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La riflessione

«Neanche questo 25 aprile la medaglia d’oro per “Facio”»

È (quasi) certo che neppure questo 25 Aprile sarà quello buono per il comandante Facio. Il partigiano calabrese Dante Castellucci che fu ucciso, all’alba del 22 luglio 1944, dopo un processo farsa…

Pubblicato il: 23/04/2022 – 15:37
di Romano Pitaro*
«Neanche questo 25 aprile la medaglia d’oro per “Facio”»

È (quasi) certo che neppure questo 25 Aprile sarà quello buono per il comandante Facio. Il partigiano calabrese Dante Castellucci che fu ucciso, all’alba del 22 luglio 1944, dopo un processo farsa. Non dai nazifascisti, ma da alcuni dei suoi compagni.
Nel 2007, nel 63mo anniversario della sua fucilazione, un gruppo di storici, tra cui Claudio Pavone, Alessandro Portelli, Paolo Pezzino, Alberto Cavaglion e Giovanni De Luna, ha inviato una petizione al Presidente della Repubblica, al Ministro di Grazia e Giustizia e a quello della Difesa. 
Obiettivo della richiesta (che ebbe il patrocinio della Regione Calabria): «l’assegnazione della Medaglia d’Oro alla memoria, perché dai documenti emerge la verità sulla morte di Dante Castellucci e l’eroismo di un partigiano noto e stimato da tutti».
L’attribuzione della Medaglia d’Oro, argomentavano gli storici, «si rende più che mai necessaria dal momento che la figura di Castellucci, che combatté accanto ai fratelli Cervi e si distinse per importanti azioni partigiane nel Parmense e in Alta Lunigiana, rimane tuttora appannata, nonostante la Medaglia d’Argento conferitagli nel 1963, la quale conteneva una motivazione non rispondente a verità». Per lo storico Carlo Spartaco Capogreco: «Un falso in atto pubblico». Perché a uccidere Facio non fu il nemico. Sono trascorsi quindici anni dalla petizione. E settantotto dalla vigliacca fucilazione di un eroe calabrese della Resistenza. Ma la Medaglia d’Oro per Facio rimane nel cassetto.

Il dossier di “Micromega” del 2015   

Un dossier sui 70 anni della Resistenza, pubblicato nel 2015 da “Micromega” e introdotto dal presidente Mattarella, rievocava, attraverso le vicende rocambolesche di Laura Seghettini, “soldato” nei lunghi mesi di montagna nel battaglione Picelli, la storia di un calabrese dallo sguardo limpido. Di quelli che aborrono gli inganni. E li fermi solo se gli spari. Infatti, gli tesero una trappola e l’hanno ammazzato. Altri partigiani. Al padre dei fratelli Cervi, Facio diceva: «Quando sarà finita la guerra, vi inviterò al mio paese a mangiare fichi d’India». Non gliel’hanno lasciato fare.
È lei, Laura Seghettini, “la maestra col fucile” nata a Pontremoli (Lunigiana) nel ’22 e morta nel 2017, figlia e nipote di antifascisti della prim’ora, che, riandando indietro con la memoria, si sofferma su un uomo «all’inizio scostante con me». Quando la ventiduenne si presentò, per sfuggire al carcere fascista, al battaglione “Picelli” (maggio ’44) dovette aspettare, prima d’essere intruppata, che Facio rientrasse al campo da una missione.
Lui la guardò e, temendo che in mezzo agli uomini potesse trovarsi male,  disse: «Bah, in una situazione del genere…” E lei: “Io mi rendo conto, però non vorrei finire in galera o un lager tedesco perché ti disturba la mia presenza. Sta tranquillo, fossi tu o qualcun altro che allunga le mani verso di me…ve le taglio». Lui rispose: «Sei sgarbata». E assentì.

