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La sentenza che assolve il notaio Guglielmo: «Non vi sono elementi sulla sua piena consapevolezza»

Ecco perché l’ipotesi del coinvolgimento nelle intestazioni fittizie non ha passato l’esame del gup nel processo con rito abbreviato

Pubblicato il: 30/04/2022 – 17:11
di Alessia Truzzolillo
La sentenza che assolve il notaio Guglielmo: «Non vi sono elementi sulla sua piena consapevolezza»

CATANZARO Era accusato di varie ipotesi di falso ideologico il notaio di Catanzaro Rocco Guglielmo, 59 anni, che lo scorso 28 ottobre è stato assolto da ogni accusa, in primo grado, contestata nell’ambito del processo “Basso Profilo”, incentrata sugli illeciti rapporti tra le cosche crotonesi con imprenditori di spessore ed esponenti della pubblica amministrazione collusi con le organizzazioni criminali. Secondo le ricostruzioni investigative l’imprenditore Antonio Gallo, considerato il deus ex machina di tutta la vicenda, operava false fatturazioni per società fittizie. Le attività illecite sono le fatture per operazioni inesistenti e autoriciclaggio. Secondo l’accusa Antonio Gallo e i propri soci avrebbero intestato ditte-schermo ad albanesi che non parlavano l’italiano. Un illecito compiuto, secondo l’accusa, proprio grazie alla connivenza del notaio Rocco Guglielmo di Catanzaro. Gli investigatori della Dia hanno registrato decine di intestazioni fittizie tra maggio e giugno 2018. «La procedura da seguire – scrive il gip – era la seguente: una volta giunti gli albanesi in Calabria, dovevano munirsi dei documenti necessari per le stipule degli atti, e, in seguito, recarsi dinanzi al notaio (compiacente) per la stipula di ciascun atto».

Non vi sono elementi certi sulla consapevolezza del notaio

Secondo il gup Simona Manna «non risulta provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la commissione dei delitti di falso, in quanto non può dirsi con certezza che gli atti pubblici siano ideologicamente falsi, nella parte in cui viene attestata la volontà dei cittadini albanesi di compiere i negozi giuridici, una volta compreso il significato degli stessi».Se da una parte, dice il giudice, i delitti di di intestazione fittizia «devono ritenersi pienamente provati», tuttavia «il confezionamento di atti pubblici falsi (falso che come si è detto non si configura) non assorbe completamente quello che, secondo la contestazione, è il contributo fornito dal notaio…». Il giudice sottolinea come «le operazioni che il notaio si apprestava a svolgere, secondo l’imputazione e secondo quanto riscontrato dalle indagini, hanno avuto ad oggetto l’attribuzione fittizia della titolarità delle quote di alcune società a soggetti prestanome al fine di agevolare operazioni di riciclaggio e reimpiego dei proventi generati da reati tributari commessi dalla società e di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, e non consistevano direttamente in attività di riciclaggio o reimpiego di beni di provenienza illecita». In estrema sintesi nel caso del notaio Guglielmo, «le operazioni commesse avrebbero potuto destare, in capo al professionista diligente e perito, molti sospetti, sulla scorta di numerosi fattori ricostruiti nella vicenda, ma non vi sono elementi che depongano, in termini di certezza, nel senso della piena consapevolezza del notaio non tanto della fittizietà delle intestazioni, quanto del fatto che le attribuzioni erano motivate dalla finalità specifica di perseguimento di uno degli scopi tipici» del trasferimento fraudolento di valori. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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