CATANZARO La “fame” di energia scatenata dal conflitto in Ucraina rimette in moto la macchina per rilanciare i progetti legati alle rinnovabili. Una strategia necessaria a compensare la quota parte di forniture energetiche proveniente dal fronte russo e che dovrebbe, come da intenzioni del governo, progressivamente ridursi. Le sanzioni nei confronti della politica aggressiva di Vladimir Putin colpirebbero appunto le importazioni del gas – ma anche del petrolio e del carbone – che finora è stato garantito da Mosca, con ripercussioni inevitabili sulla capacità di approvvigionamento per l’intero sistema italiano. Da qui la corsa a recuperare terreno sul fronte dell’impiantistica legata alla produzione di energia puntando sulle fonti rinnovabili di cui il Sud e la Calabria restano – per le condizioni climatiche – territori d’elezione. Ma le lungaggini burocratiche bloccano le autorizzazioni a realizzare nuovi impianti in tutta Italia.
Infatti secondo il rapporto “Le Regioni e il Permitting” di R.E.gions2030 – l’iniziativa promossa da Public Affairs Advisors ed Elements per monitorare lo sviluppo delle Fonti di energie rinnovabili (Fer) sul territorio – nonostante le accelerazioni impresse dal Governo i tempi per costruire una centrale in Italia restano comunque molto lunghi. Ed inoltre dal report emerge anche una disomogeneità nella risposta della politica locale ad ottemperare agli iter autorizzativi. Con la Calabria agli ultimi posti per performance nel rilascio dei permessi in Italia.
Entrando nel dettaglio dal rapporto si evidenza la grande sproporzione tra le iniziative presentate e quelle autorizzate. Le prime in crescita costante dal 2018 al 2021, mentre l’iter autorizzativo non riesce a tenere il passo. Ad esempio dei permessi per realizzare impianti eolici da 1.370 MW (1,3 GW) presentati nel 2018 ben il 57,5% (pari a 788 MW) è fermo in attesa di ottenere La Valutazione di impatto ambientale.
In Italia ben otto centrali su dieci, inoltre, dopo aver ottenuto il visto finale non possono essere poi realizzate perché il progetto diviene “tecnologicamente obsoleto”. E così quei progetti ritornano quasi al punto di partenza, avendo la necessità di chiedere nuove autorizzazioni per le varianti necessarie. Una sorta di gioco dell’oca che diviene gara ad ostacoli anche per quei progetti autorizzati. Ben il 15% delle iniziative, secondo l’analisi riportata dal report, incontrano poi difficoltà dopo il via libera a causa di successivi ricorsi, dinieghi di proroghe o revoche.
Entrando nel dettaglio, in Italia sono 517 i progetti di rinnovabili che restano in attesa della Via (Valutazione di impatto ambientale), primo step per passare alla fase successiva dell’iter dei permessi. Si tratta di 240 impianti fotovoltaici, 254 eolici onshore e 23 di eolico offshore.
In particolare, secondo quanto riportato nel rapporto, risultano con procedure aperte progetti per realizzare centrali eoliche da 25 GW e 34 GW per impianti fotovoltaici.
Ed a porre un forte freno sono il ministero della Cultura, ma anche le soprintendenze regionali. Senza contare i rallentamenti opposti dalla macchina burocratica regionale. Ed è qui che si concentrano le maggiori differenziazioni tra territori, con la Calabria a recitare la parte della lumaca. Secondo il rapporto stilato da R.E.gions2030, per performance amministrativa la regione è al quint’ultimo posto. Una valutazione scaturita da quattro elementi: l’avanzamento dei progetti nel processo autorizzativo, il numero di Autorizzazioni uniche rilasciate a fine 2021, la tempistica media di ottenimento dei titoli autorizzativi (solo eolico) ed infine per l’eolico, il numero di progetti con problemi di permitting o “bloccati” da varianti e proroghe non concesse.
E questi rallentamenti giocoforza incidono anche sulla decisione degli operatori di investire in un determinato territorio. Così emerge che la Calabria è giudicata al terz’ultimo posto per capacità di generare business per chi opera nel campo delle rinnovabili. Ed è l’unica regione del Sud a registrare un tasso basso di attrattività per la realizzazione di impianti. A differenza di regioni come la Puglia e la Sicilia che hanno totalizzato oltre il 70% delle richieste di nuove centrali.
Allo stato attuale in Calabria risultano operativi 27.907 impianti da fonti rinnovabili per una potenza complessiva pari a 2.729,1 MW. Una quota di energia che rappresenta il 4,82% dell’intera produzione energetica da Fer in Italia. Gran parte degli impianti è costituito da quelli solari 27.386 che garantiscono 551,9 MW. Seguono le centrali eoliche, in Calabria sono presenti 418 impianti per una produzione annua di 1.187,2 MW, poi le idroelettriche (55) per 788,1 MW ed infine sono presenti 48 impianti da bioenergie capaci di produrre 201,8 MW. Valutando il trend emerge il dato positivo.
