ROMA Con 32 perquisizioni in tutta Italia, un arresto e 30 denunce per detenzione, cessione e divulgazione di materiale pedopornografico si è conclusa l’operazione “Luna” condotta della Polizia Postale di Trieste e Udine.
Dei 32 decreti di perquisizione effettuati in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, 25 sono stati eseguiti a carico di maggiorenni e 7 nei confronti di minori. L’operazione è scaturita dalla complessa analisi del materiale informatico sequestrato a un cittadino residente nella provincia di Udine, tratto in arresto lo scorso anno nel corso di un’altra attività di indagine e successivamente condannato per detenzione, divulgazione e produzione di materiale pedopornografico.
Gli specialisti della Polizia Postale, tramite sofisticati software di analisi forense, sono riusciti a ricostruire la vasta rete di contatti che scambiavano con l’arrestato numerosi link contenenti immagini e video riproducenti atti di sfruttamento sessuale in danno di minori, talvolta in cambio di immagini di ragazzine minorenni che il soggetto aveva nel tempo adescato, concentrandosi sulle vittime più fragili.
Attraverso il coordinamento del Centro Nazionale di Contrasto della Pedopornografia Online è stato possibile attivare il network di cooperazione internazionale per reperire il massimo numero di elementi informatici utili alla compiuta individuazione degli utenti coinvolti. Le attività di ricerca della prova hanno fatto emergere nel complesso la detenzione di migliaia di file di natura pedopornografica, raffiguranti minori anche al di sotto dei 5 anni, coinvolti in atti sessuali violenti. Il trend nel contrasto alla pedopornografia online segna un costante aumento dei casi e purtroppo recentemente vede coinvolti nella detenzione e divulgazione di file illeciti anche minori degli anni diciotto. Nel caso di specie durante le perquisizioni effettuate nei confronti di alcuni soggetti minorenni è stata rilevata la presenza di software per l’anonimizzazione in rete, oltre alla creazione di chat in cui i ragazzi si proponevano quali intermediari a pagamento per la distribuzione di materiale pedopornografico all’interno di spazi cloud protetti. In altri casi i minorenni indagati, pur non essendo interessati alla diretta fruizione del materiale illecito, si erano resi protagonisti della divulgazione di materiale pedopornografico in favore di interlocutori a loro sconosciuti, dietro la rassicurazione di essere ripagati con premi e regalie, dimostrando scarsa consapevolezza dei rischi a cui esponevano se stessi e i propri dati personali in rete.
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