Il continuo allineamento della legge urbanistica regionale a specifiche aspettative, meriterebbe una attenta valutazione degli aspetti che vanno ben al di là della semplice disamministrazione. Il tema non è solo in termini di legittimità dei continui provvedimenti di modifica ma di impedimenti alla diffusione della buona cultura e pratica di gestione del territorio calabrese. È una legge che ha bisogno di continuo ossigeno per sopravvivere. Appare questa la condizione esistenziale della legge urbanistica della Regione Calabria.
Le continue proroghe, modifiche e varianti della l. r. 19/2002, evidenziano che pur avendo venti anni dalla sua promulgazione non è evidentemente riuscita a diventare maggiorenne, matura, per essere credibile. Ha avuto bisogno di continue infiltrazioni di consolidamento, sia da parte del centrosinistra che del centrodestra, separatamente o in perfetta sintonia nella camera di compensazione che è stata la commissione regionale competente. Era una legge che “doveva” stare in piedi perché prometteva – al di là dei fragili paletti del “quadro ambientale” – le più diverse e creative soluzioni per arditi bisogni territoriali ed elettorali. Con le giustificazioni più ampie possibili tanto da confondere i già distratti lettori facendone apparire l’utilità e l’interesse pubblico, infilando a volte nelle motivazioni delle finalità delle varianti anche chiese e parrocchie, specchietto consueto per le allodole calabresi. Una vera bugia, perché il patrimonio ecclesiastico, ormai da più generazioni, non aveva e non ha bisogno di nuove architetture ma di recuperare l’esistente e semmai qualche fedele in più per riempire quei banchi sempre più vuoti.
Come si sta svuotando la stessa Calabria, i cui abitanti si stanno progressivamente “fidelizzando” a residenze extraregionali non coltivando più l’idea del ritorno come un tempo.
In concreto, la sostanza del problema è evidente, senza il bisogno di tirare in ballo noiosissimi numeri e percentuali, noti a tutti, con una conclusione conseguente: è una legge che non interpreta più i bisogni dell’attuale condizione regionale né ammette la possibilità del richiamo al consueto e consumato alibi occupazionale.
In questo momento ci sono – al di là delle note questioni (crisi economica, patrimonio edilizio con valori commerciali azzerati) – due elementi incontrovertibili che caratterizzano la realtà.
Innanzitutto lo spopolamento: i paesi, a partire dagli anni Sessanta, hanno perso abitanti compensati dalle nascite. Ma erano abitanti che fino agli anni Ottanta ritornavano, costruendo nuove case, grazie all’antico legame con la madre terra di cui si sentivano figli. Negli ultimi trenta anni – tranne qualche eccezione – non è più così, perché ci sono due elementi di novità: le ultime generazioni hanno completamente reciso i legami economici e sentimentali con la terra e anche le città più grandi sono in crisi. Si registra un’anoressia demografica senza ritorno e senza ritorni. I giovani migliori, che partono, non ritornano e nessuno costruisce nuove case con i soldi dell’emigrazione. In Calabria si fermano gli altri giovani, cioè “quelli che rimangono”, in parte perché costretti da un sistema che li respinge, ma molti altri vittime dell’incolpevolezza atavica per votare la classe politica che ci meritiamo perpetuando un sistema corroso dal tempo. Frutto del pensiero unico, che è in un (poco) rassicurante “non si sa mai” prefigurante un ulteriore pericoloso avvitamento culturale verso il basso.
Quale risposta politica rispetto a questo quadro?
La legge urbanistica regionale (la n. 19/2002) nasce in un contesto preparatorio delle crisi economiche che hanno messo in ginocchio il patrimonio edilizio di tutti i piccoli paesi e delle più grandi città, come Catanzaro, che fino a pochi anni fa plaudiva alla costruzione dell’armamentario urbanistico della Cittadella e di Germaneto. E che ora si trova in gravi difficoltà, come si legge anche tra le righe dei documenti del Piano strutturale comunale (ovviamente ancora lontano da definire).
L’altro aspetto riguarda la condizione occupazionale attuale del settore edilizio, completamente assorbito dal Superbonus e dalle infinite possibilità offerte dal Piano casa, i cui ritardi attuativi sono imputabili non tanto ai soliti refrain della burocrazia lenta ma – si stenta a credere – alla mancanza di imprese e manodopera. In questo quadro – paradossalmente per il centrodestra – sarebbe auspicabile una nuova massiccia ondata migratoria extracomunitaria, visto che le poche braccia europee sono “occupate” con il reddito di cittadinanza.
In sintesi, i due elementi di criticità che riguardano attualmente il settore edilizio (spopolamento e mancanza di manodopera) imporrebbero di abbandonare il “balletto del mattone” impostato intorno alle disquisizioni sull’ordinarietà o perentorietà delle norme.
Questo cosa vuole significare? Che la legge urbanistica va completamente rifondata sulla base della semplice distinzione territoriale tra aree urbanizzate e aree rurali. Del resto non si tratterebbe di una rivoluzione o di un’innovazione sconosciuta. Basterebbe mutuare concetti e soluzioni già da tempo praticati dalla legge urbanistica della regione Toscana.
Ma la soluzione potrebbe essere altrove e riguarda le competenze dello Stato, soprattutto se si pensa alle questioni nodali attuali universalmente condivise (inquinamento delle acque e consumo zero di suolo) e che riguardano la pianificazione urbanistica e il territorio nazionale nella sua interezza.
Senza toccare l’architettura costituzionale – il famigerato Titolo V, che dovrebbe essere modificato per eliminare le regioni facendo invece rivivere le province –, sarebbe comunque possibile porre riparo al disastro delle regioni (escluse Toscana e Puglia) in materia di pianificazione urbanistica. Basterebbe che lo Stato, in linea con il dettato del c. 3, dell’art. 17 della Costituzione, concernente la legislazione concorrente (alle regioni la potestà legislativa e allo Stato quella relativa ai principi fondamentali), adottasse la propria determinazione legislativa sul “principio fondamentale” – proprio della transizione ecologica – attinente al consumo del suolo, tema connesso intimamente alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui al c. 2, lett. s), dell’art. 117.
*architetto
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