REGGIO CALABRIA Per i docenti avrebbe dovuto «mettersi il cuore in pace» perché non avrebbe mai vinto quel concorso ed ottenuto il posto da ricercatrice. «La professoressa mi ha spiegato che, pur avendo molta stima professionale nei miei confronti e pur avendo ricevuto sempre feedback positivi sul mio operato dai vari clienti, aveva necessità che quel concorso lo vincesse uno dei suoi tre». I “suoi” erano i candidati segnalati di volta in volta da docenti, direttori dei dipartimenti, rettori che nell’Ateneo reggino predeterminavano l’andamento dei concorsi pubblici. I passaggi sono ripresi dalla testimonianza da cui scaturisce l’inchiesta “Magnifica”, della procura guidata da Giovanni Bombardieri, che coinvolge in tutto 52 persone.
Le ipotesi di reato confluite nelle oltre mille pagine dell’ordinanza sottoscritta dal gip Vincenzo Quaranta su richiesta degli stessi magistrati inquirenti di Reggio Calabria sono in tutto 22. Anzitutto viene ipotizzata l’esistenza, intorno all’Ateneo reggino, di una vera e propria «associazione a delinquere» finalizzata a «commettere molteplici delitti contro la pubblica amministrazione e la fede pubblica nella direzione e gestione dell’Università» ed articolazioni dipartimentali.
Di questa associazione, il pro-rettore vicario, Pasquale Catanoso e il rettore Santo Marcello Zimbone sarebbero stati «capi e promotori». Nello specifico, Catanoso sarebbe accusato di aver «gestito le risorse finanziarie disponibili, le autovetture di servizio, gli appalti dei lavori edili di manutenzione dei locali universitari, le procedure concorsuali e comparative per le posizioni di ricercatori, professori ordinari e associati, assegnisti di ricerca, nonché le selezioni per l’accesso ai dottorati di ricerca e ai corsi di specializzazione, in totale spregio della normativa di settore e dei principi di meritocrazia e perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ateneo».
Come ricostruito dalla procura coadiuvata nelle indagini dalla Guardia di finanza – che nella mattina del 21 aprile ha eseguito, proprio nei confronti di Catanoso la misura cautelare dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 12 mesi – la gestione dei beni in uso all’Ente veniva fatta «per fini privati» e venivano posti in essere «reiterati atti contrari ai doveri del proprio ufficio» soprattutto «nella selezione dei componenti “affidabili” delle commissioni esaminatrici, idonei a garantire un trattamento favorevole ai singoli candidati». Il gip parla in tal senso di «gestione domestica» dell’Ateneo riportando in atti diversi episodi tra cui viaggi in Italia e all’estero, l’acquisto di regalie, pranzi e cene di piacere. Un quadro che secondo il giudice denota particolare «mancanza di senso delle istituzioni».
Catanoso, sempre secondo l’accusa, si preoccupava di prescegliere «direttamente o a seguito di segnalazione» i candidati non in casi isolati, ma in forma sistematica ledendo così diritti ed interessi legittimi dei non vincitori dei rispettivi concorsi “truccati”. Il pro-rettore determinava quindi la prosecuzione della presunta gestione illecita di Zimbone a partire da novembre 2018. Secondo gli inquirenti il rettore della “Mediterranea” avrebbe proseguito sulla falsariga del predecessore «avallando e garantendo ai direttori dei dipartimenti e ai docenti la conservazione delle loro posizioni privilegiate, nonché la progressione in carriera dei candidati di volta in volta segnalati, anche mediante l’ingerenza nella formazione di commissioni esaminatrici, composte in modo “adeguato” al raggiungimento dei suoi obiettivi». Anche nei suoi confronti è stata eseguita la misura interdittiva per la durata di 10 mesi. In questo, come nel caso di Catanoso, la procura aveva chiesto la misura degli arresti domiciliari respinta dal gip che ha optato per una restrizione meno afflittiva all’esito delle sue valutazioni.
