LAMEZIA TERME La sua opera, Una Femmina, ha guadagnato una nomination al Berlinale e due candidature ai prossimi David di Donatello per la “miglior sceneggiatura non originale” e per il “miglior regista esordiente”. Da Cosenza all’affermazione sul grande schermo, di strada ne ha fatta molta Francesco Costabile. Il giovane regista calabrese, si è raccontato a Danilo Monteleone e Ugo Floro nel corso dell’ultimo episodio di 20.20, il talk di approfondimento in onda su L’altro Corriere Tv. Costabile racconta della partenza dalla terra d’origine, la Calabria, ad appena 19 anni per intraprendere «un viaggio molto lungo», che passa dagli studi in “Dams” a Bologna: «Desideravo fare questa carriera fin da bambino, ho sempre avuto le idee molto chiare». Una carriera che imponeva di lasciare la regione, auspicando, un giorno, come successo, di poterla raccontare. «Non è semplice fare questo mestiere, richiede molto studio», dice Costabile, che parla anche della lunga gavetta tra cortometraggi ed altri lavori. «È stato difficile esordire nel lungometraggio e prima di arrivare a questo riconoscimento la strada è stata lunga, faticosa. E per chi parte dalla Calabria forse è ancora più difficile. In Calabria non c’è possibilità di studiare e formarsi nell’ambito dell’audiovisivo e del cinema per cui per me andare via è stato necessario per inseguire il mio sogno».
Il film, distribuito da “Medusa” nell’anno corrente, racconta la storia di Rosa, una giovane dal carattere ribelle, quasi un marchio distintivo di molte donne calabresi. Vive in un paesino dell’entroterra insieme alla nonna e allo zio che a soli 16 anni si confronta con la ‘ndrangheta e con tragici accadimenti che la riportano alla morte della madre, uccisa perché collaboratrice di giustizia. «Credo il tema abbia molto colpito perché parlare di ‘ndrangheta dal punto di vista femminile è un aspetto piuttosto nuovo». Costabile, come lui stesso ricorda, non è l’unico a scegliere questa via, percorsa anche da Jonas Carpignano con “A Chiara”. «Oggi – aggiunge il regista – il tema della questione di genere è centrale e lo è anche nella lotta alla mafia e nella narrazione della criminalità organizzata». Altro «punto di forza» del film è la protagonista, interpretata da Lina Siciliano, anche lei, come Costabile, giovane di origine cosentina, alla sua prima esperienza cinematografica. «Questo è un film con tutti attori calabresi, cosa che non accade spesso, e mostrare tutte facce nuove è sempre importante: ogni tanto il cinema necessita di prodotti che sono un po’ diversi e nel loro piccolo portano novità».
«È il momento femminile nell’ambito sociale, politico, culturale», dice Costabile, che declina il tema principale in forma più ampia. «Noi veniamo da secoli di storia che hanno segnato una discrepanza, una rottura tra i due generi».
«Per arrivare a una pace – allargando il discorso anche agli eventi ucraini – è necessario arrivare a un riequilibrio della componente femminile, fondamentale anche negli uomini stessi. Nella ‘ndrangheta questa cosa è ancora più evidente. Queste famiglie sono decimate perché l’elemento maschile viene a mancare. Laddove l’elemento femminile diventa sovversivo all’interno di queste famiglie c’è un’implosione interna che mina i fondamenti del potere mafioso ‘ndranghetista quindi è un elemento centrale».
Altro aspetto di cui tener conto, nell’approcciarsi alla narrazione artistico-mediatica della ‘ndrangheta e della criminalità organizzata in generale è la polemica intorno all’immaginario della narrazione stessa. Da un lato avanza la “dottrina” secondo cui parlare di ‘ndrangheta rappresenta una cattiva pubblicità per la Calabria, dall’altro, rimane ferma la consapevolezza che il tema non possa essere sottratto alla narrazione della regione (che risulterebbe altrimenti monca). «Ero pronto a osservazioni simili», dice il regista. «Non è solo un discorso calabrese; se si va a Napoli c’è lo stesso problema. Sono stanchi di un certo tipo di rappresentazione cinematografica, così come a Palermo e in tutto il mondo». In particolare, soprattutto le regioni “d’origine” delle mafie sarebbero stanche «del modo in cui è stata rappresentata la mafia, anche in grandi capolavori come il Padrino», che da un lato l’hanno aiutato a far conosce il fenomeno, dall’altro hanno contribuito a spettacolarizzarla. «Io credo – dice Costabile – che di alcune questioni sia necessario parlarne. Il problema è che in Calabria si produce poco anche su altri tipi di narrazioni. Il mio film non spettacolarizza la ‘ndrangheta, ma anzi mostra quella che è la miseria umana di determinati contesti. Sono contento di quello che ho prodotto nella narrazione calabrese e mi auguro che possano esserci dei sostegni produttivi su un ventaglio di storie più ampio».
La Calabria, secondo Costabile «è un soggetto estremamente interessante perché ci regala una diversificazione paesaggistica come poche. Possiamo spostarci dal mare alla montagna osservando diversi territori in pochissimo tempo. La Sila è un altro bellissimo territorio inesplorato, inedito dal punto di vista cinematografico, che recenti film hanno aiutato a far conoscere».
E non solo il territorio calabrese, secondo il regista, merita di essere valorizzato e conosciuto, ma anche le maestranze e i bravissimi attori che la regione sforna e che «fanno fatica a lavorare».
«Anche quando girano delle fiction, spesso non sentiamo parlare in calabrese perché non ci sono attori calabresi. Vengono presi ad esempio attori siciliani quando ci sono anche tantissimi attori calabresi». Il problema, secondo Costabile è dato dalla mancanza di «un’aggregazione, manca un’industria regionale che possa supportare meglio le produzioni». La “Film Commission” in tal senso si è mossa bene, «ad esempio sotto la guida di Citrigno ha prodotto film come “Il Buco” di Frammartino, che ha vinto a Venezia o “A Chiara” e “Freaks Out”. Speriamo che il cinema continui in questa direzione soprattutto nell’investimento in film di qualità, che è quello che fa la differenza».
Bisogna investire sul cinema calabrese, soprattutto «sulla formazione, perché manca in Calabria un centro altamente professionalizzante». Costabile conclude così con un appello: «Diamo la possibilità di studiare a chi non se lo può permettere. Il cinema e l’arte vanno portati nei ceti sociali meno abbienti perché la creatività spesso nasce dai margini. È importante che ci sia una scuola che accolga e non abbia delle cifre esagerate. E questo può nascere solo dal supporto pubblico. Noi veniamo anche da esperienze molto belle che purtroppo sono finite». (redazione@corrierecal.it)
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