LAMEZIA TERME Continua il controesame in aula bunker del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, sentito nel corso del processo “Imponimento” contro la cosca Anello-Fruci. Toni accesi e risposte incrociate spesso fuori dalle righe hanno caratterizzato l’udienza nel corso della quale è stato affrontato anche il capitolo dei villaggi turistici tra Pizzo e Curinga, cruciali nell’inchiesta della Dda. A porre le domande è ancora l’avvocato Vecchio, nel tentativo innanzitutto di capire a quali strutture si riferisce Mantella in particolare. «Parlo dei villaggi in quella zona – spiega Mantella – Facciolo lo colloco in quegli degli Stillitani, Club Med e Garden, mi pare di ricordare questi nomi». «I Bonavota insieme agli Anello-Fruci prendono controllo di quella zona dopo l’omicidio di Raffaele Cracolici. Facciolo ho detto che era a disposizione degli Anello-Fruci e i Bonavota, drenava denaro per nome e per conto loro». Secondo il racconto di Mantella, i fratelli Stillitani «sono persone per bene» ma gli equilibri si sono incrinati dal momento in cui «Accorinti e i Mancuso hanno cercato di arginarli. Sono stati fatti degli omicidi, quello dei Cracolici, e a quel punto sono stati costretti a dividere la torta con gli Anello-Fruci e i Bonavota» Dovevano insomma secondo Mantella «condividere tutti i proventi di quelle strutture che c’erano, e non solo degli Stillitani, ma anche in altre località». «Sono a conoscenza del metodo, del modus operandi e delle dinamiche di quei tempi, ma non me ne occupavo io personalmente».
Altro aspetto approfondito nel controesame, la latitanza di De Stefano nel villaggio turistico “Garden”. «Peppe De Stefano – spiega Mantella – stava lì in diversi periodi, anche l’estate 2005, 2006. Io ho sempre riferito che quando De Stefano si faceva le ferie, li passava in diversi periodi in queste località, ma non sempre dai fratelli Stillitani». Poi la vicenda della quattro biciclette che servivano proprio a De Stefano. È l’avvocato Vecchio a contestare le date, quando ancora De Stefano non aveva figli, e come è successo spesso nel corso dell’udienza, i toni si scaldano ancora. «Ho portato quattro biciclette, due per adulti e due per bambini, di certo non le ho comprate! Ma non potevo sapere se fossero per i figli e la moglie, magari servivano all’amante e ai figli di lei».
Tocca poi all’avvocato Aldo Ferraro controinterrogare il pentito Mantella, e lo fa partendo dalla nota vicenda del presunto “interrogatorio trappola”, alla presenza del finanziere Michele Marinaro, imputato ora nel processo “Rinascita-Scott”. Ferraro, in particolare, si sofferma sulla scelta di Mantella di essere processato con rito ordinario e l’assidua presenza – in collegamento – alle udienze. «Io ho appreso il nome di Marinaro da lei avvocato – dice Mantella – e se assisto a Rinascita-Scott è chiaro che sento e che vedo ma io avevo dato indicazioni ancor prima di conoscere l’imputazione di Marinaro. Avevo detto in tempi non sospetti quando sono stato interrogato dalla Dna, l’ho riferito a Falvo, De Bernardo e agli uffici della Dna a Roma». L’avvocato Ferraro, però, lo incalza. «Sa dirci quanto è durato quel famoso interrogatorio? Le hanno riletto il verbale alla fine? L’interrogatorio è stato registrato?». «Non ricordo queste cose, ne ho parlato in Rinascita-Scott, quello che ricordavo l’ho detto in quella circostanza» replica Mantella. E ancora: «Lei ha fatto però riferimenti a fatti specifici come, ad esempio, ai presunti affari degli Sgromo e molto altro, si ricorda?» chiede Ferraro al pentito, che replica: «In quell’interrogatorio c’era purtroppo la sostituta del mio avvocato, ricordo solo delle domande del finanziere, un tipo bassino, ma non c’era la scorta che mi aveva già consegnato ai funzionari. Mi disse “ti conosco da molto tempo”, con modi amicali e dopo aver cacciato con una scusa l’altro collega più alto. Mi ha fatto domande e mi sono fidato».
