REGGIO CALABRIA La Corte d’appello di Reggio Calabria ha ordinato la restituzione dei beni immobili che, il 21 marzo 2018, erano stati confiscati dal Tribunale agli eredi di Antonio Finti sul ritenuto presupposto che costui avesse fatto parte della cosca di ‘ndrangheta facente capo ai Labate. Lo rende noto l’avvocato Pier Paolo Emanuele.
«Un convincimento, questo – afferma il legale in una nota – fondato unicamente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Enrico De Rosa. A dire il vero, già in primo grado, il Tribunale aveva parzialmente rigettato la proposta di confisca che era stata in origine avanzata dalla Procura con riferimento all’intero patrimonio immobiliare di Finti, provvedendo a ‘perimetrare’ cronologicamente la ritenuta pericolosità sociale qualificata del proposto in forza del rilievo che l’appartenenza alla ‘ndrangheta avesse avuto inizio a partire dall’anno 2000, limitando per l’effetto la confisca ai soli beni immobili acquistati da quel momento in avanti».
Gli eredi di Finti, assistiti dall’avvocato Emanuele, avevano interposto Appello contro la pronuncia di confisca parziale, deducendo «la palese arbitrarietà di una siffatta delimitazione temporale della pericolosità qualificata e ribadendo piuttosto la radicale estraneità, in vita, del de cuius a qualsivoglia contesto associativo-mafioso».
In “accoglimento totale” dell’appello del legale, la Corte d’appello ha ordinato l’estensione del dissequestro anche a tutti i beni immobili acquistati dopo il 2000, determinando in tal modo la restituzione integrale agli aventi diritto dell’intero patrimonio immobiliare riconducibile a Antonio Finti.
«In particolare – afferma il legale – la Corte ha convenuto con la difesa in merito alla assoluta genericità e quindi alla conseguente inidoneità delle dichiarazioni del De Rosa a rappresentare Finti come un soggetto ‘contiguo’ alla mafia, difettandovi palesemente qualsiasi riferimento concreto e specifico al tempo nel quale egli avrebbe collaborato con la cosca Labate nonché soprattutto alle modalità attraverso le quali egli avrebbe svolto quel riferito ruolo di ‘contenitore’ (economico) della cosca». L’avvocato Emanuele aveva rimarcato come le dichiarazioni del De Rosa «risultassero assolutamente inidonee a collegare gli investimenti immobiliari di Finti con l’attività e gli interessi della cosca mafiosa. Del resto, si era fatto notare come le sole conoscenze del De Rosa esibite sul conto specifico di Finti si presentassero come del tutto ‘ovvie’, se è vero che il tipo di attività commerciale svolta da questi e il numero di immobili da lui posseduti (peraltro pure erroneamente riportato dal pentito) rappresentavano circostanze di pubblico dominio o comunque perfettamente conoscibili dal collaboratore in forza della sua attività di agente immobiliare».
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