LAMEZIA TERME «Del Pronto soccorso di Lamezia non frega niente a nessuno». È la triste constatazione dei più che vi lavorano. Un’assuefazione al peggio che avvolge come una nebbia tossica il reparto front office dell’ospedale “Giovanni Paolo II”. Senza uomini e senza mezzi si deve servire la quarta città della Calabria con una popolazione di oltre 70mila abitanti e un hinterland altrettanto popoloso. A chi vi lavora e al paziente che arriva viene tolta ogni dignità umana. Così come la dignità è stata tolta alla donna in carrozzina che si è urinata addosso perché non poteva entrare nel bagno del Pronto soccorso poiché, semplicemente, quel bagno non è minimamente a norma: non vi passano le carrozzine, non è dotato di antibagno, il water non ha le maniglie per i portatori di handicap, c’è un piccolo chiodo per appendere la flebo ed è quanto di più antigienico possa esistere visto che al suo interno si trovano il lavapale e il portabiancheria sporca. Il bagno interno al pronto soccorso viola ogni norma ma, nonostante tutti i lavori e le inaugurazioni, non è mai stato ristrutturato e continua ledere la dignità di chi vi accede.
Smantellato di uomini e mezzi, il Pronto soccorso non gode di buoni uffici all’interno dell’Asp di Catanzaro che è sorda ad ogni richiesta, a ogni evidente bisogno di questo reparto nel quale è stata ormai smantellata anche la stanza dell’Osservazione breve intensiva (Obi). L’Obi è stato inizialmente dedicato a creare una prima assistenza Covid per pazienti che dovevano essere trasferiti a Catanzaro. Quando poi ha aperto il reparto di medicina Covid a Lamezia, l’Obi è stato depauperato di tutto, a partire dai 10 posti letto, e oggi è un enorme stanzone vuoto. A nulla è valsa la proposta, concepita dal dottore Cesare Perri e sostenuta e avanzata, lo scorso 11 novembre, dal Tribunale per i diritti del malato (Tdm) all’allora direttore sanitario Antonio Gallucci e al suo staff di trasferire il reparto Covid nel blocco di Malattie infettive. Inascoltate sono state – ci dice il responsabile del Tdm Fiore Isabella – anche le segnalazioni inoltrate da parte dei pazienti.
Complice la pandemia, i dieci posti letto dell’Obi sono andati al reparto di medicina Covid diretto dal dottore Gerardo Mancuso, lo stesso che nel 2013 da dg dell’Asp, inaugurò l’Obi e altri nuovi lavori insieme all’allora governatore Scopelliti e all’allora presidente del consiglio regionale Francesco Talarico. Oggi chi ha bisogno di essere posto sotto osservazione da parte dei medici del Pronto soccorso (perché, per esempio, ha un sospetto infarto) deve trascorrere la notte, o le ore dell’osservazione, magari con una flebo al braccio, su una barella anteguerra nei corridoi del Pronto soccorso. Anche in questo caso la dignità del paziente viene calpestata: luci accese, urla e tutto il traffico che si può incontrare in una struttura d’emergenza viene assorbito dal paziente in osservazione che fino a poco tempo fa poteva godere di una stanza appartata e di un letto adeguato. L’Obi ormai è smantellata, una stanza vuota, e non si parla di una sua riapertura. Così è accaduto un mese fa circa, che un paziente con forti dolori al petto sia stato costretto a stare seduto su una panca di metallo dalle due del mattino alle sei perché ogni due ore, per controllare la curva enzimatica, doveva fare un prelievo. È dovuto tornare in Pronto soccorso dopo poche ore dalla dimissione perché aveva le gambe gonfie.
Barelle sgangherate, sedie a rotelle contate, adulti inflebati con cannule da neonato perché scarseggia anche il materiale. Scarseggia il filo da sutura, gli aghi cannula, anche i ferri per fare le suture sono ormai datati. Non esiste (sarebbe un lusso) la colla da sutura per i bambini che a Lamezia devono essere “cuciti” anche per le ferite meno gravi. Non esiste device pediatrico per rendere meno traumatico l’accesso di un bambino alle cure. E, tra l’altro, le donazioni di strumenti che vari privati e associazioni avevano fatto al Pronto soccorso durante il duro periodo del lockdown sono “sparite”. O meglio, si è deciso per una distribuzione in vari reparti. La coperta è sempre troppo corta e si assiste anche a questo.
Questo stato di cose non rende disteso il rapporto paziente-personale sanitario. Gli infermieri sono 4 a turno: uno dedicato al pre triage, uno al triage e un altro all’interno del Pronto soccorso. Si lavori così nonostante l’emergenza pandemica. Un numero assolutamente inadeguato di personale che non rispetta quelli che sono i protocolli d’emergenza. Basti pensare che, da protocollo, su un codice rosso dovrebbero intervenire quattro persone per il primo intervento di stabilizzazione del paziente. Non a Lamezia, dove i medici per turno sono 3 più due dedicati ai codici bianchi. Ma di notte e nei festivi non vi sono medici dedicati ai codici bianchi: tutto il peso di un afflusso che è comunque notevole ricade su una manciata di persone falcidiate, tra l’altro, anche dal Covid. E c’è chi è costretto anche a turni di 16 ore per sostituire i colleghi malati. L’Asp aveva chiesto a medici di altri reparti, soprattutto chirurghi, di prestare servizio in Pronto soccorso ma non vi sono state adesioni.
