CATANZARO Non era imputato nel processo che si è concluso con il rito abbreviato, ma viene ritenuto “un jolly, in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso non in senso occasionale e/o intermittente, bensì in senso organico e continuo”. Antonio Gallo, il principino, è una delle figure chiave dell’inchiesta “Basso profilo”. Il procedimento, d’altra parte, prende il nome da una delle intercettazioni che lo vedono protagonista, quando spiega di essersi “salvato” da altri procedimenti proprio per la decisione di mantenere un «profilo basso» e allontanarsi dalle relazioni più imbarazzanti intrattenute nel corso degli anni. Le motivazioni della sentenza mettono in fila alcuni nomi: Nicolino Grande Aracri, Giovanni Trapasso, Alfonso Mannolo e Antonio Santo Bagnato. «Ciascuno di loro» avrebbe rapporti con l’imprenditore dell’antinfortunistica. E si tratta di boss di elevata caratura ‘ndranghetistica, che coprono una vasta area di riferimento: Cirò Marina, Cutro, San Leonardo di Cutro, Isola Capo Rizzuto, Roccabernarda, Mesoraca, Botricello, Sellia, Cropani, Catanzaro e Roccelletta di Borgia.
Tommaso Rosa, imputato che ha deciso di pentirsi durante il processo, si spinge oltre: dice che Gallo gli avrebbe «rivelato, in confidenza, di avere ottimi rapporti con vari esponenti della ‘ndrangheta, da Reggio Calabria fino a Cosenza», «con la famiglia dei Trapasso, dai quali si era distaccato prima del loro arresto, e con Mario Donato Ferrazzo, detto Topolino», uno dei capiclan di Mesoraca. Rosa, considerato dai giudici attendibile seppure non «centrale» nel processo, spiega inoltre che Gallo gli avrebbe riferito di non dover pagare “mazzette” «per ottenere lavori potendo contare a tal fine sull’intervento delle cosche per alterare le gare di appalto nel settore pubblico e per ottenere affidamenti diretti nel settore privato».
Il collaboratore di giustizia ha inoltre spiegato che il “principino” «era molto abile a mantenere buoni rapporti con i maggiorenti delle cosche, tramite elargizioni che mandava durante le ricorrenze festive». Regali più o meno costosi la cui natura viene ricostruita nelle argomentazioni del gup Simona Manna.
«I 5mila li devo mandare a Isola per Natale, per la centrale, ha capito non mi servono ora». E’ soltanto una delle frasi che, secondo il giudice, testimonierebbe gli impegni contratti da Gallo durante le festività. In un’altra intercettazione emergerebbero gli “aiuti” diretti al clan Trapasso dopo le carcerazioni («il biondo mi ha detto “per Natale mandaci un cestino” mi ha detto… “mettici 500 euro dentro la busta e mandagliela”»). Nel Natale 2017, oltre a un “regalo” per Bagnato, boss di Roccabernarda, viene segnalato l’acquisto di 120 panettoni. E una bottiglia di champagne sarebbe stata diretta a Ferrazzo. Un regalo che Gallo non avrebbe potuto portare di persona per non dare «adito a ipotesi investigative nei suoi confronti». Il piatto forte è, però, l’acquisto di 18 orologi Rolex «in una gioielleria di Catanzaro (per come riscontrato dalla documentazione fiscale). Tale acquisto veniva effettuato dal Gallo in compagnia di Andrea Leone e “amici di San Giovanni in Fiore” (così ripartiti: 6 per il Gallo — di cui 4 da regalare; 3 per il Leone; 3 per soggetti di Verona; 6 per Pasquale Spadafora). Per i pagamenti venivano infatti utilizzati i conti correnti delle società cartiere» costituite dal gruppo per alimentare il sistema delle false fatturazioni.
