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Emergenza Ucraina, Calabria in prima fila nell’accoglienza

Gran parte dei profughi accolti nelle case. È seconda in Italia per posti messi a disposizione. Caruso: «Presenza ucraina determinante»

Pubblicato il: 29/04/2022 – 7:00
di Roberto De Santo
Emergenza Ucraina, Calabria in prima fila nell’accoglienza

CATANZARO C’è una risposta importante della Calabria all’emergenza scatenata dalla guerra in Ucraina. Non legata solo alla raccolta fondi o a generi di prima necessità, ma alla rete che si è attivata per accogliere i profughi provenienti dai territori martoriati dai bombardamenti delle truppe di Putin.
Un sistema di accoglienza generata direttamente dai calabresi che hanno messo a disposizione le proprie abitazioni ricevendo fin dai primi giorni di guerra i profughi ucraini. I numeri, forniti dall’unità di crisi istituita presso il dipartimento della Protezione civile regionale, indicano che solo una minima parte di chi sta fuggendo dall’orrore del conflitto è stato accolto in Calabria nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) circa il 3%. Tutti gli altri, appunto sono stati accolti all’interno di famiglie di calabresi o in alloggi privati.
Dall’ultima rilevazione della Protezione civile, emerge che sono circa 4.000 i profughi ucraini che sono arrivati dall’inizio del conflitto e che si sono regolarmente registrati, come da normativa, attraverso le questure del territorio. Di questi circa 3.800 hanno trovato sistemazione in alloggi privati o nelle case di calabresi. Un rilevante risultato che dimostra la sensibilità finora espressa dalla Calabria davanti al dramma della popolazione in fuga dalla guerra. Un meccanismo di accoglienza sostenuto in Italia dal governo. Nel decreto varato per affrontare l’emergenza Ucraina, l’esecutivo Draghi ha stanziato quasi 500 milioni di euro per finanziare chi ospita i profughi: 300 euro al mese per gli adulti, 150 per ogni minore per un periodo di 90 giorni. Anche se quegli aiuti per il momento sono rimasti sulla carta. Nonostante questo, la macchina dell’accoglienza costituita soprattutto dalla risposta autonoma dei calabresi non si è arrestata.  

Calabria seconda in Italia per numero di posti offerti ai profughi

Fonte: Dipartimento della Protezione civile

Ed ancor più significativa è la risposta che è arrivata dalla regione per far fronte all’esodo di cittadini ucraini – conseguenza diretta della guerra – valutando il numero di posti letto offerti dalle strutture del Terzo settore e dal Privato sociale presenti in regione.
Al termine della raccolta delle manifestazioni di interesse attivata dal Dipartimento della Protezione civile per dare un alloggio alla popolazione in fuga dall’Ucraina, la Calabria è tra quelle che ha messo a disposizione il maggior numero di posti.
Sul portale della Protezione civile che raccoglie queste istanze, su 26.412 posti messi a disposizione in Italia, 4.043 provengono dalla Calabria pari al 15% del totale. Un dato che pone la regione al secondo posto in assoluto nel Paese preceduto solo dalla Campania (4.311 posti).
Gran parte dei posti messi a disposizione dalla rete del Terzo settore o dal Privato sociale sono costituiti da appartamenti privati (2.748), seguono poi altre tipologie ricettive (1.041) e anche famiglie calabresi: 254. A significare quanta attenzione la Calabria sta dimostrando per un’emergenza che per il momento tocca solo marginalmente la regione, ma che, secondo diversi analisti, potrebbe divenire una delle maggiori crisi umanitarie dell’intero Continente europeo.

Fonte: Dipartimento della Protezione civile

La comunità ucraina presente in Calabria

Una sensibilità legata anche alla presenza massiccia in Calabria della comunità ucraina. Dalle rilevazioni dell’Istat, infatti risultano censiti in regione 5.720 cittadini di nazionalità ucraina pari al 6,2% del totale degli stranieri presenti in Calabria. Una percentuale, questa, di gran lunga superiore alla media nazionale che si ferma al 4,6%. Dati che permettono di far comprendere meglio le motivazioni di questa importante risposta dimostrata dalla Calabria davanti all’esodo della popolazione in fuga dal conflitto ucraino.

