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GEOGRAFIA DEL CAPORALATO

Ghetti e burocrazia alimentano il caporalato. Bilongo: «Una “metastasi” diffusa non solo al Sud»

Intervista al presidente dell’Osservatorio “Placido Rizzotto”. «Sfruttamento in 405 aree: 39 in Calabria». «Colpiti anche il settore edile e l’editoria». Il racconto dei braccianti: «Lavoravamo 10 …

Pubblicato il: 03/04/2022 – 8:09
di Francesco Donnici
Ghetti e burocrazia alimentano il caporalato. Bilongo: «Una “metastasi” diffusa non solo al Sud»

COSENZA “Mi facevo trovare alle tre del mattino. Pugliese passava con un furgone rosso per accompagnarmi sul posto di lavoro. Eravamo 9 persone. […] Ho lavorato quasi tutti i giorni di agosto. Arrivavamo [sui campi di Strongoli] alle 6 del mattino e lavoravo fino alle 16 del pomeriggio, con una pausa che si aggirava dai 10 ai 30 minuti, dove mangiavo un panino portato da casa. Mi veniva dato incarico di raccogliere i pomodori dalla pianta e di metterli in delle cassette di legno per poi sistemarli nei cassoni del camion”. Il racconto è estratto dalle pagine dell’ordinanza che lo scorso 31 marzo ha portato all’arresto di 15 persone (6 destinatarie di custodia cautelare in carcere) nell’ambito di un’inchiesta della procura di Castrovillari contro lo sfruttamento lavorativo e il caporalato. “Pugliese” è Pino Pugliese, classe 86 originario di Crosia, nel Cosentino, definito dal gip il «reclutatore» della manodopera da impiegare nei campi di alcune aziende locali in cambio di salari da fame, minacce e vessazioni. Ogni tanto anche lui, come altri, riempiva qualche cassetta, ma il resto del tempo “girava tra gli operai a controllare”. Compilava “un piccolo libricino col numero delle cassette riempite da ogni operaio per calcolarne la paga”.

CAPORALATO | Braccianti sfruttati nei campi tra le province di Cosenza e Crotone

Così racconterà una delle vittime ai carabinieri di Mirto Crosia il 13 febbraio 2020: “Quando si accorgeva che avevamo raccolto poche cassette di pomodori iniziava a maltrattarci, offendendoci e minacciandoci. Diceva con tono di voce alto: ‘Testa di ca**o, testa di min**ia! Domani non ti porto a lavorare!’ Io restavo zitto e continuavo a lavorare. La mia giornata lavorativa veniva retribuita con 30 euro, in contanti, ogni lunedì. […] Ho lavorato anche di domenica. Non ho mai ricevuto alcun compenso straordinario”. I racconti dei braccianti si sovrappongono e conducono le forze di Pg a scoprire una rete che comprende un territorio a cavallo tra province (Cosenza e Crotone) e regioni (Calabria e Basilicata). Una piaga, quella del caporalato, sempre più estesa, ormai radicata in molteplici settori e territori. Non solo in agricoltura. Non solo al Sud.

Jean Renè Bilongo: «Ci sono più aree di sfruttamento al Nord che al Sud»

L’INTERVISTA | Jean-René Bilongo, presidente Osservatorio “Placido Rizzotto” – Flai Cgil