Il controesame di Mantella si esaurisce, poi, con le domande dell’avvocato Enzo Gennaro, che si focalizza sui Bonavota e la cosca Anello-Fruci. «Quando allaccia i rapporti con Domenico Bonavota?» chiede l’avvocato, e Mantella: «Con Domenico li allaccio all’inizio del 2003, ma conoscevo già Pasquale, il papà Vincenzo». «Ho spiegato anche l’episodio: il mio gregge pascolava nel territorio di Sant’Onofrio e in quell’occasione ci siamo incontrati. Ci siamo parlati e da lì è iniziata la frequentazione, poi abbiamo fatto un patto, insieme, una sorta di fusione per sparare contro gli altri». L’avvocato Gennaro, poi, chiede i dettagli sui rapporti con gli Anello e le consultazioni per compiere attività criminali: «I Bonavota con gli Anello – spiega Mantella – avevano un progetto comune, ovvero eliminare Cracolici. L’intento era quello di Pasquale Bonavota, il più grande rispetto a Domenico. Insieme ai Cugliari e in particolare Rocco Anello, era l’inizio degli anni 2000». «I Bonavota erano insofferenti rispetto ai Cracolici in seguito a diversi episodi, subivano la loro prepotenza, non respiravano più su quel territorio». «Poi – racconta Mantella – Rocco Anello va in carcere, Pasquale Bonavota è coinvolto in altri procedimenti e il progetto salta». «Poi – dico purtroppo – incontro Domenico Bonavota e quel progetto torna vivo anche perché avevano già ucciso Alfredo Cracolici».
Il controesame continua con la vicenda delle armi arrivate dal Piemonte direttamente all’ufficio postale di Acconia. «Raffaele Cracolici era furbo, ci scappava sempre e così con due macchine diverse eravamo pronti ad ucciderlo. Ci servivano così altre armi e ci siamo preparati qualche mese prima, tant’è vero che alla fine ci siamo dovuti piazzare con un furgone. La prima volta che ho visto il carico di armi all’Ufficio postale sono rimasto meravigliato». «Non so chi le aveva mandate, sono andato insieme a Francesco Fortuna, poi Fruci mi ha suggerito il canale, i parenti in Piemonte dei Bonavota che avevano scelto questo canale, l’ufficio postale di Acconia». «La seconda volta non ricordo a quanto risale, non posso escludere che non sia avvenuto anche durante la mia latitanza. La seconda volta ci capito sicuramente dopo l’omicidio Cracolici, era un ottimo canale per avere armi, dunque tra il 2004 e febbraio 2006».
«Lei – chiede l’avvocato Gennaro a Mantella – dice che Mancuso e il suo gruppo si era prodigato per l’elezione di Stillitani?» «Lo Bianco e Barba a Vibo, Bonavota, Anello-Fruci, Mallamace, La Rosa di Tropea non ricordo, poi Accorinti ma non Giuseppe, non aveva questa abilità. Nino Accorinti, invece, aveva una mente imprenditoriale, tutti loro si erano attivati ma, con molta onestà, devo dire che degli Stillitani ne parlavano tutti con favore, forse per simpatia, forse per il talento imprenditoriale». «Sa – chiede ancora Gennaro – se uno come Colace e Accorinti, intranei ai Mancuso, si erano dati da fare?» «Antonino Accorinti sì – risponde Mantella – mica andavano i Mancuso in giro. Davano queste direttive ai loro factotum». «Accorinti era lo stesso che operava nei villaggi, era attivo nel settore imprenditoriale, aveva le navi che andavano alle isole Eolie». E sul perché non ne abbia mai parlato prima, Mantella spiega: «Avvocato, la stimo e la rispetto ma durante alcuni interrogatori ho provato a completare questi passaggi che ritenevo comunque poco incisivi, ma nel momento clou mi dicevano “su questo ci torniamo dopo” e poi non ne parlavamo più. In quegli interrogatori non ero in forma, non ero concentrato». (redazione@corrierecal.it)
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