Caruso: «Determinante la forte presenza ucraina»

Un meccanismo di accoglienza spontanea sostenuto dai provvedimenti governativi ma soprattutto dalla presenza massiccia della comunità ucraina sul territorio. Così Francesco Caruso, docente di Sociologia economica e che per quattro anni ha insegnato Sociologia delle Migrazioni all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, motiva la risposta che si è registrata anche in Calabria alla necessità di far fronte all’arrivo dei profughi ucraini. Numeri ancora ridotti, per il professore, che sono stati accolti in gran parte nelle abitazioni private grazie alla rete generata dalla reputazione dei cittadini ucraini che vivono in Calabria. Soprattutto donne. Sono state loro, per Caruso, a permettere i ricongiungimenti. Quei figli di colf e badanti definiti “orfani bianchi” assieme ai loro familiari hanno trovato così più facilmente collocazione. Una situazione diametralmente opposta da quella che caratterizza gli altri fenomeni migratori che hanno coinvolto la Calabria. I flussi generati da chi fugge dalle guerre in Africa o in altri luoghi del mondo ed è giunto nella regione, non hanno avuto la stessa «attenzione». Tanto da differenziare i profughi di serie A, e di serie B che ricevono l’attenzione solo da «imprenditori senza scrupoli pronti a sfruttare le loro braccia per pochi euro al giorno». Mentre per la Calabria, secondo il professore, «le migrazioni andrebbero viste come una ancora di salvezza» per contrastare la progressiva «desertificazione sociale» che caratterizza la regione.

Francesco Caruso, insegna Sociologia economica e per quattro anni è stato docente di Sociologia delle Migrazione all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro

Professore la guerra in Ucraina si sta trasformando in una crisi umanitaria senza precedenti in Europa. Gli arrivi in Italia hanno superato quota 100mila. Ed anche in Calabria si sono registrati oltre quattromila profughi. La nostra regione è pronta ad un arrivo di massa?
«Con i numeri attuali in Italia non mi sembra che si possa ancora parlare di una crisi umanitaria senza precedenti, si tratta di meno dello 0,2% in rapporto alla popolazione italiana e cioè 2 profughi per ogni 1.000 abitanti. Certo l’eventuale recrudescenza del conflitto potrebbe portare ad un aumento significativo dei flussi migratori, tuttavia la situazione veramente problematica si registra soprattutto nei Paesi confinanti – come accade sempre in occasione di conflitti armati – dove non esiste storicamente una infrastrutturazione volta all’accoglienza di profughi, come ad esempio nel caso della Polonia. Qui si sono rifugiati oltre due milioni e mezzo di ucraini».

Al momento gran parte delle persone giunte in Calabria dall’Ucraina sono state ospitate in abitazioni private. Come spiega questa soluzione?
«Si tratta di un fenomeno piuttosto frequente e accade quasi sempre anche a livello internazionale: l’articolazione e la strutturazione di un piano strategico di intervento e di accoglienza istituzionale non è qualcosa di immediato, anche perché entrano in gioco una molteplicità di attori istituzionali e non istituzionali. Lo slancio umanitario che nasce in modo spontaneo e dal basso sopperisce –soprattutto nella prima fase – in termini di celerità alla più complessa articolazione amministrativa e burocratica dell’accoglienza istituzionale».

L’area di San Ferdinando dove è presente la “baraccopoli” di migranti provenienti soprattutto dall’Africa

Esiste a suo parere una differenza nella macchina organizzativa messa in piedi in Calabria per ospitare i profughi ucraini, da quelli arrivati in regione da altri conflitti?
«Fortunatamente, nel caso dei richiedenti asilo provenienti dall’Ucraina, si è scelto da parte del governo nazionale, una maggiore fluidità tanto nelle procedure di riconoscimento della protezione internazionale quanto nelle modalità di “autogestione” del sistema di accoglienza, fornendo un supporto economico non solo ai professionisti della solidarietà e ai grandi attori del Terzo Settore, che spesso si muovono anche per interesse nell’accoglienza, ma anche alle semplici famiglie. Una responsabilizzazione dal basso che serve appunto a sostenere lo slancio spontaneo che in queste settimane si è sviluppato nel nostro Paese e soprattutto nel nostro Mezzogiorno, dove infatti sono ospitati ad oggi la maggior parte dei profughi ucraini. Un’altra caratteristica è la presenza in Italia di un radicamento storico della comunità ucraina, con oltre 250mila presenze, delle quali cinquemila nella sola Calabria, con una forte incidenza della presenza femminile che tocca la percentuale record dell’80%. Questa componente rappresenta uno snodo fondamentale che ha messo a disposizione, in queste settimane, il proprio capitale reputazionale e le proprie relazioni sociali radicate nel corso del tempo per favorire e fluidificare l’accoglienza di amici e parenti provenienti dalle città ucraine. Si è parlato per anni del fenomeno degli “orfani bianchi”, i figli cioè delle tante colf e badanti che hanno dovuto lasciare i propri figli in patria per trovare lavoro qui in Italia. Oggi proprio quei figli e quelle figlie, ma anche i nipoti e gli altri parenti che hanno trovato in queste donne un punto d’approdo, un porto sicuro dove trovare rifugio nella loro fuga dalla guerra».