A ricostruire la mappa del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in Italia ci prova l’Osservatorio nazionale “Placido Rizzotto” – Flai Cgil nel primo Quaderno – presentato il 18 marzo alla “Sapienza” di Roma – intitolato Geografia del Caporalato. Il lavoro apre una collana accessoria, per così dire, al rapporto Agromafie e Caporalato dello stesso Osservatorio, giunto alla sua V edizione. «Sono ricostruiti dieci anni di monitoraggio delle coordinate geografiche nelle quali si verificano i fenomeni legati al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura», dice al Corriere della Calabria Jean-René Bilongo, coordinatore dell’Osservatorio “Placido Rizzoto” e rappresentante Flai Cgil nazionale. Dal Quaderno emerge «una mappa nazionale con proiezioni anche regionali» rappresentate da aree e località alcune delle quali ricadono proprio nella porzione di territorio interessata dall’inchiesta della procura di Castrovillari. «L’operazione ha confermato la nostra indagine topografica sul fenomeno» necessaria a conoscere l’evoluzione del caporalato sul territorio nazionale e a sfatare i luoghi comuni. «Ci sono più aree di sfruttamento e caporalato al Nord rispetto al Sud», dice il coordinatore dell’Osservatorio. Nel Quaderno ne vengono individuate 405 di cui 194 sono nel Mezzogiorno. Nel dettaglio, la regione che conta più “luoghi di sfruttamento” è la Sicilia con 53 aree seguita dal Veneto con 44. La Calabria – insieme al Lazio – si piazza al quarto posto, subito dopo la Puglia (41), con 39 aree, la maggior parte delle quali ricomprese tra la Sibaritide e la Piana di Gioia Tauro.

Sfruttamento lavorativo e migrazioni: dalle mondine ai giorni nostri

LE MONDINE | Lavoratrici stagionali delle risaie (foto dal web)

Anche le inchieste e gli arresti degli ultimi anni dimostrano come il caporalato abbia ormai ampiamente varcato i confini del Mezzogiorno. «Dal 2012 ad oggi – dice Bilongo – stiamo denunciando il radicamento del caporalato anche al Nord del Paese. Posso citare l’esempio di Castelnuovo Scrivia, in Piemonte, che destò clamore perché si scoprì la presenza di lavoratori ridotti in schiavitù nel cuore di quelle che furono le terre delle mondine». Esempio legato anche ad una pagina della storia calabrese, che non a caso riporta al tema delle migrazioni (dell’emigrazione in particolare). La circolazione delle persone e i diritti di cittadinanza, un tempo fonte di ricchezza per le terre spopolate, nel tempo sono divenuti – grazie al cortocircuito prodotto da una normativa frastagliata e sfavorevole – terreno fertile per lo sfruttamento lavorativo. «Esempio di questo è la “Bossi-Fini”: una disciplina che consegna il bastone del comando nelle mani del caporali perché determina lo stato di bisogno burocratico; le difficoltà nel rinnovare il permesso di soggiorno che portano molti ad accettare e sottostare a condizioni di lavoro inaccettabili».

La repressione non basta. Le difficoltà della “rete del lavoro agricolo di qualità”

OPERAZIONE DEMETRA | Le registrazioni agli atti dell’indagine della Guardia di Finanza di Cosenza

Subito dopo gli arresti di questi giorni, in una nota, il segretario regionale Cgil Angelo Sposato e l’omologo Flai Cgil Bruno Costa hanno richiamato il recente lavoro dell’Osservatorio per sottolineare come la sola repressione, al fine di debellare la piaga del caporalato, non basti. «Poco tempo fa – continua il coordinatore dell’Osservatorio “Placido Rizzotto” – abbiamo avuto l’operazione “Demetra” proprio in Calabria, che avrebbe potuto disincentivare contegni così riprovevoli. Invece, nonostante gli interventi della magistratura e delle forze dell’ordine, ci sono imprenditori e aziende che si ostinano a coltivare l’irregolarità nei rapporti di lavoro». Non bastano gli arresti e i sequestri preventivi, misura di grande impatto patrimoniale soprattutto quando tocca «grosse realtà produttive con grossi fatturati, che in verità non hanno bisogno di questo sistema».
«Invero, nessuno – aggiunge Bilongo – ha bisogno di indurre le persone in schiavitù, tanto più se sei una grossa realtà produttiva». Per questo si rende necessario insistere anche sulla parte della legge 199 del 2016 dedicata alla “prevenzione” e, nello specifico, alla “Rete del lavoro agricolo di qualità”. Un istituto di carattere premiale, rivolto a tutelare le realtà virtuose, che stenta a decollare dal punto di vista applicativo. «Abbiamo poco più di una ventina di sezioni territoriali formalmente istituite su un complesso di oltre cento province e aree metropolitane. Ci sono resistenze e reticenze». Eppure, «siamo in una fase della storia collettiva in cui – con la pandemia – abbiamo imparato a capire l’importanza della prevenzione. Questi istituti sono una risposta straordinaria ai temi dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla questione trasporti, che sono gli interstizi dove si inseriscono i caporali».