Leggenda vivente dopo la battaglia del “Lago Santo”

Facio è il comandante Dante Castellucci nato a Sant’Agata d’Esaro, in Calabria, il 6 agosto 1920. Emigrato in Francia con la famiglia, dopo aver combattuto sulle Alpi e lungo il Don, diserta. Sceglie di combattere per la libertà. Inizialmente, è il braccio destro di Aldo Cervi. Ricordate i sette fratelli Cervi di Campegine? Quelli! Poi, prese il comando del battaglione “Guido Picelli” della brigata Garibaldi parmense, «in cui si distinse per il carisma e le straordinarie capacità operative». Assunse il nome di un brigante calabrese, che avversò il pugno del Borbone e la spavalderia dei Piemontesi.
Sull’Appennino Tosco Emiliano mise a segno straordinarie azioni militari e divenne una leggenda vivente per le comunità della Lunigiana e della Valle del Taro. Indimenticabile, la sua astuzia e la sua generosità nella battaglia del Lago Santo. Erano solo nove. Dopo due giorni di combattimenti, misero in fuga un reparto di un centinaio di nazifascisti. Quelle gesta gloriose sono state ricordate più volte dal Comitato unitario della Resistenza, dall’Anpi di Parma e dal Museo audiovisivo della Resistenza: «Facio vive ancora!».

La falsa accusa di sabotaggio e tradimento

Laura Seghettini divenne la sua compagna. Racconta: «Facio era un uomo saggio, buono, prudente, da buon calabrese anche un po’ diffidente, e poi era colto suonava bene il violino, faceva teatro ed era un buon parlatore: l’innamoramento, non so neanche se …è venuto cosi in un breve momento, ma che diventa un’eternità quando si ha la morte vicina, giorno e notte».
Seghettini ne traccia, con parole semplici, il profilo di partigiano: «Era stato a Campegine con i fratelli Cervi e arrestato insieme a loro, riuscì a scappare dal carcere, ma non riuscì nel suo intento di liberarli prima della fucilazione. Era molto amato dai suoi uomini ed anche dalla popolazione…Era stato uno dei protagonisti della battaglia del Lago Santo. A luglio venne processato, a sorpresa, da altri partigiani per un contenzioso su un lancio paracadutato dagli alleati e destinato ad un altro gruppo di partigiani (poi fu dimostrato che Facio si trovava da tutt’altra parte). L’accusa di sabotaggio e tradimento era palesemente falsa e ad orchestrare tutto il processo c’era Antonio Cabrelli, un antifascista che aveva sicuramente delle brame di potere. Io arrivai verso la fine del processo e trovai Facio che non reagiva alle accuse, era come ammutolito, allora gli dissi: ‘Ma perché non ti difendi?’ E lui ‘Io non mi difendo dai compagni, se ritengono che abbia sbagliato, pagherò’. Stessa risposta diede agli uomini che dovevano fucilarlo all’alba del 22 luglio (località: Adelano di Zenri), quando gli proposero di scappare: ‘Sono fuggito dai fascisti ma non scappo dai compagni’. La sua fucilazione ci ha sconvolto tutti. Io non so se sarebbe durata con Facio, ma quando stava andando alla fucilazione si è girato verso di me e mi ha detto: ‘Vedi che non sporchino troppo il mio nome’. Per questo io ho continuato in tutta la mia vita a chiedere di fare chiarezza su quella morte, lo dovevo a quel povero ragazzo che ha fatto una fine ingiusta. Dopo qualche anno sono stata in Calabria a casa di Facio per salutare la madre…».

«Non si doveva uccidere un uomo cosi»