L’accusa per il rettore è quella di essersi appropriato delle risorse dell’Ateneo, come ad esempio le autovetture di servizio, «per il soddisfacimento di esigenze private», nonché «di turbata libertà nella scelta del contraente nelle procedure di gara volte all’aggiudicazione degli appalti di lavori».
Oltre a loro, altre figure indicate come di rilievo all’interno del presunto sodalizio, secondo gli inquirenti, sarebbero stati il direttore generale (fino al 4 maggio 2021) Ottavio Amaro, indicato «quale organizzatore del sodalizio di rilievo determinante» avendo consentito l’attuazione delle illecite determinazioni dei due rettori e, per tale, «omettendo l’adempimento del ruolo di garante della legalità nella gestione delle risorse umane e materiali dell’Ateneo». Gianfranco Neri, Adolfo Santini, Massimiliano Ferrara sono invece chiamati in causa nella loro qualifica di direttori di dipartimento, accusati di aver sostenuto e attuato l’illecita gestione ipotizzata da parte dei due rettori. Come riportano gli atti dell’inchiesta «di volta in volta individuavano e programmavano le procedure comparative da pilotare, e i colleghi da far progredire sul piano dell’inquadramento contrattuale, determinando l’indebita destinazione delle risorse finanziarie assegnate al dipartimento per il perseguimento delle finalità personali». Risultano poi inquadrati come «partecipi all’associazione» il docente Antonino Mazza Laboccetta, il Responsabile unico del procedimento Giovanni Saladino, i responsabili dell’Ufficio tecnico di Ateneo Alessandro Taverriti e Rosario Russo.
L’indagine si apre con l’esposto presentato da Clara Stella Vicari Aversa, architetta non risultata vincitrice di una procedura di valutazione per un posto da ricercatore. Fin dal momento della mancata aggiudicazione del posto, la studiosa aveva fatto ricorso ai competenti giudici amministrativi, ma aveva incontrato l’insolita proposta di lasciar cadere quelle azioni per «aspettare il proprio turno». L’indagine si dilata e va a toccare diverse procedure interne all’Ateneo. Nelle ipotesi di reato, c’è anche quella secondo cui alcuni dei presunti appartenenti al sodalizio si sarebbero mossi al fine di «far conseguire ai candidati», alcuni dei quali finiti tra gli indagati, «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali legati alla remunerazione ed alla progressione di carriera». Sarebbe ad esempio il caso di Rita Elvira Adamo, anche lei tra gli indagati con l’accusa di abuso d’ufficio, figlia del politico cosentino ed ex vicegovernatore Nicola Adamo e della deputata del Partito Democratico Enza Bruno Bossio. Secondo quanto ricostruito, dopo la “segnalazione” ad hoc del pro-rettore Catanoso – come sarebbe emerso, a detta del gip, dalle intercettazioni – Adamo era passata dal nono posto (senza borsa in graduatoria) all’ottavo posto (con borsa di studio) dopo la rinuncia di un’altra candidata.
Secondo quanto riportano le captazioni, Catanoso si sarebbe adoperato affinché «fosse adottato un rimedio – senza farlo apparire all’esterno come un favoritismo – al problema della mancata elargizione da parte della candidata di una documentazione necessaria alla partecipazione al dottorato». Nello stesso capo, sempre riferito a procedure “truccate” relative al medesimo corso di dottorato, figurano anche casi di candidati agevolati mediante la previa conoscenza delle tracce d’esame o altri segnalati e collocatisi ai primi posti in graduatoria. Secondo gli inquirenti, in violazione delle apposite norme procedurali, i vincitori venivano selezionati già prima dell’espletamento e della valutazione delle prove d’esame «determinando i voti dei candidati in modo strumentale a consentire l’accesso al dottorato ai “favoriti”» procurando loro un indebito vantaggio patrimoniale derivante dall’opportunità professionale e dalla correlata retribuzione. (redazione@corrierecal.it)
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