«C’è una carenza di personale patologica in Pronto soccorso», fanno sapere dal Tribunale per i diritti del malato. Le liste d’attesa sono infinite e questo vale per tutti, anche per i bambini e i pazienti oncologici. Gli aneddoti avvilenti si susseguono. Come quello del paziente, con una cistite emorragica in corso, trasferito di notte a Catanzaro perché non c’era l’urologo di turno. Per scoprire che neanche nell’hub del capoluogo non c’era l’urologo ed essere costretto ad attendere fino alle 18 prima di trovare sollievo.
Un tampone molecolare diventa obbligatorio se è necessario un ricovero. Ma a Lamezia si processano i molecolari solo dal mattino fino al primo pomeriggio, esclusi festivi e prefestivi. Poi spetta ad una navetta – che serve anche Soverato e Soveria Mannelli – trasportare i tamponi a Catanzaro. E l’attesa per un risultato, a seconda delle giornate, può arrivare anche alle 6 ore. Il tutto mentre una persona aspetta di essere ricoverata.
Nel reparto di Chirurgia il primario ha fatto comprare delle casse d’acqua da distribuire ai pazienti. Perché l’acqua manca e anche il cibo scarseggia. Lo denuncia il Tribunale per i diritti del malato che ha inviato una lettera aperta al direttore generale dell’Asp, Ilario Lazzaro. Fiore Isabella e Felice Lentidoro scrivono di avere ricevuto «segnalazioni quotidiane del perpetuarsi del disagio che si configura in pasti distribuiti parzialmente e mai comprensivi di tutte le sostanze necessarie a comporre un pasto dieteticamente bilanciato; per non parlare dei pasti destinati a pazienti con particolari patologie (vedi diabetici) bisognosi di diete rigorosamente individualizzate. Cittadinanzattiva e il Tdm, che opera all’interno del nostro ospedale, sono estremamente preoccupati per l’incertezza che vige nella gestione del servizio mensa». Dal 6 aprile stanno scrivendo al dg Lazzaro senza ricevere risposte. «Se il disagio segnalato – scrivono – non sarà immediatamente rimosso restituendo ai pazienti, in regime di degenza, il diritto ad un pasto completo e cronologicamente assicurato, Cittadinanzattiva e il Tdm saranno costretti ad intraprendere iniziative, se occorre anche di carattere legale, per garantire ai nostri malati un servizio mensa degno di un paese civile».
Il Tribunale per i diritti del malato, con Fiore Isabella e Felice Lentidoro, l’associazione malati cronici con Giuseppe Marinaro e Giuseppe Gigliotti, Il comitato Salviamo la sanità nel Lametino. Sono numerosi i gruppi che denunciano il depauperamento dell’ospedale “Giovanni Paolo II”. Chiedono incontri che, puntualmente, non portano a nulla. Raccontano gli assembramenti «indecenti» al Centro unico prenotazioni e le infinite liste d’attesa che oggi portano il paziente a essere dirottato anche in altre sedi della provincia. «Perché per una visita otorino (breve) o altre, il Cup spedisce i pazienti come pacchi postali a Sersale, Taverna o Soverato? Circa 140 chilometri andata e ritorno. Nonostante gli ambulatori a Lamezia Terme sono aperti? Cosa c’è nel programma prenotazioni? Perché a sacrificarsi sono sempre e solo i malati?», scrive Giuseppe Marinaro.
Il Tdm segnala il mancato rispetto per i parcheggi riservati ai disabili e racconta al Corriere l’odissea di una signora che ha una bambina di sette anni che non cammina ed è bisognosa di fare riabilitazione. Sono costrette a parcheggiare lontano. Fiore Isabella racconta che il 22 novembre hanno incontrato il sindaco Paolo Mascaro per il problema dei parcheggi. «Ci ha detto che quando si fosse insediato il nuovo comandante dei Vigili urbani avrebbe risolto. Non ci ha mai chiamati». Eppure, pochi giorni dopo l’incontro, il 2 dicembre, si è insediato il nuovo comandante Luigi Marino. Sempre il 22 novembre, il Tdm insieme all’associazione non vedenti di Lamezia avevano chiesto al sindaco di poter avere una sede nel centro di Lamezia perché attualmente il gruppo di non vedenti paga un affitto di 250 euro al mese per un locale a Caronte, non proprio dietro l’angolo. Anche su questo fronte tutto tace da parte di un’amministrazione che ha una commissione consiliare dedicata a “Sanità e Attività Sociali”.
Sempre il Tdm, tramite comunicato, ha denunciato il problema delle morti solitarie per Covid. Spiegano che esiste ormai una norma, il decreto 105 del 23 luglio 2021, che consente l’ingresso ordinato e in sicurezza dei parenti dei pazienti malati di Covid. Ma da medicina Covid non ci sentono.
Nessuno sente. «Dell’ospedale di Lamezia Terme non frega niente a nessuno», è la litania.
Eppure le orecchie sono tante: dal commissario alla Sanità, il governatore Roberto Occhiuto, al direttore generale Ilario Lazzaro, al direttore sanitario facente funzioni dell’ospedale di Lamezia Terme Rita Teresa Marasco. Certamente non aiuta che la voce delle associazioni non venga sostenuta dalla popolazione che si limita a commentare su Facebook ma raramente denuncia o segnala i disservizi. Così un grido di protesta rischia di diventare un requiem. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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