LAMEZIA TERME Esordio al processo “Imponimento” del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, vibonese classe ’72, pentito dal 2016, e ascoltato oggi in collegamento nel corso dell’udienza in aula bunker a Lamezia Terme. È toccato a lui, infatti, fornire una ricostruzione del quadro criminale e del controllo delle cosche di ‘ndrangheta nel territorio compreso tra Vibo Valentia e la piana di Lamezia, passando per Curinga e l’Angitolano.
«Facevo parte dei Lo Bianco-Barba fin dall’adolescenza – spiega Mantella al pm – poi però ho creato un gruppo autonomo sul territorio di Vibo Valentia. Appartenevo ad un clan che era comunque sottoposto ai Mancuso di Limbadi ai quali i Lo Bianco dovevano dare tra il 3 e il 5% delle quote sulle estorsioni e per questo ho deciso la scissione. Sono un parente dei Giampà di Lamezia, avevo disponibilità di mezzi e uomini e così ci unimmo con i Bonavota, ovviamente con il placet di Damiano Vallelunga che per noi era una sorta di “papa”, il capocrimine del Vibonese».
A segnare il percorso criminale e la svolta del nuovo gruppo creato da Mantella è l’omicidio di i Raffaele Cracolici, alias Lele Palermo, su commissione. «Fu la decisione della cosca Anello, ha segnato la svolta e ha sancito l’alleanza con i Bonavota. Fu una scelta strategica per poter essere così più forti sul territorio, per essere più potenti. Più alleati c’erano e più le mire espansionistiche diventavano realtà». A quel punto il controllo sul territorio di Filadelfia, Acconia di Curinga e i territori dell’angitolano non sono più in discussione, ma in mano agli Anello-Fruci, in un ampio quadro di alleanza e controllo del territorio con Mantella e Bonavota. «Io operavo su Vibo Valentia, su Vibo-Pizzo; i Bonavota sulla città di Pizzo, insieme agli Anello-Fruci che gli avevano lasciato più spazio mentre i Bonavota avevano fatto dei passi indietro sull’angitolano e Acconia, e poi Maierato, zona industriale e Sant’Onofrio». «Spartivamo con gli Anello le zone di Curinga e Pizzo. Loro operavano qui dopo l’eliminazione di Raffaele Cracolici». «Ai Lo Bianco – spiega però Mantella – ero comunque legato quasi sentimentalmente, non me la sentivo di uccidere qualcuno di loro. Ad un tavolo gli ho detto di tenersi quello che avevano, avvisandoli che qualunque impegno avessero preso su Vibo avrebbero dovuto riferire a me e non più ai Mancuso».
«So per certo che l’alleanza tra Bonavota e Anello-Fruci è durata almeno fino al 2016 perché quando ero detenuto era Michele Ascone a mandarmi i saluti da Rosario Battaglia, che erano insieme nel carcere di Palmi. Erano ‘mbasciate per farmi sapere ad esempio che l’omicidio Scrugli sarebbe stato vendicato». Già perché Francesco Scrugli, amico d’infanzia di Mantella nonché cognato, è stato ucciso in un agguato al Pennello di Vibo Marina nel marzo del 2012 al culmine della faida tra i Piscopisani e i Patania di Stefanaconi. «Mio cugino Salvatore Mantella – spiega al pm – mi informava che erano tutti uniti, mi diceva di stare tranquillo perché non ci sarebbe stato alcun problema e che le alleanze sarebbero rimaste salde». Nei piani di Andrea Mantella, infatti, c’era la vendetta. «Avvertivo la necessità di sapere come andavano le cose anche perché stavo pianificando la vendetta e dovevo sapere su chi poter contare. Poi è successo che ho cambiato nettamente decisione e di cambiare vita, di pentirmi e collaborare con la giustizia».
Durante l’interrogatorio del pm, poi, Mantella risponde anche in merito al ruolo del cugino, Salvatore Mantella. «Era ormai entraneo ai Bonavota, ha commesso una lunghissima serie di estorsioni, ha preso parte ai progetti dei clan di Lamezia Terme. Aveva una lavanderia a Portosalvo e un’altra a Vena di Ionadi, ma in realtà finanziava traffici di droga ed estorsioni. Poi faceva i servizi di lavanderia nei villaggi dei fratelli Stillitani, ad Acconia, un Club Med, un resort dove so che c’era là dentro anche il latitante Peppe De Stefano». Mio cugino «era stato “sponsorizzato” dai Bonavota. Anche io avevo chiesto agli Anello-Fruci di chiedere agli Stillitani di inserire mio cugino nel villaggio, e così è stato».
«Ricordo – spiega ancora Mantella – che conobbi Rocco Anello agli inizi degli anni ’90, eravamo nel carcere di Siano e lui era sceso per un processo. Me lo presentarono i Giampà, dicendomi che lui era il mio “mastro”, ovvero una persona più anziana in termini di ‘ndrangheta, di più alto livello rispetto a me». Andrea Mantella poi spiega l’evoluzione dei rapporti personali: «Con gli Anello-Fruci non avevamo rapporti particolari, frequentavo un villaggio per motivi personali e alcuni dei miei ragazzi che militavano con me fornivano droga ai figli di Rocco Anello, c’era questo interscambio. Inizialmente invece mi incontravo spesso con Vincenzino Fruci, con Michienzi, ma mantenevo comunque una posizione diversa, forse un po’ me la tiravo».
Per quanto riguarda invece il territorio di Lamezia Terme, Mantella ricorda che «c’era la presenza dei Iannazzo, tramite Tonino Davoli, Pietro e Vincenzino Iannazzo. Loro hanno lavorato in alcuni villaggi di quella zona, in un periodo di piena espansione edilizia e lì mangiavano tutte le consorterie mafiose amiche. Gli Anello erano amici storici con i Iannazzo, nonostante il periodo di frizione tra Rocco e Vallelunga ma per il dio denaro l’astio è stato allontanando».
Tra gli imprenditori poi citati da Mantella, sollecitato dal pm, c’è Galati «ricordo che era un costruttore vicinissimo e funzionale alle esigenze della cosca Anello-Fruci». Poi l’incontro a Polia per «risolvere un problema e all’epoca si mise a disposizione dando risposta positiva, c’erano dei contrasti con un altro imprenditore vicino agli Anello». Non era una questione personale, «accompagnai solo Francesco Fortuna che praticamente era di primissimo piano del clan Bonavota». «Ricordo che a Galati fecero esplodere una bomba, ma non ricordo chi furono gli artefici». Dopo quell’episodio, «ci siamo incontrati nelle campagne di Sant’Onofrio. Ci aveva chiesto una sorta di intervento che poi ci fu, la gestirono i Bonavota che si misero poi d’accordo. Domenico Bonavota si attivò con i fratelli Fruci e gli Anello, Galati lo sapeva e per questo aveva chiesto il loro aiuto». «Gli imprenditori legati agli Anello-Fruci potevano tranquillamente operare a Vibo Valentia – ricorda poi Mantella – nessuno li disturbava perché in cambio arrivava un “fiore”, un “pensierino” in denaro in segno di riconoscenza. La cosa sarebbe stata ricambiata: se ad esempio i Mancuso dovevano prendere lavori nell’angitolano chiedevano agli Anello, senza tensioni o contrasti». (redazione@corrierecal.it)
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