoro che era evidentemente di interesse della cosca di ‘ndrangheta dei Piscopisani e Galati dipingeva Giuseppe D’Amico «come un soggetto che quasi per ingratitudine stava mancando nel ricambiare l’atteggiamento che c’era stato nei suoi confronti. Chiaramente un atteggiamento di favore. In quell’occasione Valia e Giamborino davano la propria disponibilità a mantenere informato il Galati sull’andamento dei lavori di cui si trattava che riguardavano la mitigazione del rischio di frana della zona nord della frazione di Piscopio del Comune di Vibo Valentia che erano stati appaltati a una società siciliana, la Sico edili srl con sede legale in Agrigento, ma di fatto, si capiva da questo incontro, materialmente serviti dall’impresa dei D’Amico nei confronti del quale Giamborino dava la propria disponibilità a intervenire per capire cosa lo rallentasse nel soddisfare le pretese di Galati», ha dichiarato l’investigatore.

Il ricorso al Tar

In un’altra occasione un imprenditore siciliano, Giuseppe Capizzi, aveva interpellato Giamborino «perché lo stesso si interessasse del buon esito di un ricorso al Tar Calabria avanzato dalla società di Capizzi. Questo ricorso era relativo all’aggiudicazione di lavori pubblici nel territorio del vibonese in particolare di lavori di messa in sicurezza». L’azienda di Capizzi aveva fatto ricorso al Tar «e aveva chiesto l’intervento di Giamborino affinché, tramite le proprie aderenze politiche e amministrative agevolasse il buon esito di questo ricorso. L’attività tecnica ha consentito di appurare che qualora questa opera fosse stata aggiudicata all’impresa di Capizzi anche in questo caso la materiale esecuzione dell’opera sarebbe stata subappaltata o comunque commissionata alle imprese dei D’Amico». Da questi due elementi – la conversazione con Galati e quella con Capizzi – sono partite le indagini sui D’Amico «e i soggetti che via via sono risultati essere a loro vicini e con loro correi».

I rapporti tra i D’Amico e le consorterie

«I fratelli D’Amico sono riconducibili a diversi aggregati imprenditoriali – spiega il capitano –. Sicuramente l’impresa principale è la Dr Service avente sede a Maierato, sia nel settore principe del commercio dei prodotti petroliferi che nell’edilizia, gestione dei rifiuti, e la fornitura di materiali bituminosi». «Anche qui a titolo di premessa farei una breve panoramica generale sullo scenario nei circa 18 mesi di indagine – dice l’investigatore –. Uno scenario abbastanza complesso. Il fattore che accomuna l’intera attività che si è svolta sotto la nostra lente investigativa, complessa per i vari ambiti imprenditoriali, ma anche per le ramificazioni relazionali che si sono difatti disvelate. In ogni caso il denominatore comune era la riconducibilità dell’interesse economico, in tutto o in parte, oltre agli imprenditori alle consorterie di ‘ndrangheta principalmente, ma non solo, del Vibonese. Difatti l’operatività dei fratelli D’Amico a livello criminale si è confermata abbracciare tutta la regione, in primis Vibo ma poi tutta la regione Calabria, e protendersi anche oltre, verso la Sicilia principalmente ma non solo a verso al provincia di Catania, ma anche verso Nord con saldature importanti soprattutto con la Campania».

Il rapporto particolare con Luigi Mancuso

«Abbiamo monitorato – ha spiegato il teste – un’eccezionale attività soprattutto nell’ambito del commercio dei prodotti petroliferi. Questa attività era contraddistinta dalla contestuale esecuzione, al di la del progetto imprenditoriale, di svariate dinamiche fraudolente che gli imprenditori monitorati ponevano in essere avvalendosi della schermatura di un numero impressionante di persone giuridiche, di imprese giuridiche create ad hoc. Nell’ambito del commercio dei prodotti petroliferi, costantemente, inoltre, emergeva l’interesse, curato dai fratelli D’Amico, della cosca Mancuso di Limbadi. Cosca con la quale i fratelli D’Amico – probabilmente in primis Giuseppe D’Amico – hanno evidenziato un rapporto privilegiato e anche di conoscenza personale, soprattutto tra Giuseppe D’Amico e Luigi Mancuso. Rapporto di conoscenza personale che, secondo la nostra lettura, è stato favorito dai rapporti di affinità. Infatti Giuseppe D’Amico è il genero dell’odierno imputato Francesco D’Angelo. A monte, infatti, è stato evidenziato che c’era un fortissimo legame di amicizia e condivisione di esperienze di vita ed esperienze criminali tra D’Angelo Francesco e Mancuso Luigi. D’Angelo è stato al centro di convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia che l’hanno rappresentato come appartenente alla vecchia ‘ndrangheta di Piscopio».
Gli investigatori monitorano i rapporti tra i broker milanesi, tra cui Francesco Saverio Porretta, per interloquire per trovare un aggancio con questa società petrolifera rumena, la Rompetrol. «L’interlocuzione con questi broker – spiega il teste – è avvenuta sotto l’egida, e attraverso l’intermediazione, di Silvana Mancuso e Antonio Prenesti. Attraverso l’intermediazione con questi due broker i fratelli D’Amico riescono a entrare in contatto con agenti di commercio di questa società rumena. Nel gennaio 2019 venne organizzato un pranzo a Vibo Valentia. In quella occasione si ebbe la manifestazione dell’interesse della cosca Mancuso nella trattativa che si stava conducendo perché a quel pranzo parteciparono anche Luigi Mancuso, Pasquale Gallone, Gaetano Molino. La finalità della trattativa era duplice: importare grossi quantitativi all’ingrosso di prodotti petroliferi in Italia, bypassando gli accordi di monopolio che, con gli esportatori di quei Paesi avevano i grandi produttori italiani, soprattutto Eni, tramite una società che sarebbe stata creata appositamente e sarebbe stata compartecipata da rappresentanti del socio rumeno Rompetrol e dai D’Amico, Porretta. A questa progettualità si affiancava una mastodontica dal punto di vista infrastrutturale che prevedeva la realizzazione di un deposito costiero/fiscale di carburanti a largo di Vibo Marina. Progetto che doveva essere servente al primo perché doveva essere di stoccaggio per i quantitativi petroliferi che sarebbero stati importati. Progettualità che di fatto prima si rallenterà per un’oggettiva disparità di dimensione tra i due interlocutori: i delegati della Rompetrol avendo modo divedere la dimensione dell’aziende dei D’Amico avanzeranno qualche perplessità sull’oggettiva possibilità degli stessi di portare avanti il progetto. Nell’aprile 2019 ci fu l’arresto di Antonio Prenesti nell’operazione “Errore Fatale”, indagine per tentato omicidio. Prenesti era in quotidiano contatto con i broker milanesi che si sono messi in allarme e sono stati indotti ad allentare i rapporti con al compagine calabrese». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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