REGGIO CALABRIA Lo scambio ipotizzato è semplice. Primo step: il docente universitario promette di cercare una sistemazione in ateneo per la figlia di un professore del Liceo scientifico. Secondo passaggio: il prof dell’istituto superiore si impegna a dare una mano ai due figli dell’accademico, con il concorso di qualche collega compiacente. Do ut des, piccoli favori tra docenti. Per la Procura di Reggio Calabria l’ipotesi di reato è corruzione in concorso nel quadro dell’inchiesta che ha provocato un terremoto all’università “Mediterranea”. Nei guai sono finiti in tre: il cattedratico, il docente dell’istituto superiore e sua figlia.
Questa storia inizia il 29 novembre 2018, quando il docente del liceo si presenta all’accademico come «il professore di matematica e fisica» di uno dei suoi figli. Le cimici piazzate dagli investigatori registrano la conversazione. Nella quale il primo segnala «di avere una figlia laureatasi nell’ateneo reggino in Giurisprudenza che non ha superato l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione forense». E chiede al cattedratico «se vi siano delle opportunità di sistemazione per lei, come un dottorato di ricerca, dei concorsi, oppure una collaborazione con qualche cattedra di insegnamento, evidenziando come la ragazza stia studiando per il concorso in magistratura e abbia bisogno di avere una qualche forma di guadagno per essere un po’ più autonoma rispetto al sostentamento dei genitori. Ciò che si coglie immediatamente dal dialogo – scrive il pm – è la disponibilità del rettore, che dice al professore di mandargli sua figlia e di farlo contattare il lunedì successivo».
Nel dialogo, il professore del liceo introduce un argomento chiave: le prestazioni scolastiche dei figli dell’amico. Uno dei due «necessita di qualche sostegno». Cose normali, difficoltà che capitano in tutti o quasi i percorsi di formazione. Il prof del liceo, però, si offre di dare una mano: «Io sarei disponibilissimo ad aiutarlo (…) se devo fare qualche supporto esterno lo posso pure fare, mi dica lei la soluzione che vuole applicare». Nel ribadire che «me lo posso curare io suo figlio se lei me lo permette», il docente introduce «un altro discorso: mia figlia si è laureata in giurisprudenza, 3 anni fa, con 110 e lode, quale è stato il problema? Ha avuto una cocente esperienza con l’abilitazione dell’avvocato l’anno scorso». L’accademico mostra subito un «particolare attivismo», per il gip: è lui «a contattare la ragazza». Sempre per il giudice delle indagini preliminari, «la spinta che è alla base di tale comportamento deve ravvisarsi nell’aiuto manifestato dal professore». Iniziano così una serie di incontri tra il docente della “Mediterranea” e l’aspirante dottoranda. Il primo si «adopera concretamente»: parla del caso a un direttore di dipartimento. La sua richiesta al collega «riguarda qualsiasi “opportunità”». Questa occasione, però, non arriva, al punto che la ragazza si lamenta dei contatti che le sono stati procurati. In particolare il direttore del dipartimento, pur affrontando «l’argomento in modo più esplicito rispetto a lei», al momento di «individuare il docente al quale “avvicinarsi”», prenderebbe una strada più tortuosa «facendo in tal modo allontanare sempre più il raggiungimento del risultato sperato».
Il docente universitario si mostra risoluto con uno dei colleghi ai quali ha chiesto di aiutare la ragazza: «Quando fanno il bando gli facciamo fare la domanda». E riceve rassicurazioni dal prof del liceo sui figli. Per uno dei due non ci sono problemi, per l’altro «si era fatto tutto il possibile, limitando il danno a “due”, riferimento al numero di debiti formativi riportati».
«Emerge – segnala il gip – quindi in modo molto nitido che l’utilità promessa al rettore è stata effettivamente realizzata (…) avendo l’insegnante seguito il percorso scolastico dei suoi due figli e avendo chiesto e ottenuto l’aiuto degli altri docenti per scongiurare il rischio della bocciatura». Per quanto riguarda l’opportunità di dottorato “promessa”, «gli accertamenti della Polizia giudiziaria non hanno fornito, allo stato, riscontro positivo circa l’avvenuta contrattualizzazione». Per l’accusa, tuttavia, «i fatti sono assolutamente chiari» e «si ravvisa un’evidente dinamica corruttiva». In sostanza, l’accademico avrebbe «messo in atto (…) la macchina del favoritismo clientelare» in una vicenda in cui «emerge con quanta naturalezza i due pubblici ufficiali abbiano cercato di asservire il loro ruolo a esigenze personali». (redazione@corrierecal.it)
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