La struttura di accoglienza ““Scatolone” di Reggio chiusa nel 2017

Perché sono presenti differenze tra questi flussi migratori?
«I conflitti armati nel mondo sono purtroppo oltre un centinaio, ma la stragrande maggioranza di questi avvengono in regioni dell’Africa e dell’Asia, lontano non solo geograficamente ma anche e soprattutto dai riflettori e dall’attenzione mass-mediatica dei Paesi occidentali. Questa rimozione si riflette inevitabilmente sulle popolazioni in fuga da queste guerre che a volte non vengono inquadrati come vittime di migrazioni forzate ma piuttosto come singoli e famiglie in cerca solo di migliori opportunità di vita. Da questo punto di vista non si possono non condividere le preoccupazioni del professor Ambrosini, uno dei più autorevoli studiosi in Italia dei fenomeni migratori, circa la strutturazione di una sorta di stratificazione etnica tra profughi di serie A, per i quali generosamente si mobilita l’intera società civile, e profughi di serie B, abbandonati nelle baraccopoli e tendopoli come a San Ferdinando, e dimenticati da tutti tranne che da imprenditori senza scrupoli pronti a sfruttare le loro braccia per pochi euro al giorno».

Dopo l’accoglienza dei profughi, occorrerà gestire la vera e propria integrazione in Calabria. A che punto siamo con questo passaggio?
«La verità è che probabilmente la sfida dell’integrazione si è già persa nel corso dell’ultimo decennio: non si è mai costruito nulla oltre l’emergenza e oggi sono gli stessi migranti e non solo i calabresi che fuggono, non trovando opportunità e occasioni per dare un contributo – quanto mai necessario – per lo sviluppo dei nostri territori. Fino al 2017 vi erano oltre 100.000 immigrati in Calabria, nel corso di cinque anni sono andati via oltre il 15% di questi: dei 35.000 rumeni ne sono rimasti poco più di ventimila. Ma anche gli ucraini hanno subito la stessa contrazione, passando da 6.500 a poco più di 5.000 unità. La Calabria torna ad essere una sorta di tappa intermedia di passaggio tra l’Africa e l’Europa, nella quale i migranti tendono a scappare per cercare migliori opportunità di vita nelle regioni e nelle nazioni del nord. Anche i profughi ucraini probabilmente seguiranno la medesima traiettoria».

I vari conflitti in corso e le emergenze umanitarie che si susseguono pongono una questione sulla correttezza del sistema di gestione dei flussi migratori. Soprattutto in regioni come la Calabria in cui sembrano mancare servizi adeguati anche per i residenti. Quali correttivi occorre introdurre per potenziare la macchina dell’accoglienza regionale?
«La Calabria è marginalmente toccata dalle dinamiche migratorie internazionali e anzi, se guardiamo alle statistiche degli ultimi dieci anni, purtroppo la Calabria continua a configurarsi come terra di emigrazione piuttosto che di immigrazione. Da alcuni anni il numero della popolazione calabrese è scesa stabilmente sotto i due milioni, l’indice di vecchiaia – il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni – è quasi raddoppiato dal 2000 ad oggi: se allora vi era un giovane per ogni anziano, ora per ogni giovane ci sono due persone anziane, con un trend che continua ad aumentare ed un evidente insostenibilità socio-economica e sistemica. In questo scenario di declino demografico, le migrazioni andrebbero viste come una ancora di salvezza soprattutto per alcune aree dove lo spopolamento ormai sembra inesorabilmente scivolare verso una vera e propria desertificazione sociale».  (r.desanto@corrierecal.it)

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