CATANZARO L’importanza della ricerca (contro il Covid e non solo). Le conseguenze di una pandemia sfibrante. E le sfide di un mondo, quello universitario in Calabria, che ha tra le sue priorità quella di trattenere le sue energie migliori in regione. Per un ateneo che ha tra i propri punti di forza la facoltà di Medicina, in un contesto territoriale complicato, le sfide raddoppiano. E Giovambattista De Sarro, rettore della “Magna Graecia” di Catanzaro, ne è consapevole.
Rettore, quali sono state le sue maggiori preoccupazioni durante la pandemia?
«Durante la pandemia da Covid-19 le mie maggiori preoccupazioni sono state garantire l’attività universitaria nella massima sicurezza e, più di recente, mi sono preoccupato del problema delle conseguenze della pandemia sulla psiche, poiché la pandemia ha influenzato la salute mentale delle persone, che hanno rischiato in modo sproporzionato di sviluppare comportamenti ansioso-depressivi. Consideri che tali patologie sono state rilevate nelle donne in maniera più grave rispetto agli uomini e che le persone con problemi di salute preesistenti, come asma, cancro e malattie cardiache, hanno più probabilità di sviluppare tali disturbi mentali. La prevenzione di queste manifestazioni psichiatriche dovrà essere adeguatamente considerata e valutata».
Il Covid sarà sconfitto dalla ricerca a conferma che il valore della conoscenza se applicato alla salute è decisivo e non un optional.
«La paura della pandemia ha restituito il giusto valore alle competenze scientifiche, grazie alle conoscenze maturate in questi anni si è potuto produrre un vaccino in pochi mesi, si è potuto ottimizzare una terapia verso un virus che variando le sue caratteristiche si è dimostrato particolarmente aggressivo. Spero che chi gestisce la “res publica” abbia finalmente capito che la sanità, gli ospedali e alcune strutture sanitarie debbano essere garantiti su tutto il territorio nazionale come la scienza medica ha sempre suggerito e che i tagli sulla sanità debbono essere sempre ben ponderati. Ho fiducia che i progressi delle scienze biomediche e un giusto impegno in appropriati investimenti nella ricerca scientifica ci permetteranno di superare la pandemia del Covid e altre patologie».
La sfida del Pnrr passa per le riforme. Quali le priorità dal suo punto di vista?
«Le linee di investimento sulla formazione universitaria sono accompagnate da alcune riforme, che vogliono potenziare equità, efficienza e competitività del Paese. Il programma prevede investimenti e riforme per permettere di raggiungere alcuni obiettivi chiaramente identificati in sei aree di intervento: transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale e, infine, politiche a favore delle nuove generazioni, l’infanzia e i giovani. Le priorità, secondo il mio punto di vista sono coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale e garantire quanto più possibile la formazione e sbocchi lavorativi per le nuove generazioni».
E poi c’è il tema dell’emigrazione: l’esodo continuo di giovani dovuto alla cronica debolezza della domanda di lavoro, ma che rischia di compromettere seriamente il futuro delle regioni del Sud…
«L’esodo continuo di giovani dovuto alla cronica debolezza della domanda di lavoro, così come la fuga dei cervelli, è una delle situazioni più complesse e difficili da trattare. Le ragioni di questa difficoltà sono molteplici e a volte intrecciate tra loro. Sicuramente la prima causa sono le condizioni e le prospettive di vita e di lavoro inferiori rispetto alle altre regioni. La seconda causa è una cattiva allocazione delle risorse che fa sì che si sprechino le possibilità del Mezzogiorno. Negli ultimi 30 anni, la riduzione degli occupati, come conseguenza dello spopolamento, ha, di fatto, determinato un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del nostro Paese. Una situazione che fa sì che le condizioni e le prospettive di vita e di lavoro siano inferiori rispetto alle altre regioni. Ne deriva che i giovani abbandonino la propria terra in cerca di lidi migliori. La fuga dei cervelli che interessa non solo il meridione ma l’intera Italia e produce un danno enorme: si può dire che un professionista medico, ricercatore è ormai definitivamente perduto per il suo Paese d’origine, quello dove è nato e che ha investito denaro e competenze nella sua formazione. L’abbandono della nostra Regione a favore di un’altra Regione o di un altro Paese da parte di professionisti o persone con un alto livello di istruzione avviene generalmente in seguito all’offerta di condizioni migliori di paga o di vita. Sono risorse sottratte al Meridione, ma formate nel Meridione, con un costo importante. Tali cervelli porteranno grandi benefici nei territori dove andranno a lavorare».
Il diritto alla salute e l’accesso universale alle cure, garantiti dalla Costituzione, sono condizionati dalle risorse limitate e dal regime di rimborsabilità; accade così che una terapia o un farmaco necessario non siano accessibili per un vulnus che, di fatto, compromette i livelli essenziali di assistenza. Come se ne esce?
«Le manovre di contenimento della spesa farmaceutica, con particolare riferimento a quella ospedaliera, hanno dovuto fronteggiare negli ultimi anni l’immissione in commercio di nuove terapie farmacologiche innovative e ad alto costo soprattutto le terapie oncologiche. Hanno dovuto considerare che la durata della vita è aumentata grazie ai farmaci, alla maggiore longevità è corrisposta un aumento della spesa sanitaria. L’uso appropriato dei farmaci è stato garantito grazie alla possibilità di valutare l’appropriatezza prescrittiva degli stessi, l’utilizzo dei percorsi indicati dai PDTA, la possibilità di monitorare l’utilizzo degli stessi con appositi registri di monitoraggio, di garantire acquisti centralizzati eppure ci sono regioni non riescono a garantire l’utilizzo delle nuove molecole. Cosa fare? I farmaci debbono essere garantiti in tutte le regioni d’Italia, non esistono regioni di serie A e di serie B. Bisogna poi migliorare la diagnostica a livello regionale e permettere le assunzioni dei giovani medici che vogliono rimanere a lavorare in Calabria altrimenti perderemo i migliori frutti del nostro lavoro. Sono poche cose ma fondamentali».
L’università Magna Graecia è tra le migliori del Paese, quali gli elementi di forza che hanno rafforzato l’immagine già positiva del suo ateneo?
«Molto schematicamente credo che i punti di forza dell’Ateneo siano i seguenti: soddisfazione degli studenti rispetto a didattica e docenti e solidità finanziaria dell’Ateneo con una attenta valutazione delle spese». (paola.militano@corrierecal.it)
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