REGGIO CALABRIA Quando la procura di Reggio Calabria parla di «gestione domestica» dell’Ateneo allude, tra le altre, alle diverse ipotesi in cui viene contestato il reato di peculato ad alcune delle persone finite al centro dell’inchiesta “Magnifica”. Soprattutto, il riferimento è al prorettore vicario Pasquale Catanoso, al rettore Santo Marcello Zimbone e all’ex direttore generale Ottavio Amaro. Secondo i magistrati guidati da Giovanni Bombardieri, questi sarebbero stati al centro di un sodalizio finalizzato alla commissione di reati contro la fede pubblica e la pubblica amministrazione, tra i quali, appunto, quelli aventi ad oggetto l’utilizzo «per il soddisfacimento di esigenze personali» delle risorse e dei beni pubblici in dotazione all’Università “Mediterranea”.
Dagli accertamenti operati dal personale di Pg emerge una fitta agenda di viaggi personali fatti da Catanoso con autovetture di servizio. Le destinazioni svariano da Catania a Napoli, dove il prorettore si reca per porgere le condoglianze all’allora prefetto per la morte della madre, fino a Roma, per festeggiare il Natale 2018 ed omaggiare alcuni dirigenti del Miur. «Viene fuori un quadro a dir poco desolante», scrive il gip Vincenzo Quaranta nell’analizzare la documentazione prodotta dagli inquirenti. Non solo emerge «come gli indagati intendano il proprio ruolo pubblico e di come vi sia una strumentalizzazione» dello stesso, ma anche di come «Zimbone prima e Catanoso poi avevano sicuramente contezza che l’Amaro utilizzasse l’autovettura per motivi personali, per gli spostamenti da casa all’Ateneo e viceversa ma anche per spostarsi per le vie cittadine». Il sistema era di «reciproca copertura» tra gli indagati.
«Si è assistito – sempre secondo il giudice – a un totale asservimento del bene pubblico alle esigenze personali» com’è nei casi documentati in cui il prorettore vicario si serve dell’autovettura di servizio «per prelevare o accompagnare la figlia a Catania, in aeroporto, a Messina ed in un’occasione anche a Taormina per consentirle di fare una gita con un’amica, per recarsi coi suoi familiari a Roma e la cosa più grave è che in talune circostanze egli abbia utilizzato gli strumenti di pagamento elettronico (carte di pagamento) a lui in uso per motivi istituzionali» com’è il caso del pagamento del traghetto e dei ristoranti durante detti viaggi. Secondo il gip sono fatti da considerarsi «istituzionalmente imbarazzanti» dai quali si denota una certa cultura «di approfittare del bene collettivo» e non si comprende certo l’esigenza di queste condotte posto che i personaggi in causa «non hanno bisogno di fare ciò per sopravvivere». Le condotte, inoltre, sono rese ancora più gravi per il fatto di aver utilizzato, insieme ai mezzi in uso all’Ateneo, anche il personale di servizio distraendolo dalle relative funzioni. Così anche per Zimbone, che avrebbe «sistematicamente utilizzato automezzi e personale per accompagnare e prelevare i figli dall’istituto scolastico da loro frequentato o per altre esigenze». Il giudice indugia su un caso esemplificativo in cui il rettore invia l’autista fino a Cosenza per consegnare un paio di stampelle al figlio.
Tra le condotte presunte di peculato, la procura evidenzia quelle inerenti l’utilizzo da parte del prorettore vicario Catanoso di alcune carte di pagamento collegate a conti intestati all’Università. Nell’arco temporale che va da gennaio 2017 fino a luglio 2019 l’avrebbe usata per «l’acquisto di regalie con cui omaggiare i suoi conoscenti in ambito istituzionale, politico e universitario, per trasferte verso Parigi e Roma non giustificate da impegni ufficiali ma finalizzare a far visita alla figlia, per pranzi e cene di piacere e per l’acquisto di biglietti ferroviari e spostamenti in taxi per sé e per i suoi congiunti». L’importo complessivo stimato supera di poco le 4mila euro, stessa cifra che costituisce l’oggetto del sequestro preventivo applicato ai danni dello stesso Catanoso, interdetto dai pubblici uffici per la durata di 12 mesi.
Il 21 marzo 2018, riportano gli inquirenti, Catanoso avrebbe partecipato a una cena a Roma insieme ad altri rettori. «Stasera c’ho tutti a cena io qua, lo sai?» dice durante una telefonata con Zimbone. Ma la lista delle spese documentate dagli inquirenti è lunga e variegata ed arriva a comprendere anche transazioni come quella effettuata il successivo 30 marzo in un bar di Reggio dell’importo di 150 euro per l’acquisto di dolci e prodotti tipici delle festività pasquali «che poi il Catanoso ha provveduto a donare a conoscenti e amici vari». «Mi hai riempito una casa, mi hai riempito», gli dice una di questi. «No, te le devo portare le altre cose oggi pomeriggio», la risposta del prorettore.
Spicca, tra le varie, anche una transazione di circa 430 euro per il pagamento delle spese si trasporto sostenute per raggiungere Parigi (e successivamente fare rientro a Roma) nel giugno del 2018.
Tutto farebbe parte di un sistema germogliato grazie a una fitta rete di relazioni. Non a caso, in alcune delle intercettazioni avvenute nei vari viaggi Catanoso si racconta, spiegando come, una persona col suo vissuto, venuta dalla strada, sia riuscita a costituire un sistema tale. «Vedete che è un ottimo futuro, chiaro! (…) come ho fatto io, io vengo pure dalla strada però»…«però mi sono costruito un sistema che conosco a tutti, chiaro?» Le spese servono quindi anche per mantenere oliato quel fitto sistema di relazioni. «Si deve premettere che nessun elemento porta a ravvisare che i soggetti “beneficiari” (funzionari, politici e membri di istituzioni e autorità tra gli altri, ndr) del sistema messo in atto dal Catanoso avessero contezza che questi utilizzava denaro pubblico, dell’Ateneo. Discorso a parte deve valere per la moglie e la figlia che sicuramente avevano contezza di tale uso illecito/indebito», scrive ancora il gip, che aggiunge: «Si fa fatica a credere che un uomo delle istituzioni, una delle più importanti per la crescita culturale, civile ed economica del Paese, sia potuto arrivare a fare ciò che emerge dalle risultanze investigative». Sebbene uomo che si è fatto da sé, come si definisce, «pare che non abbia sviluppato la cultura del rispetto delle regole e del ruolo pubblico esercitato». Addirittura, secondo il giudice, egli era consapevole «di delinquere quindi di rischiare» come emerge da una citata conversazione di dicembre 2018 (a fine mandato) quando afferma: «Minchia mi sono tolto sto peso guarda, senza avvisi di garanzia…niente…onestamente un centinaio me ne meritavo». E nonostante la parvenza di scampato pericolo, aveva deciso di continuare la sua attività: «Noi facciamo i pro-rettori, ce ne fottiamo tre cazzi! Basta!» perché «alla fine la troviamo sempre una cosa, non vi preoccupate […] se cadiamo noi deve cadere lo Stato!» (f.d.)
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