In un anno il totale della potenza installata in Calabria è cresciuto del 3,4%. Ad aumentare soprattutto il solare con un tasso di crescita pari al 5,4% e una potenza installata pari al +3%. Mentre l’eolico – settore dove la Calabria per capacità produttiva recita un ruolo importante (10,9% della produzione italiana) – è cresciuto dello 0,7% per numero di impianti con una potenza incrementata di 2 punti percentuali.
In un decennio il numero di impianti in Calabria ha registrato un’impennata rilevante: pari al 72,65%. Ma ancora troppo bassa per garantire le esigenze di coprire il fabbisogno energetico. Visto che solo il 30% della produzione elettrica deriva da fonti rinnovabili. Da qui la necessità di implementare gli impianti. Dettata anche dalla linea adottata da Bruxelles che spinge per la realizzazione di nuove centrali da fonti rinnovabili, anche in vista degli obiettivi fissati per il 2030: al momento fermi al 40% ma, che la spinta della crisi ucraina potrebbe spostare al 45%. Ed è determinante in questa linea l’orientamento delle regioni attraverso il proprio piano energetico regionale (Per). La Calabria sotto questo profilo pur avendo un suo Piano resta non ancorata alle nuove esigenze, visto che è stato approvato ben 17 anni fa e il tentativo per aggiornarlo due anni addietro è rimasto lettera morta.
La Calabria poteva attrezzarsi prima per affrontare questa situazione. Garantendosi un posto in prima fila per la generazione di energie da fonti rinnovabili. È in sintesi questo il pensiero di Daniele Menniti, ordinario di Sistemi elettrici per l’Energia all’Università della Calabria nonché responsabile scientifico di progetti di ricerca PON e di Ricerca di sistema elettrico nazionale (RdS), che ricorda un progetto di cui l’Unical fu pioniera nel 1999: la nascita del “Consorzio regionale per l’energia e la tutela ambientale”. «Potevamo essere attori – dice – ma ci siamo limitati ad essere spettatori». Ma non demorde sulla strada delle rinnovabili: «Siamo ancora in tempo per recuperare». Il docente è fautore della Comunità di energia rinnovabile. Una strategia che punta a realizzare sul territorio impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.
La crisi energetica scatenata dal conflitto si riverbera anche nella nostra regione. Imprese e cittadini pagheranno a caro prezzo questa situazione. Si poteva fare qualcosa in Calabria per prevenirla?
«Si certo che si poteva fare qualcosa. Lo si poteva subito dopo la liberalizzazione del Mercato Elettrico dell’Energia avvenuta nel 1999 con il Decreto Bersani. Sin da quei tempi, con il mio gruppo di ricerca all’Università della Calabria e con un numero di sindaci di ampie vedute, lavorammo per far nascere un consorzio denominato “Consorzio regionale per l’energia e la tutela ambientale” in sigla Creta che aveva come obiettivo quello di mettere assieme le pubbliche amministrazioni locali con il supporto delle Università calabresi, per fare della Calabria la “locomotiva” delle rinnovabili italiane. Il consorzio, lanciò diversi progetti in tal senso tra i quali il più importante era quello denominato “non vendiamoci anche il vento”. La fama del consorzio andò oltre i confini regionali e nazionali come testimoniano alcune pubblicazioni presentate a Lisbona e Marsiglia, ma era anche il tempo in cui i grandi gruppi finanziari scesero nelle regioni del Sud ed in particolare in Calabria e realizzarono i primi parchi eolici mentre i Calabresi si limitavano ad opporsi alle fonti rinnovabili oppure ad essere semplici spettatori passivi. Potevamo essere attori ma ci siamo limitati ad essere spettatori. I comuni tramite il Creta, infatti, avrebbero potuto realizzare i loro parchi eolici nelle aree idonee allo scopo e, a conti fatti, con gli incentivi dell’epoca (i famosi “certificati verdi”), i piccoli comuni, anche quelli di poche centinaia di abitanti, potevano portare a casa circa 800mila euro annui, considerando anche i valori dell’energia ceduti in rete. Così non fu. Si sono perse grandi opportunità di sviluppo per i tanti piccoli borghi calabresi. Opportunità che avrebbero arrestato lo spopolamento persino invertendo la tendenza consentendo ai tanti giovani laureati e non, di poter rimanere a lavorare in Calabria. Era forse troppo presto? Non lo so, di certo è, che mentre molti cittadini e diverse amministrazioni locali si opponevano alle fonti rinnovabili, le lobby dei fossili ringraziavano e Putin, nel mentre, costruiva i suoi gasdotti. Tanto che, oggi, utilizziamo gas che proviene da circa 4.500 km di distanza, dalla Siberia Russa sino alle nostre case (circa il 40% del gas consumato in Italia)».
