LAMEZIA TERME «Potevano fare i lavori di bitumazione a Vibo Valentia. Io garantii per Tommaso Anello, potevano farli con tranquillità. Io di conseguenza avrei ricevuto il cosiddetto “pensierino” in termini economici. A tutti gli effetti un’estorsione». A parlare è il collaboratore di giustizia vibonese, Andrea Mantella, durante la sua deposizione nel corso dell’ultima udienza, all’aula bunker, del processo “Imponimento” contro la cosca di ‘ndrangheta Anello-Fruci.
Il riferimento di Mantella è agli imprenditori Sgromo, impegnati nei lavori nel tratto di strada vibonese, «nei pressi della banca, vicino all’ospedale». «Ne avevamo discusso nel corso di una cena proprio come Tommaso Anello – spiega Mantella al pm Chiara Bonfadini – c’era anche Francesco Fortuna e non ricordo se anche mio cugino Salvatore Mantella. Ricordo che in quell’occasione abbiamo concordato che in cambio Tommaso Anello doveva lasciare in pace Vito Santacroce che era amico mio, avevo interessi insomma, e lo stesso Anello mi disse che a giorni sarebbe arrivata a Vibo una ditta per fare la bitumazione». «Eravamo comunque in una situazione di cordialità – spiega Mantella – non abbiamo usato torni perentori. Avevo presente un boss della ‘ndrangheta». Mantella fa poi riferimento al ruolo di boss assunto proprio in quel periodo: «Mi perdoni la presunzione – spiega al pm – ma in quel momento, era la fine del 2004 o l’inizio del 2005, mi ero imposto io su Vibo Valentia, e quindi è chiaro che, se non mi stava bene qualcosa, ci sarebbero state delle conseguenze».
Il “pensierino” concordato ammonterebbe a circa 10/15 mila euro «era una sorta di baratto tra me e Tommaso Anello». «È chiaro che Tommaso Anello manda la cosiddetta ‘mbasciata attraverso i Bonavota che a giorni sarebbe arrivata una ditta a Vibo, e il signor Tommaso Anello non voleva fare brutta figura e dovevo vigilare, insomma, che ai fratelli Sgromo non sarebbe successo nulla». «Ricordo che la somma me l’ha data Francesco Fortuna o i Bonavota, insomma in una delle tante circostanze in cui ci incontravamo a Sant’Onofrio». Soldi derivanti dall’accordo stipulato, «io, attraverso i Bonavota, vengo in contatto con Tommaso Anello, attraverso i Bonavota percepisco questo denaro che mi manda la famiglia Anello». «Come ho già chiarito in molte occasioni, Rocco Anello parlava degli Sgromo come se fossero dei fratelli, questione che ho affrontato in un interrogatorio trappola che ho avuto a Napoli con un infedele della Guardia di Finanza, il maresciallo Michele Marinaro, e lì ci sono le mie dichiarazioni che filtravano nonostante dovessero essere omissate». «I fratelli Sgromo erano fratelli che, in termine ‘ndranghetistico, significa che non erano delle vittime. Si prestavano al clan Anello per fare incassare delle cifre insomma».
Altro imprenditore tirato in ballo anche da Andrea Mantella è Guastalegname. «È vicinissimo ai Mancuso di Limbadi, alla famiglia Razionale-Fiarè, è un imprenditore di Stefanaconi – spiega Mantella – sponsorizzato dalla ‘ndrangheta vibonese ma faceva anche lavori nell’Agitolano. All’inizio però gli Anello in quel territorio, prima dell’omicidio di Cracolici, subivano lo strapotere dei Mancuso e nulla potevano fare neanche gli alleati lametini dei Iannazzo, perché lì era territorio di competenza dei Mancuso. Poi le cose cambiano e gli Anello, dopo l’omicidio Cracolici, si impongono pure su quel territorio insieme ad altri clan e mettono in difficoltà i Mancuso. I lavori quindi si dovevano dividere obbligatoriamente». Nel corso della deposizione, Mantella spiega anche il meccanismo: «Guastalegname ha una squadra di ferraioli e gli serve una squadra di carpenteria. Allora che succede: tu ti fai il carpentiere e l’amico mio si fa il ferro, ecco, poi quell’altro si fa il cemento. Praticamente il contentino va su tutto, va divisa la torta insomma».
«Guastalegname, un costruttore, era nella mia fase storica legatissimo a Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, ed era legatissimo a Gregorio Giofrè, detto “Nasone”, genero di Rosario Fiarè. Da parte di Gustalegname ho ricevuto pure soldi che mi doveva dare per i lavori che faceva sul territorio di mia competenza. Quest’imprenditore ha fatto costruzioni nell’Angitolano e lavorava anche nelle proprietà degli Stillitani, sempre con lo stesso modus operandi ovvero si dovevano dividere la torta con altre ditte come Michele Patania detto “Ciccio Bello”, quella di Franco Barba, e lo stesso Guastalegname. Il cemento lo faceva Don Antonio Fuscà che aveva un impianto a pochi chilometri là vicino». «C’era anche il mio ex parente, Rosario Lo Bianco, faceva dei lavori per nome e per conto di Nazzareno Guastalegname, avevano delle villette sulla Nazionale a Pizzo». «Ricordo – spiega ancora Mantella al pm – di aver dato una tangente ai Bonavota perché c’è stato un periodo che avevano avuto il territorio in piena autonomia. Gli Anello hanno preteso poi – sempre cordialmente – che lasciassero la zona dell’Angitolano, di Acconia, Filadelfia, una sorta di riconoscimento che si doveva dare ai fratelli Fruci e quindi i Bonavota si sono spostati nella zona di Pizzo».
Su impulso del pm Bonfadini, la deposizione di Mantella si concentra, poi, su un altro imprenditore di rilievo, ovvero Callipo. «Ne ho sentito parlare, nella mia storia malavitosa, sempre come vicino ai Mancuso, vicino alla cosiddetta parte diplomatica di Luigi Mancuso. Poi quando è nata l’alleanza Bonavota-Anello so che Callipo, quello del tonno per usare un’esternazione vibonese, ha subìto degli attentati così come a Sardanelli». «Questi – ha precisato Mantella – erano imprenditori vicinissimi ai Mancuso di Limbadi, ma una volta eliminato Cracolici in quella zona c’è stata come una tabula rasa e subivano regolarmente intimidazioni dai Bonavota e dagli Anello. Fin quando ho fatto parte della criminalità però sapevo che Giacinto Callipo era intoccabile perché era amico dei Mancuso». Una “tabula rasa” sancita tra cene e pranzi tra Francesco Michienzi e Vincenzino Fruci, una sorta di “mutuo soccorso” tra gli Anello e i Bonavota nella zona di Maierato. Già perché come ha già spiegato da Mantella, gli equilibri nel territorio cambiano con l’omicidio di Cracolici, con i Mancuso messi in difficoltà dall’alleanza Bonavota-Anello. E tra le “vittime” c’è l’azienda Callipo. «Dopo il primo attentato, alcuni colpi d’arma da fuoco all’ingresso, c’è stato l’intervento di Gregorio Giofrè e i Bonavota, ovviamente insieme agli Anello-Fruci, alcune assunzioni e il regalino a Natale e Pasqua e gli accordi sono stati così». «Altrimenti – spiega Mantella – per la potenza militare che c’era in quel periodo, il laboratorio Callipo sarebbe andato a finire con un’esplosione dinamitarda nel lago dell’Angitola. In quel periodo non c’era trippa per gatti». (redazione@corrierecal.it)
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