«C’è sfruttamento anche nell’edilizia, nella logistica, nell’editoria»

UN RIDER | A ottobre 2021 (Trib.Milano) la prima condanna per caporalato sui ciclo-fattorini commesso dalla “Uber Eats”

Oltre all’aspetto geografico, l’analisi evolutiva del caporalato concerne l’aspetto oggettivo. Il fenomeno viene spesso associato al settore agricolo sebbene insediato in molteplici settori produttivi. «Credo che la gig economy sia sintomatica della profondità di questo radicamento». Esempio, negli ultimi anni, è stato quello dello sfruttamento dei riders. «Molti hanno sostenuto le ragioni della bontà di questi nuovi sistemi lavorativi, ma se non c’è controllo, le persone vengono ridotte a semplici arnesi. Ma c’è anche l’edilizia, la pastorizia, la logistica, l’editoria, il settore del lavoro domestico dove il fenomeno è radicato e difficile da stanare, come una “metastasi” in fase avanzata».

Il superamento dei “ghetti”. «Smantellamenti e sgomberi sono solo interventi spot»

Sul fronte comunitario sono stati fatti timidi passi in avanti. «Attendiamo il testo di una nuova direttiva che completerà il quadro normativo guardando al rispetto dei diritti umani; non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche sociale. – aggiunge Bilongo – Per quanto riguarda l’agricoltura nello specifico abbiamo la clausola della “condizionalità sociale” e la “politica agricola comune”, che rappresenta la voce più consistente nel bilancio europeo. I contribuiti non possono prescindere dal rispetto da parte delle aziende del lavoro, delle persone impegnate nella tenuta del segmento del sistema produttivo europeo».


IL REPORTAGE


Al contempo però, aguzzando lo sguardo entro il confine calabrese può osservarsi come a dodici anni di distanza dai fatti di Rosarno, si continui a parlare di possibile smantellamento della (ennesima) baraccopoli nella zona industriale di San Ferdinando. Ne seguirebbe, questa volta, la riallocazione dei migranti stanziali in una foresteria stagionale di prossima creazione previa individuazione dell’area e stanziamento dei fondi da parte della Regione. «Nel Pnrr è previsto uno stanziamento di duecento milioni per il superamento degli insediamenti informali e dei così detti “ghetti”. La Calabria, e nella fattispecie la Piana di Gioia Tauro, dovrebbero essere al centro di queste misure. Non possiamo perdere di vista tutto quello che è avvenuto nel corso degli ultimi dodici anni, fin dai tempi della rivolta di Rosarno. Gli sgomberi, gli smantellamenti sono interventi spot fatti nel solo interesse delle telecamere per soddisfare pezzi di elettorato caratterizzati da una certa cultura di rigetto e schiacciamento delle persone». La soluzione invece dovrebbe stare nel «totale superamento di questi insediamenti, che devono essere eliminati attraverso proposte alternative».
I “ghetti” hanno infatti la «peculiarità di essere bacini di manodopera a basso costo, costretta a lavorare in condizioni da “discount” per le aziende che hanno ampi margini di guadagno».
«Bisogna ambire a un’offerta di accoglienza diffusa su tutto il territorio», conclude Bilongo, richiamando l’impegno dei diversi attori, ognuno nel proprio ruolo: «Noi come sindacato cerchiamo di tutelare i lavoratori e formulare le proposte, ma ci sono anche le prefetture, gli uffici periferici dello Stato e in particolare le Regioni che devono interfacciarsi con queste realtà con approcci risolutivi. L’agricoltura passa dal Psr che è materia devoluta alle regioni: non si può dissociare l’interesse produttivo dalla sostenibilità sociale». (redazione@corrierecal.it)

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