CATANZARO Una nuova speranza per combattere il tumore alla vescica proviene dalla Calabria. Un traguardo sperimentato con successo per la prima volta in Italia nel polo oncologico del Policlinico universitario “Mater Domini” di Catanzaro. Si tratta dell’utilizzo di un anticorpo monoclonale – Avelumab – che sta dando buoni risultati sui pazienti affetti da carcinoma uroteliale. Una novità nel campo del contrasto a questa patologia che, nel 2020, ha colpito in Italia 25.500 persone in gran parte uomini. I tumori alla vescica rappresentano il 10,5% di tutti i carcinomi che colpiscono gli uomini e il 3% delle donne. Nel 2021 sono stati stimati circa 6.100 decessi causati da questa forma tumorale di cui 4.800 uomini e 1.300 donne.
In Calabria, secondo una ricerca, mediamente sono circa 460 le persone colpite ogni anno dal tumore alla vescica. Da qui l’importanza di questa innovativa soluzione per contrastare questa forma tumorale che al “Mater Domini” si sta portando avanti da circa un anno.
A garantire questa cura – tra i primi in Italia – l’equipe diretta dal professor Pierosandro Tagliaferri, direttore Unità operativa di Oncologia Medica al Policlinico Universitario “Mater Domini” nonché docente alla “Magna Graecia” di Catanzaro.
Professore in che cosa consiste la nuova terapia che state portando avanti per la cura dei tumori alla vescica?
«Il nuovo trattamento consiste in un anticorpo monoclonale, l’Avelumab che lega un recettore espresso nel tessuto tumorale, il PDL1, che blocca la risposta immunitaria proprio contro il tumore. Quando l’Avelumab agisce, si attiva la risposta immunitaria. Non è un farmaco convenzionale e attiva l’arma più forte che abbiamo contro il cancro, ovvero il sistema immunitario umano. Il nostro gruppo ha utilizzato il farmaco appena resosi disponibile in Italia contro il carcinoma della vescica e siamo stati i primi in Italia ad acquisirlo dopo la recentissima immissione in commercio autorizzata da Aifa. Con lo stesso farmaco, abbiamo ottenuto importanti risposte cliniche anche in altri tumori come in un caso di carcinoma a cellule di Merkel metastatico, malattia considerata inguaribile, in cui il paziente è ancora libero da ogni segno di malattia dopo 4 anni, un risultato che in passato sarebbe stato considerato impossibile».
Cosa la differenzia dalle altre pratiche finora adottate?
«Il farmaco nel carcinoma della vescica viene utilizzato come mantenimento e la malattia viene come congelata per lunghi periodi di tempo, con enorme beneficio per il paziente in una patologia dove non vi erano stati progressi nella prima linea terapeutica, negli ultimi 20 anni».
Quanto è importante riuscire a curare questo tipo di tumore in Calabria?
«È importante chiarire che il carcinoma della vescica è una neoplasia complessa. Al paziente calabrese viene oggi resa disponibile la terapia medica più innovativa. Il nostro gruppo accanto a trattamenti standard già approvati, è in grado di offrire una grande varietà di studi clinici ovvero di trattamenti con farmaci nelle fasi più precoci di sviluppo, allo stesso livello delle principali istituzioni nazionali ed internazionali. A questo proposito vorrei citare il Centro di Fase I diretto dal professor Pierfrancesco Tassone che porta alla sperimentazione nell’uomo i farmaci più promettenti derivati dalla ricerca preclinica. Questa nostra esperienza dimostra che è possibile rimanere in Calabria per curare patologie importanti».
Dunque eccellenze esistono anche in Calabria?
«L’oncologia medica calabrese, pur operando in un territorio difficile e spesso in strutture non adeguate, ha raggiunto standard di elevato livello. Ed è competitiva con le migliori istituzioni nazionali».
A questo proposito se dovesse lanciare un appello: perché un paziente dovrebbe fidarsi della sanità calabrese?
«Perché è una sanità giovane che offre grande qualità. Questi giovani sono il prodotto del nostro Ateneo, delle nostre Scuole di Specializzazione, che il compianto Rettore Salvatore Venuta, oncologo, volle creare quando sembrava un sogno impossibile. Molti dei nostri giovani operano nelle principali istituzioni italiane ed internazionali, ma molti sono rimasti nella nostra Regione. Anche per questo dobbiamo rendere la Calabria più attrattiva. Lo dobbiamo per le professionalità che stanno emergendo».
Quali, secondo lei, le priorità da affrontare per rendere competitivo il sistema sanitario regionale?
«È prima di tutto un problema culturale ed organizzativo. Occorre rapidamente superare i limiti organizzativi. Abbiamo eccellenti medici, infermieri, tecnici, biologi molecolari e bioingegneri. Va invece riorganizzata la governance superando localismi e clientelismi ormai non più tollerabili. Ci attendiamo una svolta, speriamo a breve».
E come bloccare l’esodo fuori regione?
«Imparando a mostrare il positivo che c’è nella nostra Regione ed affrontare senza paura i problemi atavici. Facendo chiarezza su quello che va e su quello che non va. Sperimentiamo quotidianamente la fiducia dei pazienti e il rapporto con le principali Istituzioni nazionali è eccellente. Un plauso va a tutti coloro che operano in condizioni di oggettiva difficoltà, a quelli che hanno cominciato a lavorare su questo territorio anche quando la parola cancro non veniva neppure pronunciata». (r.desanto@corrierecal.it)
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