LAMEZIA TERME All’inizio del prossimo maggio chiuderà la sede operativa della fondazione Federica per la Vita, dedicata a Federica Monteleone, morta nel 2007 per malasanità. È una brutta notizia, data dalla madre della ragazza, la signora Mary Sorrentino, che ha accennato a grosse difficoltà economiche della onlus, priva di contributi pubblici e donazioni. Significa che il volontariato in Calabria non attecchisce. Vuol dire che la sensibilità e la memoria pubblica rimangono in piedi finché delle tragedie umane si scorge una traccia; fino a quando i media ne parlano e dunque alimentano rabbia e riprovazione contagiose.
Ma la sanità calabrese non è cambiata da allora, dalla morte della “povera” Federica insieme a quella di Flavio Scutellà ed Eva Ruscio, altri due minori deceduti in quell’anno tremendo, interminabile, culminato con la formalizzazione di un’emergenza sanitaria che non ha risolto i guai. I rilievi della commissione ministeriale Serra-Riccio, che nell’aprile 2008 firmò la relazione conclusiva delle proprie indagini, sono sempre attuali: eccessiva dipendenza dei manager sanitari dalla politica, appetiti criminali, disorganizzazione generale, rapporto tra policlinico universitario di Catanzaro e Regione Calabria troppo sbilanciato a favore del primo e del collegato ateneo.
Così è un duro colpo vedere che la fondazione Federica per la Vita è costretta a retrocedere, a sparire, quasi come se la storia di quell’incolpevole sedicenne non avesse insegnato qualcosa, non avesse scosso un’intera regione, non avesse riproposto il problema della sicurezza e dell’affidabilità delle cure in Calabria, dell’ingiustizia davanti alla sufficienza e irresponsabilità con cui molti reparti erano (e continuano) ad essere gestiti.
Dovremmo chiederci con onestà intellettuale se e come la sanità calabrese sia migliorata dal 2007, dalla scomparsa di quei tre giovanissimi pazienti che toccò tutta l’Italia per l’assurdità dei fatti, per la loro sequenza altrettanto paradossale quanto scioccante. Sul piano sostanziale, le strutture di comando si sono spesso mantenute inalterate, non di rado poste a riparo da valutazioni indipendenti sulla correttezza delle procedure e sui risultati in termini di esiti degli interventi e completezza dell’assistenza.
Anche i concorsi a primario – e diversi sono in svolgimento – non danno garanzie piene in una regione come la Calabria. Questo perché il direttore generale, oggi diremmo il commissario straordinario aziendale, può sempre decidere in autonomia rispetto al punteggio attribuito dalla commissione ai vari candidati, salvo l’obbligo di motivare la propria scelta. Ed è proprio quell’autonomia, quella libertà di movimento che va messa in dubbio, sul presupposto che la differenza la fanno in primo luogo i medici e gli altri sanitari, i gruppi di lavoro, la loro capacità di affrontare grandi sfide, tecniche e organizzative, in un contesto di forte e prolungata deprivazione, di frequente livellamento verso il basso o di medicina difensivistica priva di audacia e più spesso alla ricerca di consenso sociale invece che di esperienze modello e di dati oggettivi sulla qualità delle prestazioni.
Credo che il presidente e commissario Roberto Occhiuto debba prendere in seria considerazione l’idea di sostenere la fondazione Federica per la Vita. Non già per apparenza o convenienza, ma per il valore simbolico che avrebbe la continuazione delle attività di questa onlus, che a mio avviso dovrebbero estendersi anche ad un monitoraggio capillare sulla gestione delle aziende del Servizio sanitario regionale e sugli incarichi di vertice assegnati nelle singole unità operative, anche in ambito amministrativo.
Mi auguro che Occhiuto rifletta su questo consiglio e che nel merito dia un cenno di risposta. La credibilità di un sistema sanitario passa anche da gesti concreti, che per una Regione sono doverosi, oltre che possibili. (redazione@corrierecal.it)
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