Dunque la strada delle rinnovabili è una possibilità concreta per sopperire alla riduzione dell’energia da fonti fossili per la regione. È una strada ancora percorribile?
«Assolutamente si, basta volerlo siamo ancora in tempo».
Dalla fase della progettazione alla messa in opera concreta degli impianti passano anni. Perché è così complesso realizzare strutture in Calabria?
«Il problema non riguarda purtroppo solo la Calabria, ma anche la Calabria. Il primo problema lo pongono gli ignari cittadini che sono preoccupati dagli effetti sul paesaggio dovuti alla presenza delle torri eoliche, e non si accorgono che la Calabria, per consumo di gas per la generazione di energia elettrica, è la quinta regione in Italia e solo terzultima per consumi di gas per attività industriali come viene evidenziato dal MiSE (tabelle riportate in seguito, ndr)».
Secondo uno studio di Regions 2030, soprattutto l’iter per costruire impianti eolici è quello che risente maggiormente di rallentamenti. Da cosa dipende questa peculiarità?
«Guardi deriva dalla mancata consapevolezza dell’importanza di tutelarel’ambiente e il clima anche a costo di qualche rinuncia sulla qualità del paesaggio. Siamo pronti, direi anche giustamente, a sacrificare in parte il paesaggio per le infrastrutture viarie come ad esempio il rifacimento della 106, “la strada della morte” o per avere l’alta velocità ma non accettiamo la presenza di un parco eolico e tolleriamo le ben quattro centrali a gas presenti in Calabria (Scandale, Simeri Crichi, Rizziconi e Altomonte) che sono poi quelle che producono gli oltre 10mila GWh di energia esportata dalla Calabria e il 34% circa del nostro fabbisogno interno di energia (oltre 2mila GWh)».
Cosa secondo lei come Regione è possibile fare per accelerare?
«La Regione deve accelerare le procedure di approvazione che la legge gli demanda e evitare bizzarre moratorie contro le rinnovabili, come accaduto in passato per inseguire i sondaggi elettorali. Inoltre rapidamente, deve seguire l’esempio della Lombardia e stanziare risorse importanti per la costruzione di impianti fotovoltaici nei Comuni calabresi dotati di sistemi di accumulo, così da favorire al più presto la costruzione di Comunità di energia rinnovabile da parte di privati cittadini supportati dagli enti pubblici».
Nel corso degli anni però la Calabria ha dimostrato di saper incrementare la produzione di energie alternative. Perché non è riuscita a sfruttare questa posizione?
«Questa è una leggenda metropolitana. La Calabria non è affatto virtuosa. Come si può facilmente comprendere dai dati del MiSE è tra le prime cinque regioni italiane per consumo di gas per generazione di energia elettrica con il termoelettrico tradizionale. In Calabria le fonti rinnovabili coprono appena il 64% del fabbisogno energetico interno mentre ben il 36% viene coperto dal gas. Per una regione come la nostra è davvero una grande contraddizione che dimostra quante opportunità abbiamo perso negli anni».
Quale potrebbe essere la soluzione in tempi ragionevoli per creare una sorta di autosufficienza energetica regionale?
«Basterebbe realizzare l’equivalente di circa 71.000 impianti fotovoltaici da 200kW ovvero circa 17 impianti da 200kW in ciascuno dei 404 comuni calabresi (compresi quindi i principali centri). Chiaramente se aggiungiamo anche eventuali parchi eolici onshore e offshore possiamo contribuire a soddisfare le richieste di altre regioni che, meno fortunate della nostra, non dispongono di risorse rinnovabili così ingenti».
Il piano energetico regionale è fermo da oltre tre lustri. L’aggiornamento che era stato annunciato nel 2020 si è arenato. Perché questi ritardi e cosa dovrebbe contemplare per adeguarlo ai nostri tempi?
«I ritardi sono figli della mancata consapevolezza dell’importanza dell’indipendenza energetica, delle opportunità che le fonti rinnovabili offrono al territorio. Ovviamente tutto ciò è vero se in Calabria, non costruiamo solo impianti ma se produciamo anche le relative tecnologie. Per adeguare il piano energetico regionale ai nostri tempi, vanno presto identificate le aree idonee allo sfruttamento delle fonti rinnovabili e pensare a soluzioni innovative che possano integrare diverse opzioni. Ma questo ultimo aspetto esige approfondimenti che richiederebbero ben altro spazio a disposizione per illustrarli». (r.desanto@corrierecal.it)
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