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Il ricordo

«Un grande calabrese»

Giacomo Mancini – oggi ricorre il ventennale della sua morte – è stato l’uomo politico calabrese più longevo, conosciuto e discusso di tutti i tempi. Un uomo dal carattere forte, una personalità c…

Pubblicato il: 08/04/2022 – 9:36
di Bruno Gemelli*
«Un grande calabrese»

Giacomo Mancini – oggi ricorre il ventennale della sua morte – è stato l’uomo politico calabrese più longevo, conosciuto e discusso di tutti i tempi. Un uomo dal carattere forte, una personalità complessa che ha attirato su di sé consensi e dissensi ma mai indifferenza. Colto, sensibile, viscerale, di grandi vedute e intuizioni, capace di slanci generosi e umani ma anche spigoloso in talune circostanze. Socialista romantico e pragmatico, ma anche dirigista, amministratore capace di guardare lontano ma anche accentratore. Sincero democratico, laico, riformista, gradualista in un’Italia dogmatica, divisa in blocchi. Insomma, egli seppe, nel tempo, attraversare tutte le stagioni politiche e storiche di fine secolo rimanendo sempre sé stesso, plasmando la sua pelle sugli eventi che mutavamo vorticosamente. Una vita percorsa zigzagando tra coerenza e contraddizione, comunque mai banale.
Mancini è stato un grande comunicatore benché non abbia avuto molta confidenza con l’oratoria e con la scrittura (rinunciando così a una sua potenziale dote). Infatti è stato un pessimo comiziante, la sua affabulazione si affermava quando il ragionare si spogliava di tutto ciò che era contingente. La sua bibliografia, sia come autore che come personaggio pubblico, è quasi inesistente, infatti non ha scritto molto sebbene fosse una buona penna.
Un capo carismatico, leader di razza che però non ha avuto né eredi né successori ma solo maldestri replicanti. I cosiddetti «manciniani», che pure sono stati una componente importante all’interno del Partito Socialista Italiano e nella vita pubblica calabrese nel trentennio 1960-1980, in realtà erano una categoria metafisica: l’astrattismo delle idee veniva compensato dalle guerre intestine basate sulle tessere e sui voti. Ma quelle erano le forme della raccolta del consenso che garantiva l’unica democrazia possibile nella prima repubblica.
Il socialismo di Giacomo Mancini si è nutrito dell’umanesimo del padre, don Pietro (apostolo del socialismo calabrese), che contemplava la difesa degli oppressi con sempre in evidenza l’icona del contadino silano vessato dal latifondista di turno.
Un socialismo che si mosse complessivamente nel solco dell’autonomismo riformista, prima accanto a Nenni e poi disegnando un suo percorso personale, libertario, estemporaneo per molti aspetti.
A un uomo timido cui la vita gli aveva costruito una corazza per poter sopravvivere e primeggiare per lungo tempo non bisognava chiedere coerenza. E se si sgombra il campo da questo equivoco si staglia, allora, il politico e l’amministratore pubblico capace di volare alto, di fare grandi cose. E di grandi cose ne ha fatte quando gliele hanno lasciato fare, dentro e fuori la Calabria.
*giornalista

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