È dalla viva voce di Gallo che il gup ricava osservazioni sulla sua presunta “intraneità” alle cosche. Il “principino” si vanta «della sua capacità di appianare contrasti, di evidente matrice mafiosa in considerazione anche dei soggetti coinvolti, grazie ai suoi “contatti” (“se non c’ero io di mezzo lo – il padre della Giglio (ex presidente di Confindustria Giovani a Crotone) – aveva ammazzato”)». Proprio parlando con Glenda Giglio, l’imprenditore «si vantava di come fosse riuscito a dare il suo contributo alle attività della consorteria (a esempio gestendo qualche azienda per conto della cosca Trapasso) riuscendo al contempo a restare illeso da azioni giudiziarie mantenendo appunto un Profilo Basso e limitando, anzi annullando, la vita mondana per non attirare l’attenzione a differenza di altri». E in un’altra intercettazione riconoscerebbe «di aver corso pesanti rischi in occasioni precedenti: “io l’unica parte che mi potevano incastrare e non mi hanno incastrato in vita mia è stato con Nicolino… con mani di Go, (- mani di gomma -, alias di Nicola Grande Aracri) con lui avevo un rapporto stretto, ma, ma non facevo niente, non è che io facevo lo ‘ndranghetista, rompevo i coglioni alla gente“». Conversazione di “forte valenza probatoria” per il giudice: «Emerge come il Gallo sia al contempo consapevole di essere uno ‘ndranghetista e negazionista di tale sua appartenenza, quasi illudendosi che gli accorgimenti da lui adoperati siano in grado di escludere, da parte delle Forze dell’Ordine e dell’Autorità Giudiziaria, tale sua appartenenza. Nello stesso senso egli affermava: “… io… avevo rapporti con queste persone… e però ho fatto solo cortesie… non ho mai… usufruito delle loro cortesie… al contrario… mi hanno solo usato… quando ho capito che mi mettevano nei casini mi sono allontanato dal mondo… chiuso il discorso… non è che io ti rinnego… ti dico… io non ho avuto nessuna cortesia… né… a causa loro ho il sequestro addosso… quindi è differente… quindi non faccio il puritano punto numero uno… no le ho sempre ammesse le cose qua… ine… amore mio… sono con te…”».
Ci sono confidenze nelle quali Gallo racconta di aver trasportato un uomo di un gruppo storicamente in contrasto con il clan Arena per «sottrarlo a eventuali agguati orditi nei suoi confronti». E incontri che somigliano a veri e proprio “summit” nei quali amici come Carmine Falcone (imputato nel processo) narrano «di quando avevano “salvato” Gallo da una “situazione delicata, rammentandogli di mantenersi fedele a certe cosche ‘ndranghetiste pena l’abbandono in caso di difficoltà o di arresto: “io già la volta scorsa gli dissi… Antonio… già mi hai rotto i coglioni… gli ho detto… non ti permettere… non ti permettere… perché io ti ho salvato… ti ho salvato da cose delicate a te… l’ho salvato da cose delicate… tu ti metti con i… che poi… poi mangi da solo?…”, con ciò chiaramente significando che il Gallo era intraneo a una compagine mafiosa e non doveva allontanarsene per avvicinarsi ad altre».
Stretti sono considerati i rapporti con Mario Donato Ferrazzo. Nel corso di un banchetto di compleanno, un gruppo di commensali tra i quali figurano sia il boss di Mesoraca che Gallo discute di operazioni economiche e operazioni antimafia. «Anche in questa occasione, peraltro, viene mostrata deferenza nei confronti del Ferrazzo, non solo riservandogli la prima porzione del piatto a base di pesce, ma anche la “sciabolata”. Tali ultime circostanze indicate non vanno intese di poco conto, laddove si consideri il tipo di rapporti e di gerarchie che si instaurano nei contesti mafiosi. Non deve ignorarsi, infatti, come vi sia una sorta di codice comportamentale per cui tali “attenzioni” manifestano un segno di rispetto nei confronti di colui che, gerarchicamente, è posto al di sopra degli altri». E non è un caso, forse, che proprio a Ferrazzo venisse riservato un regalo natalizio importante come una bottiglia di champagne. Un’altra sciabolata per il “capo”. Noblesse oblige. (p.petrasso@corrierecal.it)
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