In un’altra circostanza, Laura Seghettini ha ricordato: «All’alba lo hanno preso e lo hanno portato fuori. Ho saputo che ha gridato ‘Viva l’Italia’. No, non si doveva uccidere un uomo così. Aveva solo venticinque anni».
Perché non restino ombre sull’integrità del comandante Facio: a) chi lo ha accusato era un personaggio «conosciuto per aver avuto legami col regime fascista, ma non era riuscito ad arrivare al ruolo di commissario politico nel distaccamento del battaglione Guido Picelli; b) Wikipedia riporta che “Cabrelli (nome di battaglia Salvatore), sospettato di complotto da diversi comunisti (in primis da Laura Seghettini), per quanto accaduto a Facio, lasciò il Partito comunista ed entrò nel Psi, assumendo nell’immediato una carica pubblica nell’amministrazione comunale di Pontremoli”; c) Antonio Cabrelli “fa una fine singolare ed ambigua: muore in un incidente stradale con una donna che Laura Seghettini conferma essere ex spia dell’Ovra, per cui vi son sospetti sulla morte del Cabrelli».
Non è tutto. La conclusione di questo articolo (come la petizione degli storici)  è ispirata da un libro che ha il merito di fare chiarezza sulla “vera storia del partigiano Facio”. S’intitola “Il piombo e l’argento” (Donzelli editore). Lo ha scritto nel 2007 lo storico (presidente della Fondazione Ferramonti) Carlo Spartaco Capogreco, da sempre impegnato sul fronte più scabroso delle vicende della seconda guerra mondiale, «dimostrando che è possibile indagare nelle pieghe e nelle piaghe più controverse della Resistenza, accettandone le zone d’ombra, senza intaccare l’alto significato della lotta per la Liberazione. Dunque: 19 maggio 1963, 19 anni dopo l’uccisione di Facio. Nel piazzale della Caserma Luigi Settino di Cosenza prendono avvio le Giornate del Decorato al Valor militare e dell’Orfano di guerra”. Il generale Di Cerbo, comandante della XV zona militare e del presidio di Cosenza, conferisce la medaglia d’argento alla memoria di Dante Castellucci «della classe 1920 di Sant’Agata d’Esaro, caduto eroicamente a Pontremoli il 22 luglio 1944».
Concetta Arcuri Castellucci (la madre di Facio) si ferma al cospetto del generale che, stringendosela al petto, procede alla consegna. Scrive Carlo Spartaco Capogreco: «La madre di Facio riprende la via del ritorno portandosi a casa la luccicante medaglia ‘alla memoria’, che in realtà – a giudicare da quanto scritto nel testo della motivazione – sembra più una medaglia all’oblio, concepita per cancellare il dato storico che Dante Castellucci, in realtà, non è caduto combattendo contro il nemico».

Le firme degli storici per il comandante Facio

Di seguito le firme del comitato degli storici che per Dante Castellucci hanno chiesto la Medaglia d’Oro: Maria Bacchi (Istituto Storico della Resistenza, Mantova) David Bidussa (Fondazione Feltrinelli, Milano) Bruno Bongiovanni (Università di Torino) Luciana Brunelli (Università di Perugia) Carlo Carbone (Università della Calabria) Enzo Collotti (Università di Firenze) Alberto Cavaglion (Istituto Storico della Resistenza, Torino) Giovanni Contini (Soprintendenza Archivistica per la Toscana, Firenze) Marco Coslovich (Associazione “Prospettive Storiche”, Trieste) Giovanni De Luna (Università di Torino) Michele Fatica (Università di Napoli “L’Orientale”) Marcella Filippa(Fondazione Vera Nocentini, Torino) Maurizio Fiorillo (Istituto Storico della Resistenza, La Spezia) Filippo Focardi (Università di Padova) Mimmo Franzinelli (Istituto Nazionale per la Storia delMovimento di Liberazione, Milano) Annabella Gioia (Istituto Storico della Resistenza, Roma)Pasquale Iaccio (Università di Salerno) Sergio Luzzatto (Università di Torino) Paola Magnarelli (Università di Macerata) Roberto Morozzo della Rocca (Università di Roma “La Sapienza”) Luigi Parente (Università di Napoli “L’Orientale”) Claudio Pavone (Università di Pisa) Gianfranco Pedullà (Università di Cassino)Santo Peli (Università di Padova) Paolo Pezzino (Università di Pisa) Silvio Pons (Università di Roma “Tor Vergata”) Alessandro Portelli (Università di Roma “La Sapienza”) Luciana Rocchi (Istituto Storico della Resistenza, Grosseto) Anna Rossi-Doria (Università di Roma “Tor Vergata”) Frediano Sessi (Università di Mantova) Massimo Storchi (Istituto Storico della Resistenza, ReggioEmilia) Giuseppe Tamburrano(Fondazione Nenni, Roma) Giorgio Vecchio (Università di Parma) Paolo Veziano (Progetto “La Memoria delle Alpi”, Imperia).

*giornalista

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