COSENZA Il Tribunale di Cosenza in composizione collegiale (Presidente Carmen Ciarcia, a latere: Iole Vigna e Stefania Antico) ha dichiarato S.P., cosentino di 50 anni, responsabile dei reati a lui ascritti al capo 2) della rubrica e – riconosciute le circostanze attenuanti generiche e il vincolo della continuazione – lo ha condannato a 4 anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Disposta inoltre l’interdizione perpetua da qualunque ufficio attinente alla tutela, alla curatela e alla amministrazione di sostegno e l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Infine, l’imputato è stato condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile. S.P. era stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Cosenza, nel 2019: la decisione era giunta a seguito della denuncia presentata dalla moglie S.N. (difesa dall’avvocato Gianpiero Calabrese).
Subito dopo il matrimonio e la nascita della figlia, nel 2007, il rapporto coniugale si era incrinato (i due coniugi dormivano in camere separate), a causa dell’atteggiamento del marito, caratterizzato da continue critiche nei confronti della donna per la gestione della casa e della bambina. S.P. aveva costretto la consorte anche ad abbandonare il suo lavoro di parrucchiera, impedendole di fatto qualsiasi tipo di autonomia. Le vessazioni da parte del marito, consistevano, inoltre, nell’uso costante di espressioni offensive nei suoi confronti. «Sei sbagliata», le ripeteva spesso. Dal racconto fornito da S.N. è emerso come il marito le avesse impedito qualsiasi azione legata alla gestione del patrimonio familiare e quando tentava di rispondere, S.P. le rivolgeva frasi minacciose: «Se mi lasci io mi prendo la bambina e non te la faccio più vedere». In due occasioni, infine, nel febbraio-marzo del 2013 e anche qualche mese dopo, l’uomo sarebbe riuscito ad avere due rapporti sessuali nonostante il suo esplicito dissenso, costringendola a subirli con violenza. In sette anni di matrimonio – come avrà modo di raccontare S.N., i rapporti sessuali erano stati all’incirca cinque. Il marito poi verrà allontanato dall’abitazione coniugale, ma la donna sarà sempre destinataria di offese e minacce: «te la faccio pagare, ti faccio dormire sotto i ponti».
Le dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso del procedimento (in particolare quelle delle sorelle e dei genitori della persona offesa), hanno dato atto di un rapporto conflittuale tra i coniugi, con litigi dovuti spesso alle difficoltà economiche della coppia; dell’atteggiamento contrariato del marito quando la moglie rientrava dalle passeggiate serali, che, nel periodo estivo, faceva con un’amica. «Le telefonate le riceveva in continuazione (…) la gran parte erano da parte del marito e io sentivo che praticamente loro litigavano», ha confessato un’amica. Alla domanda a cosa fossero dovuti i contrasti: «al fatto che lei uscisse; al fatto che praticamente lei non facesse quello che diceva lui e al fatto che praticamente non voleva che la bambina uscisse di casa. Cioè il fulcro della situazione era tutta una serie di regole alle quali lei non si atteneva». Lo stesso teste, infine, ha riferito di aver ricevuto la confidenza di S.N. sul fatto che il marito, nel periodo in cui convivevano, le aveva usato violenza, costringendola ad un rapporto sessuale, senza rivelarle i particolari. In quella occasione, l’amica le aveva confidato che era esasperata a causa del vero e proprio stalking al quale l’uomo la sottoponeva («la controllava continuamente») anche in seguito alla loro separazione, dicendole: «se mi dovesse succedere qualcosa sappi che lui secondo me mi vuole morta, quindi te lo dico perché non so neanche come dirlo ai miei genitori, lo dico a te». I genitori di S.N., dal canto loro hanno riferito circa lo stato di agitazione e nervosismo in cui la figlia spesso si trovava, a causa dei litigi con il marito. «Non era libera di spostare una pianta e in casa non poteva fare nulla perché veniva rimproverata». La sorella della parte offesa, ha riferito delle violenze subite dalla donna: «Molte volte era costretta a rapporti coniugali non proprio consenzienti, aggiungendo che tali confidenze, mai molto specifiche, la sorella gliele aveva fatte verso la fine del matrimonio».
In riferimento alla collocazione temporale degli episodi di violenza sessuale, S.N. ha riferito: «Può essere successo nel 2012 come nel 2013, io mi ricordo quello che è successo, però l’anno preciso non glielo so dire». S.P. beveva molto, come accadde – secondo quanto denunciato – in occasione del primo episodio di violenza. La difesa dell’imputato ha evidenziato come già prima del 2018 la moglie avesse sporto diverse querele contro il marito: ottobre 2016; gennaio, marzo, luglio e ottobre 2017 concernenti alcune condotte tenute dall’uomo in occasione di visite alla figlia e (le ultime due) il mancato versamento della somma dovuta a titolo di mantenimento (circostanza che la persona offesa aveva lamentato nel corso della sua audizione). La querela da cui è scaturito il processo è stata presentata a marzo 2018, dopo che nel mese di ottobre 2017 vi era stata una udienza presidenziale nell’ambito della causa di divorzio, con l’audizione della figlia minore della coppia, la quale aveva dichiarato di voler andare ad abitare con il padre (cosa, di fatto, mai avveratasi). S.P., nel corso del suo esame, ha negato la propria responsabilità in merito a tutte le condotte addebitategli, ha chiarito come gli episodi di violenza narrati dalla moglie non avrebbero potuto essersi verificati nel periodo temporale che aveva indicato, nel 2013. L’imputato ha anche confermato, che, più di una volta, quando dopo la separazione, si era recato presso l’ex casa coniugale e minacciato la moglie perché la donna non gli faceva trovare la bambina o rifiutava di farla andare con lui. Ha aggiunto che dopo la separazione aveva assunto un investigatore privato, il quale lo aveva portato a conoscenza di una relazione extraconiugale della moglie. A tal proposito, la documentazione depositata dalla difesa rappresentata dall’avvocato Gianpiero Calabrese prova la circostanza del conferimento di incarico ad un investigatore privato da parte dell’imputato, nel 2015, quando i coniugi non vivevano più insieme.
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